Firenze 25 Aprile 2021
È fuor di dubbio che vaccinare gli anziani e le persone più vulnerabili, sin dall’inizio della campagna vaccinale, avrebbe ridotto il numero dei decessi e dei casi di Covid gravi. Dopo quasi un anno e mezzo dall’inizio della pandemia i dati statistici ed epidemiologici lo hanno ampiamente confermato. «Vaccinare gli over ottanta e successivamente gli over settanta è la strategia più semplice e che maggiormente riduce il dramma del Covid» ha precisato ai microfoni di Sky TG24 Carlo La Vecchia, Professore di Statistica medica ed epidemiologia dell’Università di Milano. Non a caso Mario Draghi è corso ai ripari, imponendo l’assoluta “priorità” della vaccinazione per la fascia di popolazione dai settant’anni in avanti.
Dovremmo chiederci perché, una volta intrapresa la campagna vaccinale, la suddetta strategia non sia stata attuata sin dall’inizio, ma abbiano prevalso criteri corporativi. Così la precedenza alla vaccinazione ha privilegiato professori universitari (con tutto lo stuolo di assistenti e dottorandi, anche se molto giovani), magistrati, avvocati e psicologi. E poi i furbetti, come i sedicenti caregiver. Certamente tutte categorie non a rischio, visto che non mi risulta siano impiegati nell’ambito clinico del Covid 19.

Dall’esordio della pandemia alla disponibilità dei vaccini c’è stato un periodo sufficientemente lungo per riuscire a programmare una strategia che tenesse conto delle caratteristiche epidemiologiche del Covid 19 e del rischio maggiore per gli anziani; quindi delle priorità che si sono rese sempre più urgenti, vista la carenza di vaccini. Invece, fatalismo, superficialità nel valutare i dati o altro cui abbiamo accennato (l’Italia delle corporazioni e dei furbetti) hanno fatto sì che ancora una volta gli anziani non abbiano avuto la giusta considerazione. Ad alcuni potrà sembrare un’affermazione polemica, eccessiva, a noi appare una conferma, come se ce ne fosse ancora bisogno, di una “cultura dello scarto” nei riguardi degli anziani (espressione usata da Papa Francesco riferita ai poveri).
Eppure i dati parlavano, e parlano ancora, chiaro: stando al report dell’Istituto Superiore di Sanità della fine di gennaio, su 85.418 pazienti morti per Covid 19 in Italia, solo l’1,1 per cento aveva meno di cinquant’anni e solo il 3,1 per cento non aveva altre patologie mentre l’ultimo report dell’Istituto del 30 marzo scorso, fissa a 81 anni l’età media dei pazienti mancati per Coronavirus. Oltre il 61 per cento dei decessi è di persone sopra gli ottant’anni, il 24 per cento riguarda i 70-79enni.
Ad un certo punto ci si è accorti che non era ipotizzabile parlare di riaperture finché non si riducevano i morti e, così, finalmente si è corsi ai ripari vaccinando le fasce della popolazione più in là con gli anni. Ma questo non significa che stia cambiando una mentalità. In realtà, nessuno sembra rendersi conto che gli anziani non sono minoranza facilmente discriminabile; anzi, visto il loro numero in continuo aumento grazie ai progressi della medicina preventiva, rappresentano una parte rilevante del tessuto sociale. Ciononostante l’anziano viene percepito con una serie di attributi negativi, assimilati inconsapevolmente, che ne riducono il valore compromettendo, magari ritardando, come in questo caso, la messa in atto di misure protettive come i vaccini. Quasi che il valore della persona diminuisca con la riduzione dell’aspettativa di vita.
Sono considerazioni che sul piano delle strategie per contrastare la diffusione del Covid non dovrebbero avere alcun peso. È, però, un dato di fatto che l’anziano che muore dà luogo ad un minore coinvolgimento emotivo: «ha vissuto la sua vita» oppure «non siamo immortali».
Speriamo di avere imparato la lezione da questa storia: considerare la persona indipendentemente dall’età anagrafica sarebbe una rivoluzione culturale contro una forma subdola di razzismo che spesso emargina la persona anziana ignorandone capacità, ricchezza intellettuale, sensibilità. Quindi non più cittadini di seconda fila come sovente succede e come ha dimostrato, ancora una volta, l’evento pandemico nell’uso dei vaccini.
Immagine di apertura: foto di Wilfried Pohnke