Milano 26 Luglio 2021
La ripresa dell’economia – pur attenuata dall’incognita della variabile Covid – ha già provocato una spinta all’insù dei prezzi delle materie prime e in tutto il mondo, a partire dagli Usa, è ritornato lo spettro dell’inflazione. Molte grandi aziende del comparto alimentare hanno già ritoccato i listini, dopo che le quotazioni dei prodotti agricoli sono salite in media del 25% da inizio anno, ai massimi dal 2016.
Se il trend dovesse proseguire (e la maggioranza degli economisti ne è convinta), nella seconda metà dell’anno potremmo assistere al riaccendersi dell’inflazione. Anche perché le politiche monetarie e fiscali messe in atto dalle principali economie hanno creato aspettative diffuse di rialzo dei prezzi, ben oltre il livello del 2% considerato fisiologico e funzionale alla ripresa.
Se dunque ci stiamo avviando verso una nuova stagione caratterizzata da prezzi in aumento, quali sono le contromisure da prendere? O meglio: è possibile farsi trovare preparati? L’inflazione, come ben ricorda la generazione dei sessanta-settantenni di oggi, è certamente un male, ma non colpisce tutti allo stesso modo. C’è addirittura chi ne trae vantaggio. Per esempio, chi è titolare di un reddito variabile (anche se dipende dalla velocità con cui questo reddito si adegua), come imprenditori e commercianti che si approvvigionano all’estero, pagando con moneta che si svaluta. Oppure genericamente chi è indebitato. Tutti gli altri – e sono la maggioranza – subiscono un impatto negativo. Nel mondo delle aziende, a pagare di più sono quelle che esportano. Tra i privati, a subire le conseguenze di un forte aumento dei prezzi sono soprattutto i pensionati, seguiti a ruota dai lavoratori dipendenti: entrambe queste categorie sono protette solo in parte dalla rivalutazione dei propri redditi legata al costo della vita. Poi c’è la vasta platea dei piccoli risparmiatori e dei consumatori finali, oltre a chi ha dei crediti a lungo termine da riscuotere. Tutte queste considerazioni possono essere sintetizzate in un piccolo (e forse incompleto) vademecum, che non ha la pretesa di essere esaustivo, ma può dare un aiuto a chi non vuole farsi trovare impreparato.

Mutuo casa. Chi è già titolare di un mutuo sulla casa e ha ancora davanti a sé molti anni prima della scadenza, dovrebbe fare una verifica con la banca erogante. Se il tasso è fisso, non c’è granché da fare. Se invece è variabile, si potrebbe chiedere la rinegoziazione e la trasformazione in tasso fisso. Con ogni probabilità il cambio porterà a un aggravio del tasso d’interesse, ma se la rata finale non aumenta troppo, è il caso di procedere. In questo modo ci si potrà garantire dai quasi certi aumenti futuri, che, in caso di ripresa dell’inflazione, scatterebbero insieme con l’intero sistema dei tassi d’interesse.
Immobili. Investire in case (anche in quella acquistata con il mutuo e adibita a prima abitazione, di cui si è parlato più sopra) è l’ideale in caso di inflazione, perché il valore dell’immobile tenderà ad adeguarsi velocemente ai nuovi prezzi di mercato che inglobano gli aumenti già acquisiti e quelli attesi.
Risparmio azionario. In generale le azioni, proprio perché rappresentano società produttive e quindi beni concreti, dovrebbero essere al riparo dall’aumento dei prezzi. Il loro valore, insomma, teoricamente è destinato a crescere in concomitanza con il livello generale dei prezzi. Ma non tutte le società quotate in Borsa sono uguali. La scelta dunque dovrà essere fatta tenendo conto di una serie di parametri, dal comparto di appartenenza ai cosiddetti “fondamentali” dell’azienda (il trend del fatturato, il patrimonio, la redditività e altro ancora). Tutti elementi che permettono agli analisti di stabilire graduatorie e confronti. È evidente, dunque, che chi ha poca dimestichezza con questi argomenti dovrà avvalersi della consulenza degli esperti.
Risparmio obbligazionario. Le prime ad essere penalizzate, in caso di aumento dei tassi d’interesse, sono le obbligazioni a reddito fisso. Quelle statali, che rappresentano il debito pubblico dei Paesi, e quelle emesse da società private. Nel primo caso, per fare l’esempio italiano, i Bot e i Btp. Nel secondo molte tipologie di bond aziendali. Le emissioni cosiddette indicizzate, invece, prevedono meccanismi automatici di adeguamento tali da preservare il valore reale investito, o comunque di limitare al minimo le possibili perdite. Tra i titoli a tasso variabile, per esempio, ci sono i Cct emessi dal Tesoro italiano, ma anche alcune tipologie di obbligazioni collocate sul mercato da grandi realtà private.
Beni rifugio. Così come per gli immobili, sono la destinazione più sicura per chi vuole difendersi dall’inflazione futura. L’oro non può mancare: non solo e non tanto quello fisico, come i lingotti e le monete, ma anche e soprattutto quello rappresentato da certificati (i cosiddetti Etf, acronimo di exchange trading funds). E a proposito di certificati, ne esistono sul mercato di ogni tipo: rappresentano materie prime, petrolio, metalli preziosi.
Risparmio gestito. I fondi comuni d’investimento e, per chi dispone di capitali importanti, le gestioni personalizzate sono in teoria la migliore allocazione in vista di future impennate inflazionistiche. Il principio cui si ispirano i gestori professionali è infatti quello della diversificazione. Anche qui, però, c’è gestore e gestore. In generale va detto comunque che il livello di competenza e serietà è mediamente elevato. Inoltre esistono i controlli da parte delle autorità pubbliche di vigilanza. Secondo una recente ricerca di Ubs, molti gestori stanno già adeguando i portafogli, puntando su azioni, metalli preziosi, immobili e investimenti sostenibili.
immagine di apertura: foto di Gerd Altmann