Ustica 28 Maggio 2022
Se fosse ancora qui fra noi, quest’anno avrebbe compiuto un secolo tondo. Festeggiare il suo centenario da vivente non sarebbe stato poi così improbabile perché Margherita Hack, nata il 12 giugno 1922 e mancata il 29 giugno del 2013, all’età di 91 anni appena compiuti, con la sua vitalità prorompente ci aveva fatto sperare in una straordinaria longevità. Leggendo i suoi libri e articoli, ascoltando i suoi interventi a conferenze e serate di osservazione astronomica, ammirando la sua grande capacità di trasferire conoscenze e passioni, avevamo immaginato per lei un futuro ancora ricco d’iniziative e soddisfazioni.
Studio, ricerca e speranza di tempo erano tutti elementi indissolubilmente legati e palpitanti nell’esistenza dell’anziana Margherita. C’è una sua battuta, riproposta più di una volta in occasione di manifestazioni pubbliche, che testimonia la sua costante attitudine a guardare ben oltre i limiti solitamente assegnati all’esistenza umana. La dobbiamo a una sollecitazione di Fabio Pagan, un brillante giornalista scientifico triestino che ha conosciuto e frequentato Margherita fin dal lontano 1964, anno in cui lei ottenne la cattedra di Astronomia all’Università di Trieste e la direzione dello storico Osservatorio di Basovizza (prima donna italiana a dirigere un Osservatorio Astronomico universitario). Fabio Pagan, le chiese: «Margherita, se ti fosse concesso di montare sulla Macchina del Tempo di Herbert George Welles, in quale epoca vorresti trasferirti per dare una sbirciatina?».
Senza pensarci un attimo Margherita rispose: «Il passato lo posso conoscere attraverso i libri, i documenti, i cimeli. La vera avventura è proiettarsi nel futuro: è lì che vorrei fare un grande salto!». La risposta entusiasmò a tal punto il pubblico che Fabio Pagan la ripropose, a distanza di tanti anni, alla novantenne Margherita, che non ebbe mai il desiderio (come talvolta succede agli anziani) di voler tornare indietro a rivivere vicende del passato. Al contrario, rispose di essere sempre pronta al balzo verso il futuro.
Anch’io ho conosciuto Margherita Hack in epoche remote, non soltanto grazie alla mia attività professionale di giornalista scientifico de Il Corriere della Sera, ma anche per essere stato cofondatore, alla metà degli anni Sessanta, dell’Unione Astrofili Italiani (UAI), l’associazione che coordina l’attività di ricerca e divulgazione astronomica praticata da gruppi di appassionati non professionisti. Margherita era sempre disponibile a scrivere un articolo per un giornale, ad accettare un invito per una trasmissione televisiva, e partecipare a una conferenza organizzata da noi giovani astrofili.
Al Corriere era di casa: in occasione di eventi astronomici spettacolari e di risultati scientifici che riguardavano le materie di sua competenza, era consuetudine intervistarla o chiederle un articolo in esclusiva. Qualche volta è toccato a me l’incarico di proporle una collaborazione. E in queste occasioni ho scoperto un curioso retroscena della sua attività di scrittrice e divulgatrice dell’astronomia. Si suole ripetere – sono stati scritti libri in proposito – che «dietro un grande scienziato c’è spesso una grande donna». Così fu per Einstein le cui formule sulla relatività furono riviste dalla prima moglie Mileva Maric; oppure per William Herschel che la notte del 3 marzo 1781, quando scoprì Urano (il settimo pianeta del sistema solare) aveva accanto come assistente e abile calcolatrice di trigonometria sferica la sorella Caroline. Nel caso di Margherita i generi contenuti nella citazione vanno invertiti. Dietro la sua copiosa produzione letteraria c’era la penna abile e raffinata del marito.
«Margherita, perdonami se torno a disturbarti, ma il caporedattore mi ha detto che se il tuo articolo non arriva entro domani non riusciremo a inserirlo in pagina», dovetti dirle un giorno in cui aspettavamo con ansia l’articolo concordato. «Hai ragione, aspetta un attimo», rispose lei tappando malamente con la mano il microfono del telefono fisso, tanto che sentii distintamente la sua frase: «Aldo, hai finito di rivedere il mio articolo? Guarda che deve essere consegnato domani!». Così ho scoperto chi era il revisore dei suoi pezzi. Revisioni opportune perché lei era una scrittrice prolifica, fluente, ma poco rifinita: scriveva d’impeto così come parlava e dunque c’era bisogno di mettere a posto qualcosa nei suoi testi. Ci pensava Aldo.
Aldo De Rosa, professore di Lettere nei licei, di due anni più anziano di Margherita, è stato marito devoto e nume tutelare della sua opera di scrittrice. Erano indissolubili, lui la seguiva in ogni occasione, curava il calendario dei suoi impegni e, in tempi in cui non c’erano né computer né mail, s’incaricava di spedire per posta ordinaria o per fax i suoi testi ai giornali e alle case editrici. Una volta che ci ritrovammo insieme a cena, Margherita e Aldo, entrambi fiorentini, mi raccontarono che si erano conosciuti all’inizio degli anni Trenta, quando frequentavano le scuole medie e andavano a passeggiare nei giardini di Boboli. «E lì abbiamo anche flirtato». Si erano piaciuti nonostante appartenessero a famiglie con orientamenti ideologici opposti: liberale, materialista e antifascista quella di Margherita, allineata con il regime e cattolica quella di Aldo. Ma erano entrambi amanti della letteratura (a quei tempi per Margherita non si era ancora accesa la grande passione per l’astronomia), e su questa affinità sbocciò l’amore. Si sposarono subito dopo la guerra e si può affermare senza enfasi che abbiano vissuto all’unisono per più di sessant’anni. Lui è mancato pochi mesi dopo la moglie.
