Pavia 27 novembre 2024
Il dopoguerra a Trieste comincia con nove anni di ritardo. È l’alba del 26 ottobre 1954 quando i primi bersaglieri della brigata corazzata Ariete e i fanti dell’82esimo reggimento Torino entrano in città, a sancirne la presa di possesso e il ritorno a tutti gli effetti sotto la sovranità italiana, mentre in porto attraccano le navi della Marina militare, gli incrociatori Duca degli Abruzzi e Montecuccoli, quattro cacciatorpediniere, l’ammiratissima nave scuola Amerigo Vespucci.

In poche ore, la centrale piazza Unità si riempie di una folla in tripudio, che festeggia sventolando le bandiere tricolori il passaggio delle truppe che sfilano sotto la pioggia accompagnate dalla fanfara. Quel giorno tanto atteso dai triestini è l’esito di un lungo ed estenuante contenzioso diplomatico, iniziato con la fine del secondo conflitto mondiale, nel quale si confrontano e si scontrano gli interessi d’Italia e Jugoslavia, dietro cui si stagliano le ombre delle due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, alleate contro Hitler, ma ormai in lotta per il dominio del mondo. Trieste è il luogo più conteso ed ambito del confine orientale, dove finisce l’Ovest e inizia l’Est. I partigiani comunisti del maresciallo Tito, leader della Resistenza al Nazifascismo che sarà presto presidente della federazione jugoslava (l’unione dei popoli di Croazia, Slovenia, Serbia, Montenegro e Bosnia), hanno vinto la corsa con gli angloamericani, arrivando a Trieste il 1° maggio 1945, ventiquattro ore prima dei reparti alleati.

Dovranno lasciarla dopo quaranta giorni di occupazione, e di terrore per i triestini, mantenendo però il controllo della Zona B, la cintura dei comuni vicini che si allunga già nell’Istria. Una questione, quella orientale, in cui si sedimentano gli odi, le violenze, le prevaricazioni di una parte e dell’altra: il ventennio fascista che ha cercato in ogni modo di estirpare il ceppo slavo, italianizzando i territori; poi l’occupazione italiana dei Balcani, con le fucilazioni sommarie, i villaggi bruciati, le deportazioni; infine il contrappasso imposto dai titini, gli arresti, le migliaia di fascisti e oppositori – o presunti tali – scaraventati nelle foibe, le centinaia di migliaia di esuli che lasciano – volenti o nolenti – l’Istria destinata alla slavizzazione per riparare in Italia, abbandonando tutto dietro di sé, case, beni, lavoro, affetti, ricordi.
All’accordo di pace si arriva faticosamente, tra passi indietro, pause, equivoci che provocano persino l’assalto alle sedi diplomatiche occidentali di Belgrado. I lenti progressi delle trattative scatenano anche una protesta di piazza, il 6 novembre 1953, repressa nel sangue dagli occupanti inglesi che sparano sui dimostranti facendo sei vittime. Una modifica dell’ultimo minuto e alla Jugoslavia finisce anche l’estremo lembo d’Istria che sembrava poter restare italiano, nelle colline sopra Trieste, e allora altre decine di migliaia di esuli si aggiungeranno ai 300mila già fuggiti dalle terre assegnate a Belgrado.

Festa e dramma, dunque. Potrebbe stupire, questo entusiasmo triestino, questo sentimento profondamente italiano della perla dell’Adriatico, orgoglio e vanto della monarchia asburgica, una delle più belle città dell’impero, dominio austriaco fin dal XIV secolo, tanto amata dall’arciduca Massimiliano, fratello minore del kaiser Francesco Giuseppe, che avrebbe voluto viverci per sempre, nel castello di Miramare condiviso con la consorte, la principessa Carlotta del Belgio, mentre, come sappiamo, sarebbe stato mandato al macello nella folle avventura messicana.
L’aspirazione italiana di Trieste nasce da lontano. Era triestino Guglielmo Oberdan, campione e martire dell’irredentismo, morto sulla forca il 20 dicembre 1882, a 24 anni, per il suo progetto di attentare con due bombe alla vita di Francesco Giuseppe. Ma la sua profonda italianità, Trieste la dimostra in modo eclatante nei giorni di fine ottobre e inizio novembre 1918 che precedono la cacciata definitiva degli austriaci e la conclusione della Prima guerra mondiale. Il 30, viene issato il tricolore sulla torre del municipio e sul campanile di San Giusto, mentre si acclama l’ex podestà Alfonso Valerio, internato dagli austriaci allo scoppio del conflitto e ora tornato in città.

Le aquile imperiali che ornano i palazzi sono divelte con scalpelli e martello, si fa un falò delle bandiere giallonere asburgiche, i poliziotti austriaci e croati che vorrebbero arrestare i manifestanti vengono sopraffatti. Le autorità di Vienna, alle prese con ben altri problemi, di fronte all’evidenza della rotta dell’esercito e della sconfitta che si sta profilando, non possono fare altro che prendere atto e accettare il passaggio dei poteri al comitato di salute pubblica.

Il pomeriggio del 3 novembre, mentre più o meno alla stessa ora, a Villa Giusti, Italia e Austria Ungheria firmano l’armistizio che pone fine alla Grande guerra, una folla entusiasta, in Piazza Grande (ribattezzata, di volta in volta, Piazza Unità d’Italia o Piazza Indipendenza), saluta l’attracco al molo San Carlo del cacciatorpediniere Audace, prima nave italiana ad arrivare a Trieste, al comando del capitano di corvetta Pietro Starita. Una scena che ricorda quella che si ripeterà, in circostanze diverse ma in qualche modo analoghe, trentasei anni più tardi. Il generale Carlo Petitti di Roreto, già comandante del XXII corpo d’armata durante la battaglia del Solstizio che, nel giugno 1918, aveva respinto l’estremo tentativo austroungarico di infrangere la linea del Piave, prende possesso della città in nome del governo italiano, per poi esserne nominato governatore.

Il 10, a bordo dell’Audace, giunge a sorpresa in visita re Vittorio Emanuele III, accompagnato dal comandante supremo dell’esercito, generale Armando Diaz (subentrato a Cadorna dopo la disfatta di Caporetto) e il sottocapo di stato maggiore Pietro Badoglio. Il sovrano si reca in municipio, alla cattedrale di San Giusto e al castello; poi è accolto da Petitti di Roreto al palazzo del governatore. Per celebrare l’evento, il molo di San Carlo viene ribattezzato molo Audace. Da questo momento, Trieste sarà teatro di una serie di manifestazioni, parate militari, commemorazioni di stampo patriottico, fino alla grande festa del 20 marzo 1921 che celebrerà l’annessione della Venezia Giulia all’Italia.
Immagine di apertura: La parata delle forze armate a Trieste il 4 novembre 1954 per festeggiare il ritorno della città all’Italia. In primo piano la nave scuola Amerigo Vespucci