Potremmo definire il tatto il senso della vita. È il primo dei cinque sensi che ci mette sin dalla nascita in rapporto con il mondo, si accompagna ad una risonanza emotiva, avvia e favorisce la conoscenza dell’altro ma anche delle nostre reazioni: simpatia, fiducia oppure perplessità o diffidenza.

Le distanze di sicurezza per proteggersi dal contagio da Coronavirus sono state richiamate in modo quasi ossessivo in questi mesi (foto di congerdesign)

Parlare di tatto in tempo di Coronavirus, pandemia che ci ha imposto il distanziamento sociale, può sembrare anacronistico, quasi una provocazione. Vuole essere invece un’occasione di riflessione su quello che è il senso più importante del nostro corpo. Così, quando il Covid 19 sarà ormai alle spalle, ritornando a toccarci, lo faremo con maggiore consapevolezza. Il tatto esprime anche un privilegio: tutti siamo portati ad accarezzare il neonato dalla pelle liscia e vellutata, percepito come una creatura inerme a cui diamo istintivamente protezione. Siamo meno attratti dalla persona anziana perché ha la pelle rugosa, meno gradevole da vedere e al tatto. È un dato di fatto che il vecchio viene meno toccato rispetto al bambino e al giovane. Dobbiamo tenere presente questa “assenza” di contatto che si concretizza talvolta in una vera e drammatica privazione, con tutti i significati di affetto, protezione, presenza, considerazione, vicinanza che questo vuoto comporta.

Il tatto, che possiamo considerare un organo, è costituito dalle terminazioni nervose che compenetrano ogni millimetro della nostra pelle, il più esteso apparato del corpo, circa 18.000 centimetri. Si sviluppa molto presto; è già in funzione durante la vita fetale: la pressione del liquido amniotico sulla pelle del nascituro crea un ambiente confortevole ed è una stimolazione continua necessaria allo sviluppo del cervello. Il tatto è altrettanto indispensabile ai bisogni di chi è appena venuto al mondo in un ambiente sconosciuto.

Il contatto fisico con la mamma è fondamentale per lo sviluppo del bambino. Fatto intuitivo, ma anche dimostrato da un gran mole di ricerche (foto di Omar Medina Films)

Il contatto con la madre, con il seno, con la pelle calda, sono elementi indispensabili a un sano equilibrio psicofisico dell’adulto di domani. Sono ormai di dominio comune le conoscenze, verificate anche dagli studi epidemiologici, sugli effetti negativi della privazione delle cure materne, e quindi del tatto, nelle prime fasi della vita. Esempio eloquente sono gli orfanatrofi, strutture ormai obsolete, dove la mancanza o la povertà di contatto o meglio di tatto portava all’arresto dello sviluppo fisico e psichico, compromettendo la capacità di rapporto interpersonale.
Interessante a conferma di quanto sopra è lo studio dello psicologo americano Harry Harlow dove le scimmie alimentate col poppatoio da una finta madre, una sagoma di fili di ferro rivestita di tessuto morbido e avvolgente,  crescevano bene e con una buona reattività all’ambiente rispetto ad altre il cui contatto era una figura di soli fili di ferro, situazione che le allontanava dall’afferrare il poppatoio e ne arrestava lo sviluppo. Seguendo la crescita, il bambino nel gioco continua ad esercitare il tatto afferrando il giocattolo, molto spesso portandolo alla bocca, ricca di terminazioni nervose, con una mucosa molto sensibile, strumento di conoscenza e di gratificazione. Nell’adolescente il gioco è l’esaltazione della fisicità, toccare l’altro fino all’avvento della sessualità dove il tatto assume il ruolo fondamentale della scoperta di sé e dell’altro.
È interessante notare che il comportamento tattile risente delle influenze culturali e di classe. Alcune culture, come quelle anglosassoni, si distinguono per il Noli me tangere. Al contrario i latini, o i mediterranei in genere, usano il tatto come modalità espressiva e comunicativa, quasi un’esigenza in sintonia con un clima  caldo e un ambiente soleggiato.

Un abbraccio fra due persone non più giovani, gesto pieno di significati e di risonanze affettive (foto di Gennaro Leonardi)

Come abbiamo visto, il tatto è il primo senso ad essere attivato nelle braccia della madre e da quel momento, i rapporti umani sono tutti fondati sul tatto che diventa il linguaggio della vita e getta le basi del sentimento. Anche la nostra consapevolezza sociale è profondamente tattile. Lo dimostrano espressioni comuni quali “fregare” il prossimo o “lisciarlo” nel senso giusto. Di qualcuno diciamo che ha il “tocco felice” o il “tocco giusto”. Di altri che hanno la “pelle dura” o “i nervi a fior di pelle” e poi ancora “verità che possono essere toccate con mano”, gente “piena di tatto” o “mancante di tatto”. Un’esperienza profondamente vissuta “è toccante”.
Allora, tornando agli anziani, non dimentichiamo che l’essere toccati è per loro importante quanto lo è per una persona giovane, perché come abbiamo detto, il tatto è vita.

Immagine di apertura: foto di Enlightening Images

Nato a Reggio Calabria, fiorentino di adozione, neuropsichiatra e geriatra. Laureato in Medicina presso l'università di Messina, dopo l’esperienza di medico condotto in Aspromonte, si è trasferito a Firenze presso l’Istituto di Gerontologia e Geriatria diretto dal professor Francesco Maria Antonini. Specializzato in Gerontologia e Geriatria, Malattie Nervose e Mentali, presso l'Ospedale I Fraticini di Firenze si è occupato del settore psicogeriatrico. È stato docente di psicogeriatria all'Università di Firenze. Ha collaborato al "Corriere della Sera" con una rubrica dedicata alla Geriatria.

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