Milano 27 Giugno 2025
Amore, guerra, giornalismo, emancipazione femminile, identità, famiglia: sono gli ingredienti principali dell’ultimo libro di Isabel Allende, scrittrice e giornalista cilena, naturalizzata americana, nota a livello internazionale per i suoi numerosi romanzi di successo, tradotti in 40 lingue. In questo, appena pubblicato da Feltrinelli, Il mio nome è Emilia del Valle, sembra tornare a La casa degli spiriti (1982) per la ripresa delle vicende relative alla famiglia cilena dei del Valle a cui apparteneva Clara, la protagonista/nonna della sua opera di esordio più famosa.

Quasi a testimonianza delle due nazionalità dell’autrice, l’opera è ambientata nella prima parte a San Francisco e nella seconda in Cile, rivelando ancora una volta la dicotomia interiore di chi, costretto dagli eventi a lasciare il proprio Paese, ne porta sempre dentro il ricordo e la nostalgia. Isabel Allende, infatti, dopo il golpe di Pinochet, che nel 1973 rovesciò il governo dello zio, Salvador Allende, fu costretta all’esilio. Attualmente vive in California, ma, come ha più volte dichiarato, serba in sé perennemente il suo Cile. La protagonista della vicenda, Emilia del Valle, narra in prima persona la sua storia. Figlia di una suora irlandese, Molly Walsh, sedotta e poi abbandonata da un signorotto cileno, cresce in un modesto quartiere messicano di San Fancisco, Mission District, amata e seguita non solo dalla madre, ma anche da Francisco Claro, meticcio di Chihuahua, fondatore, direttore e maestro unico della scuola per poveri L’orgoglio atzeco. L’uomo aveva sposato Molly e accettato con amore la figlia illegittima. Era conosciuto da tutti come don Pancho, «un vero saggio, che trascorreva l’esistenza a studiare con l’ambizione messianica di spiegare l’universo, la vita e la morte». Opportunamente stimolata dal padre adottivo, Emilia, intelligente, sviluppa curiosità e voglia di apprendere. Scopre in giovanissima età la passione per la scrittura e pubblica sotto falso nome maschile romanzetti di “azione e sangue” da 10 cents, che hanno successo. Tenta poi la carriera giornalistica, a quei tempi – siamo nel 1891 – preclusa alle donne, presso il Daily Examiner dove riesce, dopo essere diventata editorialista, a farsi mandare in Cile come inviata di guerra insieme a Eric Whelan, giornalista esperto, suo mentore e tutor, poi migliore amico e infine suo amore.

Siamo nel 1891 e in Cile imperversa la guerra civile fra i ribelli del Congresso e i sostenitori del presidente in carica, José Manuel Balmaceda, accusato di aver instaurato una dittatura, nonostante le riforme illuminate.
Eric ed Emilia, giunti sul posto, devono separarsi perché sono destinati a compiti diversi. E qui inizia la seconda parte della storia con descrizioni accurate di luoghi, situazioni sociali politiche e culturali cilene. La nostra giovane inviata, fortemente attratta da quel Paese, oltre a scrivere articoli, parte alla ricerca delle sue radici e del suo padre biologico, a cui deve consegnare una lettera di sua madre. Grazie all’intervento della potente Paulina del Valle, lo rintraccia, malato e sofferente e lo assiste fino alla morte. Partecipa direttamente alla guerra civile, entrando nelle cantineras, donne combattenti destinate ai più svariati compiti, dai lavori domestici a quelli sanitari. Assiste, quindi, dal vivo all’orrore della guerra e affronta esperienze e pericoli che la cambieranno per sempre nel fisico e nella mente.

Dalla penna di Isabel Allende escono con dovizia di particolari, anche i saccheggi di città, gli arresti, le barbarie e le atrocità perpetrate con soddisfazione dai vincitori. Anche Emilia subisce l’arresto e violenze inaudite ma riemerge e decide di affrontare, prima del matrimonio con Eric, un viaggio irto di difficoltà e pericoli per raggiungere una proprietà, lasciatole in eredità dal padre, nel sud del Cile. «Dopo i 4 mesi trascorsi in Cile ero invecchiata e diventata più fragile……..avevo bisogno di solitudine e silenzio…….dovevo trovare il mio posto in quello strano luogo e avevo il presentimento che in quella regione del sud c’era quello che cercavo». Qui si troverà sola in una natura incontaminata, conoscerà popolazioni locali che cureranno la sua malattia con la magia e ritroverà se stessa. Il lettore, a questo punto, non riesce a staccarsi dal libro, preso dal desiderio di conoscere la decisione finale della temeraria e intraprendente protagonista.

Questa sua ultima fatica è un concentrato di tutti i temi, i personaggi e gli ambienti a lei cari, opportunamente assemblati da un’abile penna. Emilia è la classica donna “della sua anima”, coraggiosa, indipendente, determinata a scoprire se stessa, «desiderosa di conoscere il mondo e di sperimentare tutto con intensità», un’eroina che lotta per affermarsi in un mondo maschilista. La scrittrice ha sempre avuto a cuore le difficoltà della condizione femminile e ha riversato nelle sue donne le proprie esperienze personali, divenute suoi motivi ispiratori. Questo libro ha il merito di fare memoria della guerra civile cilena del 1891, spesso dimenticata, su cui vengono esplicitate riflessioni significative che dovrebbero indurre a meditare sugli attuali conflitti. L’insieme di avventura, amore, situazioni intricate, colpi di scena, viaggi pericolosi, orrori bellici, fa ricordare – senza voler dare una connotazione negativa – i classici feuilleton di metà Ottocento. La narrazione, grazie ad una scrittura semplice e chiara, si dipana in modo fluido e mediamente accattivante. Risulta un po’ statica e noiosa nelle dettagliate descrizioni di scene di guerra e nella fedele registrazione di articoli giornalistici, quasi a volerci impartire lezioni in tal settore. I vari paesaggi, in particolare del sud del Cile, hanno quasi un taglio filmico che può far presupporre una trasposizione cinematografica.
Immagine di apertura: Isabel Allende in uno scatto recente. La scrittrice, nata a Lima nel 1942, figlia di un diplomatico cileno, è la nipote di Salvador Allende (foto: Avvenire)