I mercati finanziari, travolti anch’essi da Covid-19, ci fanno conoscere nuove terminologie. Da quando è scattata l’emergenza sanitaria, i media rilevano quotidianamente, accanto alle statistiche dei nuovi contagi, le evoluzioni degli indici azionari. E, come è già accaduto in passato, stiamo imparando parole finora sconosciute ai non addetti ai lavori. Abbiamo capito per esempio il significato di termini come spread (la differenza di rendimento tra i titoli di Stato di diversi Paesi) o di formule come quantitative easing (l’acquisto di titoli da parte delle banche centrali). Nei giorni scorsi è toccato alle cosiddette “vendite allo scoperto”. Di cosa si tratta davvero, al di là delle definizioni generiche che ne hanno dato i media non specializzati?
Vendere allo scoperto significa vendere qualcosa che non si possiede. Ma come è possibile? Facciamo un esempio terra terra. Posso andare al mercato della frutta e dire a un potenziale compratore che potrei rifornirlo di un quintale di mele e stabilire con lui un prezzo per questa fornitura, con tempi di consegna prefissati, poniamo tre giorni. Le mele però non le possiedo ancora perché scommetto su una rapida discesa del prezzo delle mele e intendo comprarle all’ultimo momento, oppure perché so che in un altro mercato costano meno. Così le compro a mia volta entro questi tre giorni, pagandole un prezzo inferiore a quello pattuito e arrivo puntuale a consegnare la merce e incassare il controvalore.
Qualcosa di simile accade sui mercati finanziari, dove le compravendite viaggiano ben più velocemente, grazie al fatto che gli scambi avvengono su piattaforme informatiche. In Borsa si può acquistare e vendere in pochi secondi, con un semplice clic. Per questo gli operatori di professione, i cosiddetti trader, lo fanno di continuo, movimentando enormi quantità di titoli nel corso della stessa giornata. Addirittura esistono programmi preconfezionati che fanno scattare acquisti e vendite al raggiungimento di determinati livelli di prezzo. Ovvio che la vendita allo scoperto diventa in questi condizioni molto più facile.
A questo punto però è bene precisare che l’operazione, se non si posseggono i titoli oggetto del contratto, non viene accettata dalle piattaforme ufficiali. Solo qualche decennio fa, quando le contrattazioni si facevano “alle grida”, questo era possibile, poiché tutte le operazioni di uno stesso soggetto nel corso di un mese venivano chiuse in un giorno preciso del mese successivo, quando si pareggiavano le quantità scambiate e si provvedeva a liquidare il saldo monetario, perdita o guadagno che fosse. E se un contraente per un motivo o per l’altro non era in grado di consegnare i titoli venduti, questi venivano acquistati coattivamente l’ultimo giorno del mese, a qualunque prezzo.
Dal 2009 esiste un organismo europeo, l’Esma (European Securities and Markets Authority), creato per vigilare sui mercati finanziari e coordinare l’attività delle authority locali (in Italia la Consob), che ha vietato già da alcuni anni le vendite allo scoperto che possiamo definire “pure”, cioè senza possedere i titoli. La speculazione al ribasso è comunque possibile, perché chi vuole metterla in atto (per esempio un hedge fund) non fa altro che “prendere in affitto” i titoli da un altro operatore, pagando un canone, come si fa con gli immobili. Ovviamente l’operazione diventa conveniente se il costo dell’affitto è inferiore a quanto l’operatore al ribasso pensa di guadagnare quando ricomprerà i titoli a un prezzo inferiore rispetto a quello di vendita.
Il Covid-19, però, ha indotto l’Esma a sospenderla temporaneamente anche questa pratica. A partire dal 18 marzo scorso e per tre mesi, dunque, anche le vendite allo scoperto effettuate utilizzando i titoli in prestito sono vietate. E per quanto riguarda Piazza Affari la Consob, così come le altre autorità di controllo europee, si è adeguata.
Non solo. Le stesse autorità di controllo debbono essere tenute al corrente (e quando lo ritengono comunicarle al mercato) quando le vendite superano una determinata soglia, pari a una percentuale del capitale della società quotata le cui azioni sono oggetto del contratto. Ebbene, con l’emergenza del coronavirus la soglia è stata abbassata. D’ora in poi (e sempre per tre mesi) sarà pari allo 0,1% per le società primarie e allo 0,3% per quelle medie e medio-piccole. Questo per evitare che con i prezzi troppo bassi qualcuno possa conquistare in gran segreto la maggioranza di un’azienda, impedendo ad altri soggetti di entrare in gioco con le loro offerte.

Immagine di apertura: foto di romanakr

Nato a Rivanazzano Terme (Pavia) è giornalista professionista dal 1977. Per quasi trent'anni alla redazione Economia del "Corriere della Sera", è stato per molto tempo titolare della rubrica quotidiana sulla Borsa Valori. Prima di approdare nel 1986 a via Solferino, è stato Caporedattore a "Il Mondo" e in precedenza ha lavorato al "Sole24ore" e alla "Gazzetta del Popolo" di Torino. Tra i suoi libri, "Guida facile alla Borsa", Sperling & Kupfer (tre edizioni, l'ultima nel 2000) e "Meno Agnelli, più Fiat, cronaca di un cambiamento", Daniela Piazza Editore, 2010.Nel 2019 per Mind Edizioni è uscito il suo ultimo libro, "Difendi i tuoi soldi. Capire prima di investire".

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