Milano 23 Settembre 2020
Siamo tutti convinti che la tecnologia non potrà mai sostituire l’interazione fra gli uomini, ma va da sé che anche la psicoanalisi è stata fortemente influenzata dalla rete e in questo ultimo periodo, a causa di una pandemia che ci riporta a un lontano passato, abbia (in un certo senso) cambiato pelle per sopravvivere e lavorare ancora accanto ai pazienti, non più ascoltati personalmente nello studio dell’analista, bensì utilizzando le sedute online.

In un instant book appena uscito per FrancoAngeli, Dal divano di Freud al monitor del pc, Augusto Iossa Fasano, psicoanalista, psichiatra, didatta e supervisore e Paolo Mandolillo, psicologo e psicoterapeuta, raccontano le loro più recenti esperienze e, alla luce di raffinate attrezzature concettuali, non lasciano nulla di intentato al fine di validare teorie e, all’occorrenza, confutare ogni facile illusione a favore della e-psychotherapy. Si scopre così che, al di là di ogni ragionevole dubbio, la cura online funziona (almeno quanto quella classica) e, cosa ancor più straordinaria, sembra essere molto gradita ai pazienti. Ma il primo ad andare “oltre il divano” fu proprio lo stesso Sigmund Freud che condusse un’analisi didattica con Max Eitingon, forse la prima della storia, durante lunghe passeggiate per le strade di Vienna tra la fine del 1908 e l’inizio del 1909, e, nel caso di persone che non potevano materialmente recarsi nel suo studio, fece largo uso della corrispondenza epistolare. Il passaggio successivo fu, negli anni Cinquanta, l’utilizzo del telefono. La telephone analysis nacque dal pensiero dello psichiatra e psicoanalista statunitense Leon Joseph Saul (1901-1983) per minimizzare gli effetti dispersivi della grande mobilità tipica della società americana in cui un individuo in analisi doveva spostarsi spesso per lavoro e a grandi distanze dallo studio del terapeuta. Dopo il crollo del muro di Berlino per superare la scarsa offerta di occasioni di training analitico nell’Europa dell’Est furono sperimentate per la prima volta le Shuttle analysis, percorsi di didattica di gruppo che rappresentarono uno scollamento significativo dalla prassi usuale, qualcosa di simile a quanto succede oggi con la terapia online.

Adesso l’emergenza Covid e lo stato di quarantena hanno spinto al massimo l’utilizzo di internet. «Ma qualcosa era già accaduto negli ultimi anni – spiega Iossa Fasano -, si era passati dalla comunicazione telefonica con lo psicoanalista sul numero fisso a quella sul cellulare, poi all’uso di sms, poi alla mail o a Whatsapp o ad altri mezzi di comunicazione sempre meno convenzionali», con conseguente reciproca penetrazione nell’intimità, “naturale” violazione della privacy, inevitabile esposizione di dati sensibili, quali il volto. Ma il setting non si era fondato giusto sul limite e sulla regola? «Ora – prosegue Fasano – nel giro di pochi giorni lo stato di necessità ha preso il sopravvento, i limiti sono stati valicati senza autocritica». Ed ecco la sorpresa: la rassicurante constatazione emersa dal confronto con i colleghi che i pazienti ci sono, e in alta percentuale hanno accettato le sedute online, tutti o quasi tutti. Ma è sufficiente che funzioni? Si chiedono ancora gli autori del libro. Se il luogo fisico della cura è rappresentato dalla stanza in cui si svolge la terapia, scomparso questo luogo, sarà necessario riposizionarne teoricamente il concetto.

«Le coordinate spaziali si discostano dalla sede che costituisce “il domino” del terapeuta, il setting in studio, e propendono per il con-domino verso la casa, con tutte le implicazioni di “identita di luogo” che questo spostamento comporta», puntualizza Iossa Fasano.
«Che sia una faccenda molto complicata lo dimostra il fatto che non tutte le voci cantano precisamente all’unisono nei confronti di questo tipo di terapia nuovo di zecca. Siamo tutti obbligati a utilizzarla, tranne i pazienti che l’anno espressamente rifiutata – osserva il professor Giovanni Foresti, psichiatra e analista della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) – . I pazienti già in trattamento se ne giovano, ma risulta gradita anche agli analisti che erano da sempre ostili e riluttanti in ragione del fatto che quando si utilizza un medium che facilita il contatto veloce si rischia la superficialità». Esistono, però, aspetti che complicano il rapporto tra paziente e analista nella terapia online, come la “virtualizzazione” dell’interlocutore.

«L’oggetto perde la sua fisicità – aggiunge Foresti – favorendo una decadenza nella qualità. Non per niente un detto tipico del mondo psicoanalitico statunitense suona così: “Se non ha un odore, non è psicoanalisi’”, per sottolineare lo stretto rapporto tra paziente e analista, che supera l’umano sconfinando quasi nell’animalità». «Infine sarebbe da enfatizzare il problema della privacy – conclude Foresti – che da un lato fa correre rischi a pazienti e terapeuti potendo creare ipoteticamente problemi simili a quelli della confessione in campo religioso, dall’altro mette in difficoltà i molti che, in una condizione domestica non appropriata e sacrificata per ragioni di spazio o altro, hanno difficoltà a parlare di argomenti intimi davanti allo schermo del computer».
Interrogativi importanti, ai quali, forse, la pratica clinica riuscirà a dare una risposta.
Immagine di apertura: foto di Kiquebg
OTTIIMO INTERVENTO !
grazie