Milano 23 Luglio 2020
L’ipotesi era già circolata, ma era rimasta circoscritta al dibattito teorico tra economisti. Ha preso forma quando alla schiera dei proponenti si è aggiunto il presidente della Consob Paolo Savona (precisando di parlare a titolo personale e non in quanto responsabile della vigilanza sui mercati finanziari). Ora dovrebbe essere il Ministero dell’Economia a prenderla in esame ed, eventualmente, ad applicarla. Si tratta dell’emissione di titoli di Stato “irredimibili”. Una misura straordinaria, di cui esistono precedenti anche in Italia. Al primo impatto, il termine può lasciare perplessi. Irredimibile (o perpetuo come viene anche definito) vuol dire che si tratta di un prestito che non prevede alcun rimborso. Un prestito allo Stato da parte dei cittadini risparmiatori, che frutta interessi all’infinito, ma che non ha scadenza. Completamente differente dagli altri tentativi di utilizzare il risparmio degli italiani (uno dei più consistenti al mondo) per finanziare il debito pubblico (ormai arrivato, complice l’impatto del Covid 19, a 2.507 miliardi di euro, come ha rilevato di recente Bankitalia). Anche l’ultimo tentativo, quello dei Btp Futura, non ha avuto il successo sperato.
Ecco perché è forse il caso di cambiare strada. Con l’emissione di titoli senza scadenza lo Stato otterrebbe una serie di vantaggi. Il principale è che l’importo totale dei titoli non sarebbe conteggiato come debito pubblico. Con tutte le conseguenze positive su Spread e rapporto debito/Pil, tali da migliorare l’immagine dell’Italia nei confronti degli investitori internazionali. Poi, non dovrebbe sottostare ad alcuna condizione – giuridica o politica – circa il suo utilizzo. Il finanziamento, insomma, potrebbe sostituire (ma anche integrare) tutti gli strumenti – dal Mes al Recovery Fund per restare nell’ambito europeo – al centro dell’attuale dibattito politico nazionale e internazionale. I sostenitori di questa formula, inoltre, ricordano che un titolo così congegnato potrebbe avere un grande appeal anche per alcuni investitori istituzionali, come i fondi pensione e i fondi assicurativi.
E i risparmiatori? Che vantaggi avrebbero a sottoscriverlo? A parte le considerazioni che potremmo definire “patriottiche” (tipo “oro alla Patria” di infausta memoria), potrebbero contare su una rendita certa, trasmissibile a figli, nipoti e pronipoti, e sulla possibilità, in caso di bisogno, di vendere il titolo sul mercato. Il rischio è di spuntare un prezzo inferiore rispetto a quello pagato in sottoscrizione. Ma nel frattempo si sarebbero accumulati gli interessi. Un aspetto non trascurabile se si guarda alla situazione attuale, caratterizzata da tassi vicini allo zero se non addirittura negativi (per un Bund tedesco c’è oggi chi è disposto a pagare soltanto per avere la certezza di preservare il capitale). Capitalizzando, per esempio, una cedola del 2% annuo, si potrebbe arrivare in pochi anni a un consistente incremento di valore. Certo, l’emittente, cioè il Tesoro italiano, dovrà rendere appetibile il nuovo “prodotto”, offrendo una remunerazione adeguata, pari almeno a quella offerta per i titoli a lunga e lunghissima scadenza, oltre a vantaggi fiscali, come l’esenzione sulle cedole e sulle successioni.
Lo Stato, inoltre, potrebbe in teoria decidere in futuro di restituire il capitale. La Rendita Italiana 5% emessa nel 1935 come prestito perpetuo è stata, per esempio, rimborsata alla pari nel 1991. In ogni caso, c’è materia sufficiente per prendere in considerazione l’idea del prestito perpetuo. Anche se non mancano gli ostacoli da superare. Sul fronte interno occorre tenere conto del rischio riciclaggio, dal momento che i titoli dovrebbero essere al portatore. Su quello europeo c’è la possibilità che qualcuno possa assimilare questi titoli a una sorta di moneta alternativa: in questo caso subentrerebbe automaticamente lo stop da parte della Bce.
Immagine di apertura: foto di Tumisu
Ottimo articolo. Molto utile.