Milano 28 Maggio 2022

Correva l’anno 1909. Il 13 Maggio alle 2.53 del mattino dall’odierna piazzale Loreto di Milano partì il primo Giro d’Italia. Sei squadre, 166 iscritti, otto tappe, 2448 km. Biciclette di ferro, almeno 15 chili di peso, un tubolare incrociato sulle spalle in caso di foratura. Un solo freno, nessun cambio. Non c’erano né assistenza né ammiraglie. La divisa era in lana pesantissima.

Lugi Ganna (1883-1957) fu il primo vincitore del Giro d’Italia nel 1909. Qui è ritratto nel 1914 in uno studio fotografico di Varese

Corre l’anno 2022. Il 6 maggio da Budapest prende il via il Giro d’Italia numero 105: 22 squadre, 176 corridori di 28 nazioni, 21 tappe, 3445,6 km.
Correva l’anno 1909. Il vincitore Luigi Ganna, muratore di Induno Olona, classe 1883 (morirà nel 1957), incassa 300 lire. Montepremi finale 25 mila lire; una bici costava 100 lire, la paga media di operaio si aggirava intorno alle 50 lire.
Corre l’anno 2022. Tra premi ordinari, speciali e sponsor il vincitore di questa edizione numero 105 intasca quasi 266mila euro, da spartire con i compagni e lo staff. Al secondo classificato vanno 133 mila euro, al terzo quasi 69mila. La vittoria di tappa vale 11mila euro, un giorno in maglia rosa 2000. Bici in carbonio da 10mila euro e passa, peso massimo 6,800 grammi, assistenza quasi perenne. Body spaziale super leggero da 3200 euro.

Fiorenzo Magni (1920-2012) in uno scatto dei primi anni Cinquanta. Vinse il Giro d’Itala nel 1948, nel 1951 e nel 1955

Nel 1909 il vincitore Luigi Ganna a fine gara rilasciò questo commento: «Me brusa tanto el cu». Anni dopo Ottavio Bottecchia, vincitore di due giri di Francia (1924, 1925) dirà :«Il ciclismo è uno splendido mestiere, fra l’altro assai facile. Ho fatto il boscaiolo nel Friuli e lavorato giorno e notte, a 10 gradi sottozero, è molto più difficile che scalare le Alpi».
E più avanti Fiorenzo Magni ricorderà: «Alla partenza si andava in bici. Al ritorno si andava in bici: adesso si potrebbe pensare a un buon riscaldamento, ma allora era solo povertà».
Nel 2022 il ciclista tedesco Lennard Kamna, 25 anni, è tra i protagonisti del Giro. Non andava in bici da un anno. Se ne era allontanato per il troppo stress che la vita da professionista gli stava procurando. Così aveva fatto Tom Dumoulin, 31 anni, primo olandese a volare primo nel Giro 2017. Dopo una lunga pausa da depressione, ha ripreso a pedalare nella “corsa rosa 105”.
Oh grande forza dei pedalatori antichi! verrebbe da dire, storpiando l’Ariosto, in ricordo dei Ganna, dei Bottecchia, dei Magni… Costoro non avevano problemi di salute mentale, erano uomini duri, nati nelle ristrettezze, pronti al sacrificio. Ma non è cambiato solo il capitale umano nel ciclismo e quindi nel Giro.

Vincenzo Nibali bacia il “trofeo senza fine” alla fine del 99° Giro d’Italia nel 2016. Ha vinto anche quello del 2013 (foto di Andrea Pellegrini)

Torniamo al presente. Un giro (tondo) interminabile di delusioni. Una giostra ingannevole di illusioni. Il giro d’Italia numero 105 (Budapest 6 maggio- Verona 29 maggio) ha offerto abbondantemente le une e le altre. Alle prime siamo abituati da anni. La parte del leone la fanno gli “altri”. A malapena si è riusciti a conquistare qualche tappa. Briciole. Si è tornati al 1959, o al 2018, quando la Maglia Rosa restò sulle spalle degli stranieri dal primo all’ultimo giorno. E al 2017, quando riuscimmo a vincere una tappa con Vincenzo Nibali. Proprio quel Vincenzo Nibali, che l’anno prima aveva dato all’Italia l’ultima vittoria finale nella grande competizione. Ed è con lui che, nel 2022, finiscono le illusioni.
Il Giro numero 105, infatti, passerà alla storia più per chi se ne va che non per chi arriva (primo). L’annuncio dell’addio alle corse, l’11 maggio scorso, da parte dello Squalo dello Stretto (l’appellativo di Nibali) non ha lasciato attoniti come la morte di Napoleone, ma lascia un vuoto al momento incolmabile nel ciclismo nazionale.

