Milano 27 Giugno 2025

Giganti della musica. Tutti. Però ognuno con un però: Il direttore Claudio Abbado? «Bacchetta miracolosa». Ma noioso nelle prove; poi alternava le prime parti in orchestra e ti dovevi alzare a piazzarti nelle file. «Ma siamo matti? – saltai su – mentre i colleghi per quieto vivere stavano zitti». Riccardo Muti? «Perfetto esame della partitura ma il brindisi della Traviata non lo ha eseguito “piano” come Verdi voleva». Carlos Kleiber? Con Leonard Bernstein il più grande, quell’Otello con Placido Domingo!

Danilo Rossi con l’amata viola in uno scatto del 2020 (foto di Lindansa)

Ma difficile lavorare con uno così «bizzarro e stravagante». Su una cellula ritmica del Requiem verdiano se l’è presa con Daniel Barenboim che il giorno dopo – forse prima si era sentito il disco di Toscanini – «mi diede ragione con tante scuse». E ce ne è anche per l’ex sovrintendente della Scala Dominique Meyer: una letteraccia al Corriere della Sera all’epoca del lockdown perché lasciava tutti a casa mentre in altri teatri si continuava a fare musica in streaming. «Per punizione sono stato sospeso e Riccardo Chailly non mi ha chiamato al Festival di Locarno». Per ripicca lui organizzò la “Scala sulle scale”: cinque concerti per i condomini sul pianerottolo di casa a Milano. «Sono un ribelle positivo» dichiara: bisogna battersi per migliorare senza guardare in faccia a nessuno. Passata la bufera, con Chailly era andato nella sua Romagna a mangiare la piadina.
Lui è Danilo Rossi, 36 anni di Scala come prima viola, l’antico strumento con una cassa armonica più grande del violino che consente suoni più morbidi e profondi. In buca e anche come solista in giro per il mondo. Ritiratosi ora dal Piermarini ma tutt’altro che in pensione (concerti, giurie, lezioni nei conservatori…..), oltre a sposarsi con Lidia, ha trovato il tempo di raccontarsi – passioni e furori che gli ribollono nel sangue di romagnolo doc (Forlì 1965).

Il libro “Viola d’amore” di Danilo Rossi e Paola Zonca, pubblicato Da Baldini + Castoldi

Complice la giornalista Paola Zonca che nelle 159 pagine di Viola d’amore (Baldini e Castoldi) scritte insieme ha cercato di mettere ordine alle sue tumultuose memorie.
Capitolo dopo capitolo, si snoda una storia di successi e ambizioni sempre nuove, ma insieme si solleva il pietoso materasso su intrighi e lotte intestine che parrebbero incompatibili nell’aura rarefatta della musica classica. Eppure. Per esempio: diversi bravi orchestrali scelti da Abbado, una volta che il maestro era entrato in rotta con la Scala venivano di fatto mandati via. Anche qui talento e studio non bastano a far carriera.
Dai palchi Danilo lo notavi subito con quell’arruffata criniera, oggi solo un po’ bianca. Nel giugno 1986 quando affrontò «con l’orecchino e l’aria punk» l’esame di selezione in teatro, il maestro Muti esclamò : «Ma chi cavolo è questo?». Ma anche senza le phisique gli si spalancarono le porte del tempio della musica. Prima uscita con La donna senz’ombra di Richard Strauss, «opera tra le più difficili, ma l’esperienza della musica nelle sale da ballo che si mette su in poco tempo e via pedalare, mi fu utile. Il direttore, Wolfgang Sawallisch, non mi beccò mai in errore» Sì, perché Danilo la musica l’ha respirata fin da piccolo: le sagre, le sale da ballo aperte fino a tarda notte, il liscio – altro doc romagnolo – che riempivano di suoni e di umori la vita della provincia. Per un compleanno, il padre – un negozietto di frutta e verdura a Forlì – gli regalò un violino usato. Rosso nel cognome come in politica, ma guardato con sospetto dai compagni perché la domenica suonava la fisarmonica insieme al parroco, babbo Augusto su quel bambino che cantava e ballava ascoltando la radio aveva l’orecchio lungo (nel Dna gli ha trasmesso due passioni, musica e ideali politici). Affascinato dal regalo, Danilo si mise subito a sfregare l’archetto sulle corde: tutto comincia da lì.

