Milano 27 Giugno 2025
Fusioni, aggregazioni, accorpamenti: il mondo bancario italiano sta attraversando un periodo di grandi cambiamenti. Alcune operazioni sono già in fase avanzata (come l’acquisizione di Banca Popolare di Sondrio da parte di Bper attraverso un’Ops, offerta pubblica di scambio, o quella di Unicredit su Bpm) ma molti altri fronti restano ancora aperti. Tutto questo attivismo è stato definito risiko, dal nome del celebre gioco da tavolo. E in effetti la semplificazione giornalistica mai come in questo caso è appropriata: sembra davvero un gioco a incastri, anche se non ha nulla di ludico. Ciò che rischia di essere trascurato è l’effetto pratico degli interventi messi in atto da parte degli istituti di credito interessati. Quali le conseguenze per i correntisti delle banche coinvolte e per i risparmiatori che posseggono (o intendono acquistare) le azioni delle stesse banche?

Tutto nasce – è bene precisarlo subito – da un’esigenza precisa e tutto sommato ragionevole: quella di ridurre i costi e quindi migliorare i conti economici delle aziende bancarie, che operano in uno dei settori maggiormente esposti all’evoluzione tecnologica. Già oggi l’home banking, cioè la possibilità di effettuare da casa tutte, o quasi, le operazioni bancarie, dai bonifici all’accensione di un prestito, è una realtà diffusa. Di conseguenza c’è la tendenza a ridurre il numero delle filiali attive. Il che porta a risparmi certi per le banche. Un vantaggio che dovrebbe in qualche misura essere trasferito alla clientela. Non mancano però, per la stessa clientela, i risvolti negativi, a partire da un minore presidio sul territorio, che finisce col privare della consulenza diretta le fasce più deboli della clientela (si pensi agli anziani e ai meno esperti di rapporti bancari).

Qualche disagio potrebbe poi verificarsi proprio nella fase immediatamente successiva all’acquisizione, quando si tratterà di integrare l’attività della nuova banca in quella che l’ha comprata. In questo caso è importante pretendere, da parte della clientela, che vengano applicate le condizioni più favorevoli fra quelle proposte da ciascuno dei soggetti coinvolti. Il cambiamento della carta bancomat e delle eventuali carte di credito, per esempio, dovrebbe avvenire senza costi. In caso contrario la legge permette comunque al correntista di recedere dal contratto senza alcuna penalità.
Le aggregazioni tra due diversi istituti (che portano con sé le rispettive clientele) possono invece tradursi in un vantaggio per chi chiede un finanziamento, si tratti di un’impresa intenzionata a espandersi o di un privato cittadino che richiede un semplice prestito a breve termine oppure l’accensione di un mutuo. Avendo come interlocutore un istituto bancario più grande (e presumibilmente più solido), frutto di una fusione, potrebbero esserci più margini di manovra nella trattativa, con l’obiettivo di ottenere condizioni migliori. Ogni singolo caso, tuttavia, fa storia a sé e le situazioni possono anche modificarsi nel tempo, sempre con il consenso delle parti in causa. Nel caso invece di mutui e prestiti già attivi, in caso di aggregazione fra banche non cambia nulla, poiché i contratti aperti restano in vigore fino alla scadenza. Insomma, le operazioni di fusione e acquisizione possono portare a efficienze e miglioramenti dei servizi, ma è fondamentale che i benefici siano distribuiti equamente tra azionisti, clienti e dipendenti.

Più complesso è invece il discorso relativo alla compravendita in Borsa delle azioni degli istituti che si fondono o realizzano aggregazioni di qualsiasi tipo. Le operazioni ipotizzate negli ultimi tempi hanno già spinto al rialzo i titoli bancari. E il trend potrebbe proseguire. Per beneficiarne occorre essere particolarmente esperti. È difficile individuare la strada migliore da seguire, specialmente nel caso in cui l’operazione proposta si basi su uno scambio di titoli. Le formule possibili possono essere diverse e ciascuna di esse con un differente grado di complessità. Si va dal semplice scambio, dove l’unico nodo da sciogliere in termini di convenienza è il rapporto di cambio: quante azioni di una banca servono per ottenere quelle dell’altra. Qui entrano in gioco le valutazioni delle due società interessate, in base alle quali, una volta acquisite, è abbastanza facile stabilire la correlazione. Se però la permuta è accompagnata da una integrazione in denaro, subentra l’esigenza di una ulteriore trattativa fra le parti, tale da complicare la transazione, o quanto meno di ritardarla. Ebbene, proprio nell’ambito del processo che dovrà portare a stabilire il rapporto di cambio – e prima che la trattativa si concluda – esistono i margini per intervenire sul mercato. Il risparmiatore meno esperto dovrà però in questo caso farsi assistere necessariamente da un consulente qualificato.
Immagine di apertura: foto di James Qube