Firenze 25 Settembre 2021
Tutte le vite iniziano con una donna e così anche la mia, una donna con i capelli rossi che entra in una stanza e ha addosso un completo di lino. Sono queste le prime righe del libro, L’acqua del lago non è mai dolce (Bompiani), terzo romanzo della poco più che trentenne Giulia Caminito, vincitore del Premio Campiello 2021 e già finalista al Premio Strega 2021.

La vita che inizia è quella di Gaia e la donna è Antonia, la madre della protagonista. L’inizio di un’esistenza vorrebbe e dovrebbe essere per tutti lo stesso, con le stesse possibilità, le medesime aspettative, i sogni di un futuro aperto al mondo, grande, vasto. Ciò che inizia nel romanzo di Giulia Caminito è, invece, una storia priva di tutto questo, dove si sogna ad occhi aperti perché quando cala il sole c’è soltanto spazio per il buio, scuro come le acque del lago di notte. Una figlia in bilico tra essere giudice e vittima, in una realtà contemporanea fatta di stenti, dove la possibilità di restare a galla e sopravvivere sprofonda in un oceano di ingiustizia. Neanche l’educazione, l’istruzione e il miraggio di un lavoro onesto, possono salvare chi non sembra destinato a riemergere dal fango.
Il libro racconta la vita della figlia di Antonia la rossa, Gaia, che è la voce narrante della storia. La famiglia di Gaia vive a Roma, in condizioni indigenti nell’estrema periferia. Antonia Colombo è una “madre coraggio” che, tra perseveranza e orgoglio, porta avanti un’esistenza ai margini della società fatta di sopravvivenza, con quattro figli, Mariano e Gaia, i più grandi, e i due gemelli piccoli, Maicol e Roberto. Antonia, che ripone nella figlia femmina tutte le sue speranze, combatte da anni per un alloggio popolare dove poter sistemare i figli e il marito, Massimo, rimasto invalido in seguito ad un incidente sul lavoro.
La casa arriva con un’assegnazione in custodia, in un quartiere di Roma troppo altolocato per le scarse risorse del gruppo familiare, tanto che emergeranno subito le troppe difficoltà del vivere in un contesto così lontano dalla loro perenne penuria. Così la madre compie uno scambio, non legale, cedendo la casa alla signora Mirella e trasferendo tutti ad Anguillara Sabazia sul lago di Bracciano, dove le rive accolgono ciò che resta di una piccola comunità in fuga dall’indifferenza della capitale.

Gaia cresce tra lunghi viaggi in treno e spostamenti estenuanti in tram per frequentare una scuola media di Roma, voluta fortemente dalla madre per sollevare, grazie allo studio, le sorti della famiglia. Si creano i primi legami di amicizia con altri ragazzi del luogo, in particolare con Agata e Carlotta, due coetanee. In bilico tra il bene che porta sempre alla rivincita e la parte forte che impone la cattiveria, Gaia sceglie la seconda via, più immediata, di pancia. Prosegue gli studi secondo il volere della madre, iscrivendosi al Liceo Classico a Roma; crescono gli anni e cresce il veleno che scorre nelle sue vene. Nonostante l’amore che gli altri tentano di dimostrarle, lei respinge ogni istanza di sentimento. Le amicizie che tradiscono, la morte che colpisce le coetanee tra malattie e suicidi, l’abbandono del fratello Mariano che lascerà la casa materna per i troppi diverbi con i genitori, così Gaia è ormai una macchina che macina pagine e pagine di libri, pronta ad esplodere. Dopo la laurea in filosofia, precipita presto inesorabilmente nel vuoto e nell’incertezza e dimostra alla madre quanto fosse fallace ciò che Antonia le aveva prospettato: non esiste per loro il lavoro che cambierà la loro vita. Diviene così una giovane figlia a carico, estranea a tutto, incapace di dedicarsi a qualcosa o a qualcuno.

Antonia decide di riportare la famiglia a Roma, dopo che la Signora Mirella si era comportata con loro in modo scorretto, e lo fa con l’aiuto del figlio Mariano, che da tempo ha preso la via dell’attivismo politico nei centri sociali. Finisce l’era delle sponde, delle estati spensierate, degli amici del lago. Gaia vorrebbe ribellarsi all’ingiustizia sociale, ai tradimenti di chi ama, alle brutture del mondo, ma sembra non riemergere mai dalla melma delle sue radici, e neppure il lago dei momenti vivaci riesce più a sollevarla dal mondo. Sarà la rabbia a dominarla, a spingere verso la soddisfazione di fare del male, dove anche l’acqua dolce di un lago diventa salata come le lacrime. Gaia, tradita, mai salvata, mai vendicata, mai sollevata.
Le pagine di Giulia Caminito si sfogliano rapide, a tratti la lettura rallenta, si sofferma e va a cercare le parole, non usuali, mai scontate, quasi trovate dentro piccoli cassetti. Una lingua lontana dagli schiamazzi di Anguillara Sabazia, ma sulla strada parallela di Gaia che corre per prendere il treno ogni mattina, che vive ogni attimo in bilico tra la legalità e l’illegalità. Il romanzo a tratti diventa corale, dando voce a diversi personaggi, Alessandro, Carlotta, Iris, Andrea, Cristiano, Samuele, Agata, Marta, Elena, Luciano, lo specchio di una generazione di ragazzi che scambia i primi baci tra la tecnologia che guida la vita moderna tra cellulari e motorini, in un paese che fa da contorno e sussurra, giudica e assolve o condanna.
Gaia è una donna giovane ma già vecchia. Donna di sangue che gira intorno agli anni della sua crescita senza trovare mai una strada dove camminare sicura. Un romanzo che non salva e non riscatta, reale e crudo come solo la vita, purtroppo, sa essere.
Immagine di apertura: una ragazza nel quartiere Corviale, una delle periferie degradate di Roma (da Under 18, documentario di Marcello Cantoni e Carlo Lagreca)