Torino 23 Ottobre 2020
Ferrovie in dismissione in Piemonte, bici dove si snodavano le rotaie. Via la Asti-Alba, al diavolo la Bra-Cavallermaggiore, la Saluzzo-Savigliano, la Asti-Chivasso, la Cuneo-Ventimiglia-Nizza, la Ceva-Ormea, l’infinità di tracciati che collegano minuscole realtà montane e di fondovalle dal biellese all’Ossola. Vero è che lo scenario dei caselli dismessi con le erbacce cresciute senza cura, le stazioni abbandonate e spesso vandalizzate, le gallerie semi crollate denunciano degrado e deturpano paesaggi altrimenti bellissimi.

Giovanni Currado, astigiano, ingegnere, ha elaborato un progetto di riqualificazione di buona parte della rete di collegamenti nell’ottica anche di offrire servizi di metropolitana leggera ad alcuni centri più popolati. Lo consultano, lo chiamano ai tavoli in cui sindaci, enti interessati, Regione e Ministero dei trasporti ciclicamente discutono il che fare; ma non approdano mai a nulla. Anzi, a uno degli ultimi appuntamenti, a Cocconato d’Asti, l’idea di una ciclabile sulla Asti-Chivasso al posto della ferrovia ha elettrizzato anche qualche sindaco, convinto che le bici toglieranno dall’isolamento le loro piccole comunità. Piero Canobbio, professore di liceo, ma appassionato e profondo studioso di treni, non ci sta e scrive sul blog dell’Unione per le Ferrovie del Piemonte: «Se non c’è la volontà politica, la fitta rete piemontese voluta da grandi statisti come Cavour e Giolitti per unire ogni zona della regione si ridurrà, nei casi migliori, ad uno spezzatino di segmenti di tratte».

Già, perché qui si sgretola un patrimonio immenso, voluto da Cavour secondo il quale “lo sviluppo di un Paese si misura con l’efficienza delle sue Ferrovie”. Personalmente ci sono vissuto sui treni. Non che il servizio fosse sempre al top. In certi paesi verso le Langhe la stazione era scomoda; bisognava prendere la corriera per raggiungerla. E c’erano ancora le carrozze in legno, qualcuna anche con la scritta III Classe, molte finite blindate sui binari morti negli anni a venire perché imbottite di amianto. In direzione Torino poi, a Carmagnola, si sostava una ventina di minuti per consentire il cambio della motrice poiché si passava da corrente alternata a corrente continua. Per la fortuna del bar, assaltato d’estate e d’inverno.

Armati di pazienza si viaggiava e si arrivava finalmente a destinazione. Lingotto, oggi importante e vera stazione, allora contava giusto un paio di binari, pure in pendenza, che a scenderci dal vagone era impresa rischiosa. E a Porta Nuova, non ancora ricca di vetrine e luci, anzi austera e un po’ cupa, ci si riuniva con i compagni che arrivavano da tutta la regione e dalla Val d’Aosta. Tutti collegati, tutti con gli orari alla mano, pronti ai cambi di binario, attenti alle partenze ritardate, alle cancellazioni dell’ultima ora: operai e studenti, professori e politici, artigiani e trifolau, i raccoglitori di tartufi che scendevano dall’albese con la cesta sotto braccio spandendo odori non da tutti graditi per andare a vendere i loro “tesori” nei ristoranti di Torino.

Io ci sono andato fino alla pensione in treno. E adesso fatico a capire chi oggi gioisce per una linea ferrata che si perde in favore di una pur fantastica pista ciclabile. «È venuta meno la domanda su certe linee e dunque è giocoforza …tagliare. Ma subentrerà un adeguato servizio bus», è il refrain dell’amministratore pubblico di turno. Pullman che inquinano e intasano. Saluzzo, intanto, col consiglio comunale unanime ha scritto a tutte le autorità competenti “ridateci i treni” con l’elettrificazione delle tratte e la riapertura immediata dei collegamenti. La stessa Fiab (Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta), l’associazione delle due ruote, avverte che “la bicicletta non può sostituire il trasporto su rotaia, che deve rimanere un punto cardine nel quadro di una mobilità sostenibile”.

Le scelte radicali del Piemonte, insomma, avranno ricadute gravi sotto il profilo dell’inquinamento atmosferico. Non a caso s’allunga di giorno in giorno l’elenco dei Comuni sul piede di guerra: da Asti ad Alba, da Ceva a Ormea è un coro di…”fermatevi”.. Va forte purtroppo la visione di un Monferrato /Langhe /Roero attraversato da migliaia di cicloturisti che pedalano tra vigneti e distese di piante di nocciole, castelli, pievi, frutteti. Le terre che fino a cinquant’anni fa erano della “malora”, tanto era grama la vita contadina immortalata nelle pagine di Fenoglio, Pavese, Lajolo, hanno potuto contare su un treno che prima o poi avrebbe portato via chi voleva cercare una vita migliore lontano dal paese. Oggi che hanno prezzi inarrivabili gli ettari ricoperti di uve Barolo, Barbaresco, Arneis, Nebbiolo, si aspettano i turisti, scaricati dai pullman, la bici ad attenderli. Ha fatto scuola la fortunata esperienza imperiese, dove da San Lorenzo al Mare puoi inforcare la due ruote, magari a pedalata assistita, e goderti lo spettacolare tracciato a bordo mare dove un tempo correva il treno, attraversando gallerie, sfidando gli spruzzi delle onde più rabbiose. Un successo straordinario rimbalzato in mezza Europa. Ma lì è stata tutta un’altra storia: han spostato la ferrovia più all’interno per sicurezza e maggiore efficienza. Hanno fatto due operazioni, entrambe, sostenibili.
Immagine di apertura: foto di ab0972