Milano 28 Maggio 2022
A fare da apripista è stata la Federal Reserve, la banca centrale statunitense. Poi è arrivata la Bank of England e presto sarà la volta della Bce, la banca centrale europea. I tassi d’interesse salgono in tutto il mondo, come diretta conseguenza del ritorno dell’inflazione. Ma per i risparmiatori non è proprio una bella notizia, almeno nell’immediato. Soprattutto per quelli che hanno rifiutato il rischio insito nell’investimento in azioni e hanno usato il proprio gruzzolo per acquistare titoli obbligazionari, in particolare quelli pubblici, ritenuti meno volatili e quindi più sicuri.
Gli italiani di una certa età si ricordano ancora degli altissimi rendimenti offerti negli anni Settanta da Bot, Cct e Btp, i titoli emessi dal Tesoro. All’epoca venne coniato l’appellativo di Bot people, che riassumeva efficacemente l’enorme successo di questi strumenti di impiego. Oggi, dopo un ventennio di bassa inflazione, i rendimenti del cosiddetto “reddito fisso” tornano a salire. Con la conseguenza, però, che le quotazioni dei titoli sui mercati finanziari scendono in misura proporzionale. Un paradosso? Niente affatto. Il rendimento, come si dice in gergo, è “attualizzato”. Il che significa semplicemente che più il prezzo di mercato è basso e più il rendimento è alto, perché la cedola iniziale, riferita al valore nominale (assai prossimo a quello di emissione), viene rapportata alla quotazione del momento.
Pertanto chi possiede titoli obbligazionari acquistati in passato vede il loro valore attuale ridursi considerevolmente. Se, pressato dall’esigenza di fare cassa, il possessore è costretto a vendere oggi, subirà certamente una perdita, sia pure mitigata dagli interessi nel frattempo incassati. Se, invece, decide di mantenere l’investimento fino alla scadenza del titolo, alla fine incasserà sostanzialmente quanto aveva speso all’inizio, avendo nel frattempo beneficiato degli interessi periodici pagati dall’emittente (lo Stato nel caso dei titoli pubblici, una società privata nel caso di obbligazioni ordinarie).
Il meccanismo, inoltre, non coinvolge soltanto i sottoscrittori diretti di titoli a reddito fisso, ma anche quelli indiretti, cioè coloro che più prudentemente si sono rivolti alle gestioni personalizzate e ai fondi d’investimento. In quest’ultimo caso sono le quote dei fondi stessi a perdere di valore (e chi ne è in possesso lo può verificare facilmente). Va detto però che normalmente i gestori operano in modo tale da limitare le perdite, anche attraverso i cosiddetti arbitraggi, cioè acquistando i titoli nelle fasi di ribasso e rivendendoli in occasione degli eventuali rimbalzi temporanei. Oppure allungando le scadenze medie, dal momento che quelle più lunghe di norma valgono di più.

Come si deve comportare, dunque, un risparmiatore che ha in portafoglio titoli di vecchia emissione o quote di fondi obbligazionari? Se l’investimento è diretto, cioè possiede i titoli, non è certamente questo il momento di venderli per andare alla ricerca di alternative. Da un lato, infatti, il picco dell’inflazione potrebbe durare meno del previsto e le quotazioni risalire; dall’altro conviene comunque sfruttare l’avvicinarsi delle scadenze. Relativamente più protetti dovrebbero essere invece, per le ragioni già illustrate in precedenza, i possessori di quote di fondi comuni e coloro che hanno affidato i loro risparmi a una gestione professionale. I più giovani, infine, potrebbero approfittare dei prezzi bassi per acquistare oggi titoli a lunga scadenza e aspettare il rimborso, incassando nel frattempo le cedole periodiche.
Immagine di apertura: foto di Sashakuk