La viola è uno strumento a corde e archi con una estensione intermedia fra quella del violino e del violoncello. Leggermente più grande del violino, ha un suono intenso e malinconico

A seguire le lezioni con il maestro Fiorentini che prese ste burdel ancora prima dell’età giusta, ore e ore con il violino e sugli spartiti senza trascurare la scuola “normale” (ride a confessare di essere anche ragioniere), le prime esibizioni locali. Ma presto, sentendo le Quattro stagioni di Antonio Vivaldi, la scoperta che c’è anche un’altra musica. Un po’ dopo il maestro Ravaioli, che dirigeva la big band di Mendola, gli propose: «Hai le mani grandi e forti, perché non passi alla viola? Danilo non la prese benissimo, una retrocessione in B? Però la sua maledetta voglia di dimostrare sempre che ce l’avrebbe fatta lo indusse ad accettare la sfida. Il suono caldo, avvolgente della viola lo incantò. Strada aperta. Ma irta di sacrifici: il diploma di viola durante il servizio militare – si esercitava con la sordina di piombo per non disturbare i commilitoni -, le tre ore di treno e autobus più due chilometri a piedi per frequentare la prestigiosa accademia di Fiesole, l’ingresso nell’Orchestra giovanile italiana e poi in quella dell’Unione Europea di Abbado. Tournée fino in Cina e Giappone. Esito naturale la Scala, ma duri i primi tempi: a Milano non c’era mai stato, «come Totò nel celebre film», pochi soldi, un monolocale a Città Studi, la viola a prestito. Gli sguardi diffidenti dei grandi vecchi dell’orchestra. Da allora tanta musica è passata sotto i ponti. A 57 primavere la decisione di dimettersi. «Bisognava chiudere un ciclo, volare via dal nido rassicurante e tentare altre strade».

Danilo Rossi (al centro) con il musicista Stefano Bollani e sua moglie Valentina Cenni (fonte: Facebook)

Qualche rimpianto ma subito assorbito da molteplici impegni artistici partoriti dal suo spirito vulcanico che lo riportano spesso nella sua Forlì dove ha lanciato l’idea di una Woodstock della musica di tutti i generi. «Il sindaco Zattini non l’avrei mai votato perché è della Lega ma è davvero in gamba», ammette rimarcando però di essere sempre un «comunistaccio vecchio stile». Ora che si sta ristrutturando un auditorium si rischia che venga intitolato Sala Conad. «Pensa te!».
Ricco di cronache vivaci e gustose, il libro si insinua negli spogliatoi segreti della musica colta. Non chiedete all’ego straripante di Danilo Rossi la garanzia di equità nei giudizi, spesso tagliati con l’accetta sotto l’impulso del momento. Ma quando gli scappa di sentirsi “un dinosauro” nel mondo di oggi che si dimentica il valore del lavoro, del sacrificio, della cultura, senti che è sincero.

Immagine di apertura: uno scatto recente di Danilo Rossi in sala Petrassi al Parco della Musica di Roma per il Festival della Scienza (fonte: Facebook)

Giornalista professionista dal 1971. Milanese, si è laureato in Filosofia alla Statale. A fine 1969 l'ingresso al "Corriere della Sera" dove ha percorso tutta la vita professionale, a parte un paio di libri e qualche pubblicazione extra. In via Solferino cinque anni di gavetta, l'ingresso nella redazione del "Corriere d'Informazione" e poi il "Corrierone" occupandosi per lo più di cronache, fino alla pensione.

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