Milano 23 Luglio 2020
La Biennale di Berlino, fondata nel 1998, nove anni dopo la caduta del muro, è nata con l’imprimatur di tre importanti curatori internazionali: Klaus Biesenbach attivo al PS1 di New York, Nancy Spector del Guggenheim di New York e Hans Ulrich Obrist, oggi direttore artistico delle Serpentine Galleries di Londra. L’intento della prima edizione era celebrare il potere attrattivo e creativo di una Berlino diventata capitale della cultura contemporanea, con un’ottantina d’importanti gallerie, più altre emergenti e innumerevoli studi d’artista, nei grandi spazi degli edifici lasciati vuoti nella parte est della città. E mostre allestite in spazi alternativi e soprattutto in disuso, per sottolineare sperimentazione e anarchia di un’arte di punta. Ben per questo, nel 2009, la quarta Biennale fu capitanata da Maurizio Cattelan, Massimiliano Gioni e Ali Subotnick, con un tipico titolo cattelaniano: di uomini e topi.

L’11esima Biennale, in corso dal 2019, sembrava presagire un cambiamento nel mondo dell’arte, con un programma scaglionato su tre periodi, l’ultimo dal 5 settembre di quest’anno. «L’11esima Biennale di Berlino è stata concepita come una serie di esperienze vissute, che si evolvono in successione dando vita a un processo unico», dicono i curatori Maria Berríos, Renata Cervetto, Lisette Lignado, Augustín Pérez Rubio. «Ha tre momenti sequenziali: exp. 1, exp. 2 ed exp. 3, che tentano di costruire relazioni sostenibili con gli artisti, ma soprattutto con la città e il suo popolo. La Biennale di Berlino ha il carattere di un processo, un vantaggio nell‘attuale situazione incerta e insicura». Ma che cosa è cambiato a causa del Covid-19? «Abbiamo dovuto prendere decisioni per proseguire, modificando molti progetti per evitare eventuali rischi e garantire sicurezza a tutti. Anche il passo finale – l’epilogo – ha subito varianti, e ora si svolgerà dal 5 settembre al 1 novembre, con una durata abbreviata di un mese. Ne consegue un risparmio di denaro, che investiremo per bilanciare le spese impreviste causate dal Covid-19. Per noi era fondamentale che il team, gli artisti e la produzione fossero retribuiti, anche se non eravamo sicuri che, alla fine, la mostra avrebbe avuto luogo. In questo momento cruciale la priorità è prenderci cura delle persone. Stiamo preparando anche una “museografia dell’emergenza” adattando gli spazi e le capacità espositive, garantendo le distanze. Cerchiamo di realizzarla in modo che risulti piacevole e non venga appesantita la leggerezza della percezione. Ora, la visibilità degli artisti è più importante che mai».

In che senso? «Come abbiamo scritto in portoghese: Ninguém solta a mão de ninguém (Nessuno resta indietro). Abbiamo deciso di continuare con la presenza di tutti gli artisti che partecipano alla mostra; se non possono viaggiare, troveremo altri modi per rendere visibili i loro contributi. Siamo arrivati a questa determinazione in accordo con loro: anche in assenza di notizie precise sulla possibilità di viaggiare, vogliono che la Biennale abbia luogo. Cercheremo modi per riconsiderare il loro contributo, selezionando opere precedenti, riadattando progetti commissionati o convertendo un’opera in altra forma o rappresentazione, ad esempio in video».

Con una visione tripartita si presenta anche la 13esima Manifesta, biennale nomade fondata nel 1993 dalla storica olandese Hedwig Fijen (la prima edizione nel 1996 a Rotterdam), sulla spinta della caduta del muro di Berlino che aveva messo in moto una nuova Europa, e che di edizione in edizione, s’insinua per qualche mese in una città attivando le istituzioni esistenti su una linea direttrice. Quella odierna sarà a Marsiglia (dal 28/08 al 29/11) e quella futura, nel 2022, a Pristina, in Kosovo. L’Italia ne ha già avute due: a Trento nel 2008 e dieci anni dopo a Palermo con 483.712 visitatori. Non solo belle città, ma luoghi da studiare dal punto di vista sociologico e urbanistico (l’architetto Winy Maas, per Manifesta 13, ha sviscerato in 1200 pagine le complessità di Marsiglia) che intrecciano problematiche antiche e contemporanee, in primis l’immigrazione, e dove l’arte interviene per metterle in luce e interrogarci. Nel 2012 la scelta è caduta su Genk (100.866 visitatori), ex zona mineraria belga di estrazione del carbone. Poi, nel 2014 fu la volta di San Pietroburgo, la più “politica” delle edizioni (con un record di presenze, 1.510.309 in totale).

Così la mostra inaugurale di Manifesta 13 a Marsiglia, Traits d’union.s cerca alleanze per creare un nuovo pensiero, un nuovo senso di comunità in un contesto globale e locale – profondamente mutato dal Covid-19 – da analizzare attraverso le opere di 47 artisti e sei diversi capitoli (la casa, il rifugio, l’Almshouse ossia l’albergo dei poveri, il porto, il parco, la scuola) che si apriranno via via in modo concatenato. Gli eventi s’innestano in luoghi affascinanti di Marsiglia come il Musée Grobet Labadié, il Musée Cantini, la Cité Radieuse progettata da Le Corbusier che di per sé vale il solo viaggio, Bel Horizon, la Vieille Charité, Centre Bourse, e molti altri, da scoprire.
Immagine di apertura: il Manifesto della 13° edizione di Manifesta che quest’anno si svolgerà a Marsiglia dal 28 Agosto al 29 Novembre