Milano 23 novembre 2020

Quali saranno le conseguenze del coronavirus sull’economia mondiale? Che ci siano non è difficile prevederlo. Ma in quale misura? Le restrizioni adottate dai governi riguardo la circolazione di beni e persone per fermare il contagio sono state spesso giudicate insufficienti dal punto di vista medico-scientifico, ma nello stesso tempo si sono levate molte voci in difesa della produzione e delle attività commerciali. Morire di Covid o morire di fame? Il dilemma proposto sembra non avere soluzioni. Tanto che in Giappone l’aumento dei suicidi (l’8,6 per cento in più in settembre rispetto allo scorso anno e in costante crescita da quattro mesi a questa parte) è stato immediatamente collegato con la pandemia.

Le iniziative per frenare il virus hanno certamente avuto (e lo avranno ancora di più in futuro) un impatto diretto sulla crescita economica; soprattutto, contribuiranno a modificarla radicalmente. Intere filiere produttive e interi settori merceologici usciranno malconci dalla crisi, ma nel contempo molte attività otterranno dei benefici. Si affermerà definitivamente, per esempio, il lavoro da remoto, grazie all’utilizzo sempre più diffuso delle tecnologie informatiche. Il comparto alimentare, essenziale per la vita degli individui, si salverà se saprà individuare nuove forme di distribuzione (cosa che sta già avvenendo con le consegne a domicilio). Quanto alla sua fonte primaria, vale a dire l’agricoltura, dovrà attrezzarsi per produrre in modo diverso dal passato. Insomma, il prezzo della crisi sarà alto, ma risulterà in qualche misura mitigato dagli interventi del governo (non sempre chiari e puntuali) e dalla capacità di reazione degli imprenditori.

Ma che cosa succederà in Italia, la cui economia da anni ormai è considerata la più debole fra quelle dei Paesi più industrializzati? Le stime degli esperti, uscite in proposito negli ultimi mesi, non sono rassicuranti. Si è parlato di un Pil (prodotto interno lordo) in discesa nel primo trimestre dell’anno del 12% e di un peggioramento (-18%) nel secondo trimestre. Il fatturato delle società di capitali presenta nella prima metà dell’anno – il periodo del primo lockdown – una contrazione del 19,7%, con una perdita di 750mila posti di lavoro. Ma le società di capitali sono anche le più robuste. Poi ci sono le ditte individuali e le micro imprese, sulle quali è più difficile fare stime attendibili.

«L’economia italiana dovrà fronteggiare i rischi connessi con l’aumento dell’indebitamento delle società non finanziarie e con la progressiva rimozione delle misure di sostegno», ha osservato in proposito la Banca d’Italia. Spiegando che «nell’attuale situazione di incertezza va evitata un’uscita anticipata dagli interventi di supporto, che potrebbe riflettersi anche su imprese in grado di superare la crisi». Secondo il rapporto di via Nazionale, le misure adottate finora, tra cui l’allargamento del periodo della Cassa integrazione, la moratoria sui prestiti, il posticipo degli adempimenti fiscali, i contributi a fondo perduto e gli schemi di garanzia sui nuovi finanziamenti, «hanno contribuito ad attenuare le conseguenze economiche della pandemia per le imprese e ne hanno ampiamente soddisfatto il fabbisogno di liquidità». Sarà ora necessario intervenire con «l’attuazione di misure volte a favorire la patrimonializzazione delle aziende e a riequilibrarne la struttura finanziaria».

Nei salvadanai delle famiglie italiane oggi secondo il Centro studi di “Unimpresa” ci sono oltre 1.000 miliardi (foto di Cdd20)

L’Italia però, rispetto ad altri Paesi occidentali, ha un asso nella manica. Che, se utilizzato nel modo corretto, potrebbe contribuire a farci uscire prima degli altri dal tunnel della pandemia. Si tratta del risparmio privato, quasi duemila miliardi parcheggiati in banca, ben più del Pil nazionale. La liquidità di famiglie e imprese a settembre è arrivata a quota 1.904 miliardi di euro, in aumento di quasi 122 miliardi su base annua (+7%) e di 71 miliardi (+4%) rispetto al febbraio scorso, prima dell’inizio del lockdown. I dati sono del Centro studi di Unimpresa, secondo cui nei “salvadanai” delle famiglie ci sono oltre 1.000 miliardi, mentre in quelli delle aziende risultano quasi 365 miliardi. Altri 314 miliardi sono riconducibili invece ai fondi d’investimento, 74 miliardi alle imprese familiari, 31 miliardi alle onlus, quasi 20 miliardi agli enti di previdenza, 13 miliardi alle assicurazioni e 6 miliardi ai fondi pensione. «È crollata la fiducia – commenta il direttore generale di Unimpresa Raffaele Lauro – e la colpa non è solo dell’emergenza sanitaria, ma anche del governo che è in stato confusionale e non è in grado di assicurare certezze al nostro Paese. Di qui la paura di spendere e di fare investimenti, cioè di guardare al futuro con una prospettiva positiva che, nonostante la drammatica situazione, andrebbe comunque sostenuta e rafforzata». Bisogna dunque puntare a sbloccare il risparmio attualmente “congelato”, ma appelli e incentivi non servono a nulla. La parola magica è fiducia. Come fare a ripristinarla? È questo il vero problema. Riuscire nell’intento vorrà dire far ripartire l’economia.

Immagine di apertura: foto di Rudy e Peter Skitterians

Nato a Rivanazzano Terme (Pavia) è giornalista professionista dal 1977. Per quasi trent'anni alla redazione Economia del "Corriere della Sera", è stato per molto tempo titolare della rubrica quotidiana sulla Borsa Valori. Prima di approdare nel 1986 a via Solferino, è stato Caporedattore a "Il Mondo" e in precedenza ha lavorato al "Sole24ore" e alla "Gazzetta del Popolo" di Torino. Tra i suoi libri, "Guida facile alla Borsa", Sperling & Kupfer (tre edizioni, l'ultima nel 2000) e "Meno Agnelli, più Fiat, cronaca di un cambiamento", Daniela Piazza Editore, 2010.Nel 2019 per Mind Edizioni è uscito il suo ultimo libro, "Difendi i tuoi soldi. Capire prima di investire".

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