Firenze 27 Settembre 2024

“Splendide novantenni” è il titolo di un articolo pubblicato qualche giorno fa dal quotidiano La Repubblica, in occasione dei novant’anni di Brigitte Bardot e di Sophia Loren. Alle due icone del  cinema del Novecento si è aggiunta Ornella Vanoni, novantenne da qualche giorno, famosa cantante milanese che ancora calca le scene, dimostrando tenacia, vitalità e grande senso dell’umorismo.
L’elenco delle donne in età avanzata tutt’ora sulla breccia, o quelle del passato che hanno lasciato un ricordo indelebile, non è breve. Una per tutte, Rita Levi Montalcini, vissuta fino all’età di centotre anni. Premio Nobel per la Medicina, ha contribuito in modo determinante allo sviluppo delle Neuroscienze, impegnata, fino alla conclusione della sua lunga esistenza, anche sul piano civile quale senatrice della Repubblica. Liliana Segre, 94 anni, sopravvissuta ad Auschwitz, oggi in Parlamento, infaticabile testimone degli orrori del Nazismo, si impegna ad incontrare gli studenti per le scuole della Penisola. Natalia Aspesi, novantacinquenne, scrittrice e giornalista, ancora attiva nel dialogo con i lettori su argomenti di costume.

Una bella donna in là con gli anni che probabilmente si è sottoposta a qualche “ritocco” del bisturi, spia di un disagio nei confronti delle rughe ancora condiviso nella nostra società (foto di Elf-Moondance)

L’invecchiamento femminile non corrisponde sempre alla rappresentazione che ne viene data. Nel linguaggio comune sentire l’espressione “è una bella vecchia” è più raro che sentir dire “è un bel vecchio”, come se il termine “vecchia” contenesse già di per sé una sfumatura di svalutazione, una connotazione negativa. Ancora una volta, è il maschilismo ad affermarsi: concetti rigidi ed eccessivamente semplificati, che vengono usati come stereotipi. Ci sono donne anziane che, nonostante l’età e le rughe, continuano a mantenere la bellezza nell’armonia della figura e dei lineamenti del viso. E poi ci sono i pregiudizi: idee precostituite e tendenti alla generalizzazione, come attribuire alla menopausa la perdita di fascino, della capacità di attrarre il maschio. Come ha osservato Simone de Beauvoir nel suo bellissimo volume, vecchio ma non datato, La Terza Età, mentre si ammirano i “bei vecchi”, dai quali non si pretende il fascino giovanile, ma la forza dello spirito, senza che i segni della decadenza fisica compromettano l’immagine della virilità, «lo standard di bellezza per una donna di ogni età sta nella misura in cui ella riesce a simulare o a mantenere l’aspetto della giovinezza». Sembra, tuttavia, che la società occidentale vada oggi nella direzione di un maggiore apprezzamento del fascino che possono esercitare le donne anziane.

Le donne hanno ancora un vantaggio di longevità rispetto agli uomini di quasi 5 anni (foto di SoloBrothers)

Indubbiamente mantenere una condizione di stabilità emotiva nell’invecchiare è il risultato di un lungo percorso maturativo che ha origini remote, appartiene al processo di formazione della personalità. Una fase è quella della menopausa, nella quale la perdita delle mestruazioni è vissuta spesso anche dalla donna stessa come l’inizio di un declino. Le trasformazioni fisiche, favorite dai cambiamenti ormonali, ma conseguenza soprattutto del lasciarsi andare, hanno segnato, per lungo tempo, nel vissuto femminile e dall’ambiente, l’inizio della vecchiaia. La terapia sostitutiva con gli estrogeni, impiegata per ritardare la menopausa e lenire alcuni sintomi fastidiosi quali le “caldane” (vampate improvvise di calore al volto), oggi, assai più che in passato, viene limitata ed effettuata sotto attento controllo medico per il rischio di favorire l’insorgenza di tumori., rischio ormai ampiamente dimostrato. Ciononostante è stata caldeggiata per molti anni come l’elisir di giovinezza al di là dei suoi reali benefici per motivi economici (si tratta di un business importante) e, ancora una volta, per oscurantismo culturale (la donna senza ormoni non vale niente).

Un dato molto importante a favore delle donne rispetto agli uomini è la loro più lunga aspettativa di vita, 85 anni contro 81. Le donne sono meno soggette a gravi malattie cardiovascolari che mettono a repentaglio la sopravvivenza, come l’infarto miocardico, che colpisce molto spesso l’uomo.

Le malattie di cuore nelle donne compaiono in età più avanzata rispetto agli uomini e sono di solito meno gravi, ma erano comunque poco studiate fino a qualche anno fa  (foto: notiziario chimico farmaceutico)

In generale, i problemi cardiaci nella popolazione femminile si presentano in età più avanzata, sono meno gravi e non ne compromettono la sopravvivenza (fermo restando che fino a qualche anno fa non si facevano studi specifici sul “cuore di donna”). Tra le spiegazioni di tale differenza tra i due sessi, a parte la componente genetica ipotizzabile ma non sempre dimostrata, emergono come fattori di rischio per il maschio, responsabili di una minore durata della vita, la dipendenza dal fumo, lo stress lavorativo, la sedentarietà, il sovrappeso, l’eccessiva competitività. Le donne, fino a un passato recente, trovavano nella condizione della famiglia una maggiore protezione dalle tensioni lavorative e, quindi, più favorevoli aspettative di vita.
Ci chiediamo se la condizione della donna, in continua evoluzione verso la sacrosanta parità dei sessi, con il rivoluzionarne gli impegni, famiglia-lavoro esterno, influirà sulla longevità fino a oggi a favore del gentil sesso. Più estesi studi epidemiologici ci diranno se, in futuro, la maggiore aspettativa di vita continuerà a essere a vantaggio del sesso femminile.
I continui progressi della scienza aprono sempre nuovi orizzonti. Antonella Viola, immunologa, ordinaria di Patologia Generale presso l’Università di Padova, è considerata a pieno titolo fautrice di una medicina di genere, che si basa sulla valorizzazione delle differenze tra i due sessi. Ciò comporta trattamenti differenziati, tra uomini e donne, soprattutto nel campo delle terapie farmacologiche. È, questo, un orizzonte carico di prospettive, per cure sempre più adeguate, che tengano conto delle differenze tra i due sessi. È la “medicina di genere”, con vantaggio di tutti, giacché migliora anche le prospettive dell’invecchiamento.

Immagine di apertura: fonte: cibdol.com

Nato a Reggio Calabria, fiorentino di adozione, neuropsichiatra e geriatra. Laureato in Medicina presso l'università di Messina, dopo l’esperienza di medico condotto in Aspromonte, si è trasferito a Firenze presso l’Istituto di Gerontologia e Geriatria diretto dal professor Francesco Maria Antonini. Specializzato in Gerontologia e Geriatria, Malattie Nervose e Mentali, presso l'Ospedale I Fraticini di Firenze si è occupato del settore psicogeriatrico. È stato docente di psicogeriatria all'Università di Firenze. Ha collaborato al "Corriere della Sera" con una rubrica dedicata alla Geriatria.

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