Fausto Coppi (1919-1960), la leggenda del ciclismo italiano: vinse 5 volte il Giro d’Italia fra il 1940 e il 1953 e due volte il Tour de France

Dietro di lui il nulla, o quasi. «Non tramonterà mai la fiaba della bicicletta», scriveva Dino Buzzati al Giro d’Italia 1949, vinto da Fausto Coppi. La fiaba della bici sicuramente non conosce tramonto, «ma un genitore prima di mandare un ragazzino a pedalare ci pensa due volte. In Italia – ha dichiarato a Il Corriere della Sera Luca Quercilena, manager della potente squadra americana Trek Segafredo – non c’è un interesse governativo a sostenere il ciclismo come elemento culturale e di crescita».
Ed ecco che, allora, anche la fiaba del Giro si è appannata. La carovana rosa resta sempre ricca di fascino e attrazione, come già scriveva Anna Maria Ortese: «Muro di donne, di ragazzi, di uomini, contadini e borghesi, artigiani e signori, marinai, preti, maestri e maestre di scuola con la scolaresca al completo… E tutti, al passaggio del Giro, come mossi da un vento, si piegavano avanti, e in quell’attimo si udivano risa di gioia e grida e voci che chiamavano con amore, e incitavano, e subito dopo più niente: come un film vive solo in quell’attimo che attraversa lo schermo, quel muro diventava umano solo nel tempo ch’era illuminato dal Giro. Poi ritornava muro, vento, memoria».
Nei tempi recenti la kermesse ha acquisito un’enorme rilevanza soprattutto economica e una dimensione internazionale (per 14 volte è partita dall’estero, quest’anno per la prima volta ha conquistato una tappa un atleta nero africano, vorrebbero addirittura farlo partire da Tokyo!). Le formazioni più forti hanno budget annuali che vanno da 20 a 50 milioni di euro.

Eddy Merckx, belga, classe 1945, detto il “Cannibale” per la sua voglia di vincere sempre e comunque, in una foto del 1973. Vinse 5 volte il Giro d’Italia uguagliando il record di Coppi

Non si può tornare indietro nel tempo, ma si può avere il desiderio, a volte molto forte, di riprovare quelle emozioni che ci hanno dato piacere e gioia. E allora scatta la nostalgia. E si galoppa, o si pedala, con la fantasia e il sentimento verso il tempo andato. Se il dualismo che spaccò l’Italia fra Coppi e Bartali è troppo lontano, gli anni Sessanta ci parlano del cannibale Eddy Merckx contrastato faticosamente da Felice Gimondi. Tra gli anni Settanta e Ottanta un’altra sfida a distanza è quella tra Beppe Saronni e Francesco Moser. Poi occupano la scena due campioni stranieri come il francese Bernard Hinault e lo spagnolo Miguel Indurain. Dobbiamo, però, aspettare l’apparizione di Marco Pantani e poi di Vincenzo Nibali per riprendere a sognare, o a illuderci, e a far svanire, la delusione, l’indifferenza e la rabbia che in quegli anni si era insediata in noi.
Il Giro d’Italia diventava sempre più “televisivamente” spettacolare e spettacolarmente televisivo (moto ed elicottero ormai non nascondevano più nulla), sempre più estremo, come la tecnologia e la competizione. Contemporaneamente, però, veniva devastato dalla epidemia del doping. Una strage di campioni colti con l’Epo nel sangue o porcherie chimiche in corpo.
È vero che svaniscono i decenni e il tempo li fa belli. Ma…la favola bella delle due ruote che ieri ci illuse, che oggi ci illude (D’Annunzio ci perdoni) sembra svanita. E allora consentite ai nostalgici di un ciclismo perduto di aggrapparsi (senza speranza) a quanto scrisse Indro Montanelli: «Lasciatelo com’è questo Giro provinciale e festoso: lo sport di un popolo che, nella corsa verso il progresso meccanico, è rimasto alla bicicletta, tappa intermedia fra il cavallo e l’automobile, ritrovato artigiano e arnese di famiglia».

Immagine di apertura: foto di Pavla Kozáková

 

Nato e cresciuto in Sardegna, milanese di adozione, giornalista professionista dal 1973, alla sua carriera manca solo l’esperienza televisiva. Per il resto non si è risparmiato nulla: giornale del pomeriggio (La Notte), quotidiano popolare (l’Occhio), mensile di salute (Salve), settimanale familiare (Oggi), una radio privata per divertimento (Ambrosiana) e quindi 20 anni di “Corriere della Sera”, dove si è occupato di attualità nazionale e internazionale. Ha avuto anche un’esperienza di (mini) direttore per quasi due anni al Corriere, quando gli è stata affidata la responsabilità di “Corriere anteprima”, freepress pomeridiana. Laureato all’università Cattolica a Milano in Lettere Classiche, ma con una tesi sul cinema, ha provato a scrivere un libro (guida turistica) e non c’è riuscito.

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