Firenze 23 Aprile 2020

Le cifre sono inconfutabili: il Coronavirus ha colpito e continua a colpire soprattutto la popolazione anziana. I numeri esprimono in modo chiaro la tragedia che stiamo vivendo. Molte certezze, come nuvole di passaggio, si allontanano da noi, diventiamo sempre più insicuri e forse qui comincia a tramontare la speranza e, perché no, il desiderio non sempre confessato di una vita lunga, quasi senza fine. Improvvisamente il Covid-19, termine tecnico, quasi burocratico, ci richiama alla nostra realtà, vulnerabili ed esposti al rischio di non poter vivere una vita da longevi. Non ci occuperemo delle caratteristiche del virus, della sua diffusione, dei quadri clinici cui dà luogo, delle eventuali terapie e dei mezzi per evitare di essere contagiati, compito svolto quotidianamente dagli esperti.

Vorremmo, piuttosto, fare alcune considerazioni su commenti e interpretazioni che la maggior parte dei mezzi di comunicazione ci hanno somministrato. L’elevata percentuale di decessi nella popolazione anziana viene attribuita alla presenza di patologie concomitanti quali diabete, ipertensione, cardiopatie, malattie broncopolmonari, obesità o altre affezioni croniche capaci di menomare la risposta immunitaria dell’organismo. In parole povere, se non fosse arrivato il Coronavirus, molti anziani non sarebbero morti visto che in condizioni normali anche soggetti in là con gli anni con queste patologie concomitanti, grazie ai progressi della medicina, hanno oggi un’aspettativa di vita simile a quella dei coetanei sani.

Allora, se le malattie più frequenti che accompagnano l’età avanzata hanno un ruolo determinante nelle morti cui abbiamo assistito, un primo corollario di questa pandemia è che bisogna uscirne già da subito con idee molto chiare che privilegino la salute e la salvaguardia dell’ambiente. In modo da assicurare a quante più persone possibile una vecchiaia sana in cui l’anziano non sia più un numero, un peso economico, spesso una non persona, allineato, come accade oggi, in una serie di bare anonime; un destino già previsto che non lascia molto spazio al dolore della perdita.
Un’altra epidemia ha colpito gli anziani da tempo immemorabile: è l’epidemia marginalizzante dei pregiudizi. Oggi un altro stigma si aggiunge all’essere vecchi ed è quello di essere selezionati senza appello dal Covid-19. Nella realtà diagnosi e interventi tempestivi anche nei più anziani hanno funzionato salvando molte vite. Va sottolineato che è dentro di noi un sentire (di cui non sempre siamo consapevoli) che condanna le persone in là con gli anni ad una cittadinanza di seconda classe. Di fronte al vecchio colpito dal Coronavirus il giudizio del medico può essere condizionato dalla propria convinzione della ineluttabilità di una prognosi infausta.

Quindi, ridefinire, ripensare il ruolo del medico chiamato a fronteggiare una tale pandemia sia sul piano fisico sia sul piano emotivo, non comporta soltanto l’impadronirsi di ogni strumento che la tecnologia ci mette a disposizione. È altrettanto necessario aiutare gli operatori sanitari a mantenere in ogni momento consapevolezza e equilibrio nelle proprie decisioni, sia sotto l’aspetto professionale sia sotto il profilo etico. Un corso approfondito di psicologia dinamica durante gli anni di formazione universitaria e un tirocinio pratico in corsia sono tappe fondamentali nella preparazione dei futuri camici bianchi. Una volta divenuti operativi, soprattutto quelli impegnati nelle Unità di Terapia Intensiva, potrebbero trarre vantaggio per sé e per i propri pazienti da gruppi d’incontro per scambiarsi emozioni, dubbi e incertezze. Il rapporto quotidiano con pazienti la cui vita è minacciata come è successo con il Coronavirus, richiede preparazione, capacità di interagire, equilibrio al di là di pregiudizi e condizionamenti culturali, soprattutto quando ci si occupa di pazienti anziani.

immagine di apertura: foto di Truthseeker08

Nato a Reggio Calabria, fiorentino di adozione, neuropsichiatra e geriatra. Laureato in Medicina presso l'università di Messina, dopo l’esperienza di medico condotto in Aspromonte, si è trasferito a Firenze presso l’Istituto di Gerontologia e Geriatria diretto dal professor Francesco Maria Antonini. Specializzato in Gerontologia e Geriatria, Malattie Nervose e Mentali, presso l'Ospedale I Fraticini di Firenze si è occupato del settore psicogeriatrico. È stato docente di psicogeriatria all'Università di Firenze. Ha collaborato al "Corriere della Sera" con una rubrica dedicata alla Geriatria.

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