Milano 28 Ottobre 2022

La moda e le modelle da una parte, i ritratti dall’altra. Per quanto il percorso artistico di Richard Avedon (1923 – 2004) possa essere considerato unico, tale da non prestarsi a banali o arbitrarie sezionature, la tentazione – di biforcare fotografie e sensazioni, teatralità scenica e rigore asciutto – è forte e perfino logica.

Richard Avedon, autoritratto, Utah, 20 agosto 1980

Lo suggerisce la mostra Richard Avedon: Relationships che, nel Palazzo Reale di Milano, fino al 29 gennaio ripercorre gli oltre sessant’anni di carriera del fotografo americano lungo un percorso di 106 immagini prevenienti dal Center for Creative Photography di Tucson e dalla Richard Avedon Foundation. Le due istituzioni statunitensi hanno collaborato alla mostra promossa dal Comune di Milano-Cultura e organizzata da Palazzo Reale e Skira Editore, con Maison Versace come main partner (e un intero settore espositivo dedicato). Per quanto la collaborazione con Gianni Versace, lo stilista italiano che, partendo dalla Calabria, ha rivoluzionato il mondo internazionale della moda, sia centrale nell’immaginario collettivo quando si parla di Avedon (che a sua volta ha rivoluzionato le fotografie di moda), tuttavia in primo piano ci sono anche, e direi soprattutto, i ritratti. Sono immagini parlanti in cui non prevale né l’intenzione di chi fotografa né quella del soggetto. C’è una sorta di strana e sincera verità, che va al di là della straordinarietà dei dettagli di ogni singolo viso: è proprio un oltre che fa di ogni volto una rivelazione, di ogni sguardo un lungo discorso, di ogni ruga un panorama interiore. Insomma, quel che ci appare è una sorta di radiografia, fatta non di ossa, ma di pensieri e di sensazioni.

Richard Avedon, Jean Shrimpton in Cardin, Parigi, gennaio 1970

Ci sono due frasi di Avedon, visibili in mostra, propedeutiche alla comprensione dei suoi ritratti. La prima è solo apparentemente contraria al risultato mai scontato dei suoi volti: «Le mie fotografie non scendono sotto la superficie. Non scendono sotto nulla. Piuttosto, leggono la superficie. Ho molta fiducia nelle superfici. Una buona superficie è piena di indizi». E ha ragione: non sono le foto a scendere, ma le emozioni – anche negative, come appare nei ritratti di alcuni politici – a risalire. Quella superficie carica di indizi da cui parte Avedon diventa sempre più piena rispetto a quando il soggetto si è seduto davanti alla macchina fotografica, non sapendo che sarebbe stato indifeso. Del resto, questa è la seconda dichiarazione, Avedon sapeva come disarmare le sue “vittime”: «Preferisco sempre lavorare in studio. Così i soggetti vengono isolati dal proprio contesto e diventano, in un certo senso… simboli di loro stessi». Ecco, quindi, come accadeva che la verità – non necessariamente oggettiva – si facesse strada in quei volti inquadrati sempre in primo piano e su sfondi bianchi o al massimo grigi, che non distraevano dai visi, anzi li esaltavano. E non si trattava solo di personaggi famosi, perché Avedon, il fotografo dei modelli di Versace e delle copertine di Vogue, è stato autore anche di grandi campagne sociali, di cui forse la mostra avrebbe potuto dare qualche immagine in più

Richard Avedon, Truman Capote, New York, 10 ottobre 1955. All’epoca lo scrittore aveva trent’anni

Esemplari sono i ritratti del regista John Ford, il grande autore di western, fotografato a 78 anni con la sua famosa benda sull’occhio perduto in guerra, che sembra poter esplodere; quello di William Casby, l’uomo che era nato schiavo, in cui la particolarissima simmetria tra mento e orecchie, tutti di misura XXL, dà conto di sofferenze e rivincite; dello scrittore Truman Capote che si ritrova a esporre la sua parte efebica; dei Beatles, che appaiono con uno sguardo da lungimiranti profeti. Ma altrettanto si potrebbe dire di ogni altro ritratto in mostra, a partire da quello così particolarmente ibrido – e famosissimo – di Nastassja Kinski nuda avvolta da un pitone, immagine evocatrice di paradisi terrestri perduti.
A fare da contraltare a questa ieraticità immobile – in senso lato quasi una scultura – riservata ai personaggi, c’è la capacità inversa di aver fatto diventare mobile il mondo delle modelle, «trasformandole – come dice la curatrice Rebecca Senf – da soggetti statici ad attrici protagoniste dei set, mostrando anche il loro lato umano». Significativa e iconica immagine di questa trasformazione, dall’intensa teatralità, è “Dovima con gli elefanti”, foto di cult, che colpì Gianni Versace bambino quando la vide su Vogue nell’atelier della mamma a Reggio Calabria.

Richard Avedon, “Dovima con gli elefanti”, abito da sera Dior, Circo d’inverno, Parigi, Agosto 1955

«Già allora – raccontava lo stilista – pensai che Avedon sarebbe stato il “mio” fotografo». Il loro incontro fu esplosivo, ognuno dei due esaltava la creatività dell’altro. Avedon amplifica i colori di Versace e le modelle inquadrate come in una sorta di coreografia molto dinamica, accentuata dall’assenza di sfondi: Linda Evangelista, Christy Turlington, Kate Moss e tante altre, non sono il soggetto passivo dell’obiettivo e dell’abito. Sviluppano un movimento in cui le creazioni di Versace appaiono nella loro profonda innovazione, per forme, colori e materiali usati. Proprio per questa totale integrazione di stili Avedon continuò a fare foto di moda solo con lo stilista reggino. Per il resto furono solo ritratti e campagne sociali, una scrittura fotografica che oggi può essere considerata storia. Anzi, Storia con la S maiuscola.

Immagine di apertura: Richard Avedon, Nastassja Kinski con il pitone, Los Angeles, California, 14 giugno 1981

  • Le immagini sono una gentile concessione della Richard Avedon Foundation
Messinese, laureato in Giurisprudenza, è giornalista professionista dal 1973. La sua carriera si è svolta tra Milano e Messina: ha lavorato per il quotidiano “Gazzetta del Sud” (Responsabile del settore Cultura e Spettacoli), poi per il settimanale “OndaTivù” (Caporedattore), del gruppo Giorno-Nazione-Carlino. Ha collaborato a lungo con diverse testate nazionali, fra cui le riviste Rizzoli “Anna”, “Novella 2000” e “Salve”. Dal 1978 si occupa di critica teatrale e dal 2004 di critica d’arte. Dal 2004 al 2008 è stato docente a contratto di Storia della Televisione all’Università di Messina, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea specialistica in Scienze dell’Informazione giornalistica. Tra i suoi libri, “Giovanni Paolo II. 1978-2003”, Camuzzi Editoriale (2003), “La Sicilia al tempo del Grand Tour”, GBM Edizioni (2009), “Teatranti” (2013) e “Scrissi d’Arte” (2018), entrambi con Pungitopo. Per i ragazzi ha scritto "Annibale" (1996), la riduzione di "Nostromo" di Conrad (1998) e "Hercules” (2000), pubblicati da La Spiga.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui