Milano 27 Gennaio 2022
E, finalmente, Milano ha fatto onore a Cristina Trivulzio di Belgioioso: in settembre a 150 anni dalla sua scomparsa, a due passi da casa Manzoni è stata inaugurata la statua a lei dedicata, opera dello scultore bresciano Giuseppe Bergomi. Donna controversa, giornalista e scrittrice, amata da molti, odiata dai più, estremista e misteriosa, indipendente, fascinosa nonostante la magrezza, e ricchissima.

Arrigo Petacco, autore di una bella biografia, La principessa del Nord (Oscar Mondadori, 1993-2018) ben sottolinea la complessità del personaggio: «Cristina ha cento volti, su di lei è stato scritto di tutto e il contrario di tutto. Tutto il bene possibile e tutto il male possibile. Non c’è una via di mezzo: o angelo o demonio. L’unica cosa certa è che non riuscì mai a passare inosservata». Non a caso i contemporanei la accusarono di teatralità. Ma anche di molto altro, tanto che nella marea di pettegolezzi da cui fu sempre circondata, è difficile distinguere il vero dal falso. Cristina nacque a Milano nel 1808, tre anni dopo l’incoronazione di Napoleone in Duomo, unica erede della famiglia Trivulzio, ovvero del più cospicuo patrimonio della Lombardia e crebbe fra la città e il castello di Locate, la vasta tenuta di famiglia, ben educata da precettori privati imparando il latino, l’inglese, il francese (come una seconda lingua), la storia, la filosofia e il disegno in cui eccelleva (la sua maestra, la ritrattista Ernesta Bisi le fu amica fedele per tutta la vita). A sedici anni era bella anche se non conforme ai canoni del tempo: alta più della media, filiforme, con due grandi occhi neri (che i maligni dipingeranno come “scodelle”), i capelli scuri e un incarnato bianchissimo, quasi marmoreo.

Ma scelse un marito sbagliato, il principe Emilio Barbiano di Belgioioso di otto anni più anziano di lei e un “catalogo di donne sedotte da far invidia a Don Giovanni”, sottolinea Pier Luigi Vercesi nella biografia pubblicata di recente da Neri Pozza, La donna che decise il suo destino. Ovviamente il matrimonio non funzionò; Emilio propose a Cristina di tollerare la sua relazione stabile con un’altra donna, un menage a trois, cosa non rara fra le famiglie aristocratiche dell’epoca. Qui, il primo colpo di scena rivela l’originalità di Cristina che scelse la separazione e partì per Genova (andrà poi a Firenze, a Napoli, in seguito a Parigi), purtroppo con una pesante eredità da Emilio, la sifilide, praticamente incurabile a quell’epoca (al di fuori delle frizioni mercuriali). Correva l’anno 1828 e Genova, cosmopolita e repubblicana, coltivava in seno Mazzini e la Carboneria, la nostra ereditiera non nascondeva le sue simpatie frequentando Teresa Doria e Anna Giustiniani, invise al governo sabaudo perché mazziniane, e la polizia austriaca cominciò a spiarla. Morsa che andò avanti stringendo il cerchio intorno a Cristina, che riuscì però a fuggire in Francia. Ma sulla Gazzetta Ufficiale comparve un editto: «Viene d’ordine superiore ingiunto alla principessa Cristina di Belgioioso, nata Trivulzio, di ritornare negli Stati di sua Maestà Imperiale Reale Apostolica nel termine di tre mesi, sotto la comminatoria di essere dichiarata morta civilmente e della confisca di tutti i beni, i quali si dichiarano intanto posti sotto rigoroso sequestro».

Cristina partì per Parigi con poche centinaia di franchi e una lettera di presentazione a François Auguste Mignet, storico e Direttore degli archivi del Ministero degli Esteri, uomo che le sarà poi legato pe molti anni. E qui per tutto il 1831 visse in miseria in un piccolo appartamento, dando lezioni alle ragazze del quartiere, vendendo ventagli che lei dipingeva. O, almeno, così la raccontava la nostra eroina finché i suoi amministratori le rivelarono che, grazie ai suoi beni sparsi per l’Europa, soprattutto in Svizzera, poteva continuare a vivere nel lusso. La miseria finì, Cristina tornò al tenore di vita cui era abituata e nel giro di poco tempo il suo salotto divenne uno dei più ambiti di Parigi frequentato da Alfred de Musset, Heinrich Heine, Franz Liszt, Adolphe Thiers che sarà poi il Primo Presidente della Terza Repubblica Francese. Tutti amanti delle bella principessa? Secondo le malelingue sì; in realtà non ci sono prove, perfino con Mignet, uomo considerato impotente, si dubita che la relazione sia stata poco più che platonica (e la figlia?). Nel 1835, finalmente Cristina ebbe la restituzione del suo intero patrimonio. Proprio quell’anno Cavour arrivò a Parigi e le fece visita. Ma il nostro Conte si annoiò a morte, la principessa non gli piacque, la tappezzeria nera del suo salotto e l’uomo di colore con il turbante alla porta lo irritarono. Non era il solo a provare antipatia per lei: anche i mazziniani, pur generosamente sovvenzionati, la guardavano con sospetto: troppo indipendente, troppo intellettuale e anticonformista. Cristina scriveva all’amica Bisi: «Ma perché l’originalità deve essere una virtù per l’uomo e un difetto per la donna?». Sottolinea Vercesi: «Cristina mischiava relazioni mondane, divertimento e intellettualismo, sconcertando cattedratici severi, pur suoi amici, che giudicavano ogni mutamento come un segno di decadenza. Eppure se il suo salotto divenne uno dei più ambiti di Parigi, fu proprio perché aperto, non limitato ad una casta o ad un gruppo di interesse». Sul finire dell’estate del 1838, Cristina si ritirò per mesi nella sua villa di campagna nei pressi di Versailles e il 23 dicembre dette alla luce una bimba, Maria.

Ma la piccola non fu registrata negli archivi comunali, fatto che scatenò una serie infinita di pettegolezzi: era figlia del marito che lei ospitava per lunghi periodi e del quale sosteneva le finanze dissestate, di Mignet o di un tal Pietro Bianchi, all’epoca segretario della principessa? Un mistero fittissimo: d’altra parte di tutti i segretari che si susseguirono nella vita della principessa si disse che erano suoi amanti. Sta di fatto che dopo una lunga battaglia legale Cristina nel 1860 ottenne il riconoscimento di Maria come principessa di Belgioioso (la fanciulla sarà poi marchesa Trotti Bentivoglio e dama di Corte della Regina Margherita). Nel 1840 il ritorno in Lombardia nel castello di Locate dove, sulla scorta delle idee di Saint-Simon, si adoperò per migliorare la condizione dei contadini. Aprì scuole elementari per entrambi i sessi e scuole professionali, di tecnica agraria per i maschi, di economia domestica per le ragazze, di musica per tutti. Attività che suscitarono malcontento fra gli aristocratici. Alessandro Manzoni andava commentando: «Ma quando quelli saranno tutti dotti, a chi toccherà zappare la terra?».

L’attività filantropica in Lombardia non impedì a Cristina di soggiornare anche a Parigi dove nel 1845 fondò La Gazzetta Italiana, unico giornale italiano in Francia, che sposava l’idea di dialogare con i governi d’Italia per ottenere, come primo passo, riforme sociali. Quando scoppiarono le Cinque Giornate di Milano Cristina organizzò quello che, con un po’ di ironia, venne chiamato “l’esercito Belgioioso”: 200 volontari portati in piroscafo fino a Genova e di qui a Milano. Poco tempo dopo si unì ai patrioti della Repubblica Romana, trascorse giorno e notte negli ospedali, reclutando infermiere fra aristocratiche, donne borghesi e qualche prostituta. Dopo la sconfitta della Repubblica Romana s’imbarcò a Civitavecchia con la figlia e approdò in Turchia, dove acquistò una proprietà a nord di Ankara e fondò una colonia agricola aperta ai profughi italiani.
Negli anni che seguirono alla proclamazione dell’Unità d’Italia, la principessa visse tra Milano, Locate e il lago di Como con l’affezionato servo turco Burdoz e la governante inglese Miss Parker. Si spense nel 1871 a Milano.
Immagine di apertura: la statua dedicata a Cristina di Belgioioso, opera dello scultore Giuseppe Bergomi, nel centro di Milano, a due passi dalla casa di Manzoni