Margherita raccontava di essere arrivata all’astronomia quasi per caso. «Ero attratta dagli studi letterari. Mentre mi preparavo per la maturità, che ai quei tempi era un incubo perché bisognava portare tutte le materie, arrivò la notizia che gli esami erano aboliti per lo scoppio della guerra. All’Università di Firenze mi iscrissi a Lettere, ma dopo qualche lezione scappai via: una noia mortale. Poiché a scuola mi ero appassionata anche alla Fisica, passai a questo corso di laurea». Fu determinante l’incontro con due illustri astronomi italiani che in quegli anni erano impegnati a rilanciare l’Osservatorio di Arcetri dopo i disastri della guerra: Giorgio Abetti e Mario Girolamo Fracastoro che la indirizzarono verso lo studio di un particolare tipo di stelle variabili, le Cefeidi, su cui la Hack sviluppò la tesi di laurea e successive ricerche. Quando le si domandava quale fosse stato il suo contributo all’astronomia in termini di scoperte, Margherita prima si schermiva, rispondendo che dopotutto aveva fatto ricerche appassionanti ma di routine; poi citava con orgoglio la prima corretta interpretazione della variabilità della stella Epsilon Aurigae, una cefeide la cui luminosità, secondo un modello proposto da lei stessa, è ciclicamente attenuata dal passaggio di una compagna fatta a gusci concentrici e anelli di gas ionizzati.
Modello che effettivamente è stato confermato, molti anni dopo, dalle osservazioni dal telescopio spaziale International Ultraviolet Explorer. Su Margherita è fiorita un’aneddotica legata alla sobrietà del suo stile di vita, al suo profondo rispetto per gli animali (a Trieste per casa sua giravano numerosi cani e gatti), al suo esprimersi sempre in termini schietti, senza formalismi accademici e con quell’incontenibile accento toscano che conferiva maggiore enfasi alle sue battute. Una volta gli astrofili spezzini m’invitarono a coordinare una tavola rotonda con alcuni illustri astronomi fra i quali la Hack. Alla fine fummo inviati a una sontuosa cena in un locale tipico. Margherita cominciò sistematicamente a rimandare indietro prima la ricca serie degli antipasti, poi due o tre assaggi di pasta. A questo punto si presentò affranto lo chef chiedendole se gradiva qualche altra cosa. Margherita non ci pensò un attimo e rispose: «Davvero stasera gradirei due uova rotte all’acqua!». In effetti gli organizzatori non avevano considerato che Margherita era vegetariana.
Nel 1993, dopo un paio di anni dall’eccezionale rinvenimento del cadavere mummificato di un cacciatore dell’età del rame nel ghiacciaio del Similaun, in Trentino Alto-Adige al confine con l’Austria, girò la notizia che Otzi (così lo avevano battezzato i ricercatori) fosse gay. Se fosse bufala o verità scientificamente accertata dalla presenza di sperma nella regione rettale non si era ancora capito, ma i media la condirono in tutte le salse. Al Corriere non so a quale caporedattore venne in mente l’idea di raccogliere e pubblicare i commenti di noti scienziati. A me toccò la Hack. Non sapevo da dove cominciare. Balbettai qualche cosa al telefono e mi sarei aspettato una frase liberatoria del tipo «Non è argomento di mia competenza». E invece: «Che vuoi che ti dica, bisogna complimentarsi con l’amante di Otzi!». «In che senso?». «Nel senso che se uno possiede uno sperma che si mantiene riconoscibile per cinquemila anni, allora deve essere superdotato!».
Una notte d’agosto, nella spianata di villa Borghese a Roma c’erano alcune migliaia di persone. La data precisa non la ricordo, attorno alla metà degli anni Novanta. Il cielo era limpido e s’intravedevano le stelle più luminose, qualche pianeta e un filo di Via Lattea. Con una torcia diaframmata in mano (non c’erano ancora i puntatori laser) Margherita tesseva storie di vanitose regine trasformate in costellazioni o di divinità che si camuffano da maestosi uccelli per sedurre le belle fanciulle; e alternava con disinvoltura antica mitologia greco-romana e astrofisica. Le stelle nane e le supergiganti, quelle che nascono nel grembo di nebulose di gas e polveri e quelle che muoiono con un collasso degli strati più interni e un’espansione di quelli esterni. Così, fra poco più di quattro miliardi di anni, finirà il nostro Sole, non prima di avere inghiottito i pianeti vicini, Terra compresa. Mentre Margherita parlava, io pensavo a quanti di quei ragazzi che la seguivano affascinati avrebbero scelto una materia scientifica, grazie a quell’incontro. Questo è stato il suo maggiore talento: trasferire passione, conoscenza, desiderio di apprendere e di approfondire. Per questo sarà ricordata come la più grande divulgatrice dell’astronomia italiana.
Immagine di apertura: una bella immagine di Margherita Hack (fonte: medicina online)