Ci sarebbe da chiedersi quale combinazione astrale abbia indotto alcuni benpensanti ad avanzare la proposta di togliere il voto agli anziani. Viviamo in un’epoca in cui le Neuroscienze hanno dimostrato la capacità di recupero e quindi di riorganizzazione del tessuto nervoso che è stato oggetto di lesione, indipendentemente dall’età. È stato come ridare dignità alla persona che si inoltra negli anni: non è più sostenibile l’idea che l’anziano in quanto tale non sia più in grado di decidere su una scelta così importante come il voto perché menomato nelle sue capacità di discernimento. Al contrario, una più lunga esperienza alle spalle potrebbe essere un vantaggio in termini di consapevolezza dei propri atti. Eppure in tutti noi persiste, senza rendercene conto, il Senectus ipsa morbus, affermazione lapidaria che Terenzio, commediografo, fece dire ad un suo personaggio nel 161 a.C.! Abbiamo interiorizzato una percezione distorta, semplificata e rigida della persona anziana, per definizione “non più in grado di” o addirittura malata. Quindi perché permetterle di votare? Mettiamola, piuttosto, in una riserva indiana.

foto di Open Clipart-Vectors

Nell’ambito della ricerca scientifica, inizialmente, l’uso dei test di intelligenza sembrava avvalorare un decremento delle capacità cognitive coll’avanzare dell’età a conferma di quanto faceva già parte dei pregiudizi diffusi. Un errore metodologico nell’impostazione degli studi, che accomunava soggetti sani e soggetti malati, il cosiddetto metodo trasversale, pareva dimostrare la validità della associazione età avanzata/ progressiva perdita di efficienza mentale. Ma in lavori successivi, impostati secondo il metodo longitudinale centrato sul singolo soggetto seguito nel suo andare avanti negli anni, i test mentali non confermavano che la vecchiaia comportasse un decadimento delle funzioni cognitive.
Con l’aumento dell’aspettativa di vita e il numero degli anziani in costante crescita, l’interesse verso il fenomeno universale dell’invecchiamento ha dato luogo a indagini più approfondite sotto l’aspetto medico, psicologico e sociale. Nel 1969 Robert Butler, gerontologo, psichiatra e psicoanalista, Direttore dell’Istituto Nazionale degli Studi sull’invecchiamento di Bethesda nel Maryland coniò il termine Ageismo, ad indicare un insieme di attitudini pregiudiziali nei riguardi delle persone anziane e dell’invecchiamento, una vera e propria discriminazione. Certamente c’è un dato storico che ha contribuito in modo determinante alla percezione comune della vecchiaia. Nei secoli passati, quelli che arrivavano all’età avanzata, pochi rispetto ad oggi, erano malandati e pieni di acciacchi. Invecchiare rimaneva e rimane ancora oggi, nel profondo della nostra mente, uno spauracchio. Un altro motivo che influenza la percezione negativa della vecchiaia è il vivere la fase ultima del nostro ciclo di vita come l’anticipazione del non essere nel mondo, il pensiero sempre più incalzante della nostra finitudine. Ecco che “i vecchi sono sempre gli altri”, evidente meccanismo difensivo dall’angoscia di morte.
Tutti noi che aspiriamo ad una vita lunga, dovremmo tenere presente la vecchiaia non più come paura, ma come desiderio. Quali le strategie da seguire? Semplicemente evitare di interiorizzare i preconcetti sui vecchi suggeriti dall’ambiente, ricordando a noi stessi che subiamo molto spesso l’influenza negativa anche di chi ci informa dei propri acciacchi attribuendoli all’età, cercando così in noi conforto e solidarietà. Poi mantenere, coltivare interessi, coinvolgimento emotivo, curiosità, impegno, avere ogni giorno anche un piccolo compito da portare a termine, aprirsi ai rapporti con gli altri, ma anche saper apprezzare il silenzio che favorisce la riflessione, la fantasia, il sogno, e perché no, la speranza che anche quel voto che vorrebbero negarci possa contribuire a cambiare il mondo.

Immagine di apertura: Gerd Altmann

Nato a Reggio Calabria, fiorentino di adozione, neuropsichiatra e geriatra. Laureato in Medicina presso l'università di Messina, dopo l’esperienza di medico condotto in Aspromonte, si è trasferito a Firenze presso l’Istituto di Gerontologia e Geriatria diretto dal professor Francesco Maria Antonini. Specializzato in Gerontologia e Geriatria, Malattie Nervose e Mentali, presso l'Ospedale I Fraticini di Firenze si è occupato del settore psicogeriatrico. È stato docente di psicogeriatria all'Università di Firenze. Ha collaborato al "Corriere della Sera" con una rubrica dedicata alla Geriatria.

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