Sono ormai cinquecento gli studenti arrestati negli Stati Uniti per le proteste contro il genocidio dei palestinesi che si sta perpetrando a Gaza sotto gli occhi – per ora impotenti, nonostante gli sforzi – della comunità internazionale. Verrebbe da dire pochi in un Paese sterminato come l’America, ma questi ragazzi studiano nelle università più prestigiose (50-70mila euro di retta all’anno), dalla Columbia, da dove è partita la protesta, a Yale, all’università della California del Sud, all’Emerson College di Boston. Ragazzi privilegiati, si dirà, figli di gente ricca e potente, come ha sottolineato Federico Rampini su “Il Corriere della Sera” pochi giorni fa rievocando Pier Paolo Pasolini che in occasione degli scontri di Valle Giulia del 1968 a Roma si schierò con i poliziotti, figli del proletariato, contro gli studenti borghesi. In realtà questi cinquecento, arrestati in 15 università, possono spostare qualcosa, innescare un movimento più ampio. È possibile, anzitutto, per il clima sempre più divisivo che sta precedendo le elezioni di novembre: l’estrema destra trumpiana, durante le inquisizioni condotte dall’Education Commitee della Camera ha intimidito i presidi delle università di élite fra le cui fila ci sono state adesioni al movimento degli studenti, e se fra i Repubblicani il sostegno ad Israele è largamente condiviso, fra i Democratici non c’è una posizione univoca. In secondo luogo, questi ragazzi non vanno sottovalutati come sottolinea Guido Rampoldi su “Domani”: «Sembrano il segmento più cosmopolita di una gioventù che fin ad ieri pareva, come le precedenti, rassegnata all’immutabilità del reale, rifluita nel privato…». E in Italia? La protesta degli universitari contro il genocidio di Gaza, va avanti e sta coinvolgendo un numero crescente di atenei, Pisa, Roma, Napoli, Bologna, Torino, ora anche Siena, con la richiesta di interrompere i progetti di ricerca condivisi con università israeliane. Ancora la protesta nel nostro Paese, come nel resto d’Europa, non è rilevante quanto quella che sta scuotendo gli Stati Uniti, ma i ragazzi si assomigliano, appartengono alla generazione Z, nati fra il 1997 e il 2012, soffrono l’ansia di un futuro catastrofico fatto di guerre totali, di cambiamenti climatici devastanti, di interessi economici in mano a pochi. Un futuro che non vogliono. Ci sarà un nuovo Sessantotto?

Toscana, milanese di adozione, laureata in Medicina e specializzata in Geriatria e Gerontologia all'Università di Firenze, città dove ha vissuto a lungo, nel 1985 si è trasferita a Milano dove ha lavorato per oltre vent'anni al "Corriere della Sera" (giornalista professionista dal 1987) occupandosi di argomenti medico-scientifici ma anche di sanità, cultura e costume. Segue da tempo la problematica del traffico d'organi cui ha dedicato due libri, "Traffico d'organi, nuovi cannibali, vecchie miserie" (2012) e "Vite a Perdere" (2018) con Patrizia Borsellino, editi entrambi da FrancoAngeli. Appassionata di Storia dell'Ottocento, ha scritto per Rubbettino "Costantino Nigra, l'agente segreto del Risorgimento" (2017, finalista al Premio Fiuggi Storia). Insieme ad Elio Musco ha pubblicato con Giunti "Restare giovani si può" (2016), tradotto in francese da Marie Claire Editions, "Restez Jeune" (2017). Nel gennaio del 2022, ancora con Rubbettino, ha pubblicato "Cavour prima di Cavour. La giovinezza fra studi, amori e agricoltura".

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