Milano 23 Giugno 2021
Che Claretta Petacci amasse Mussolini, sia pure a modo suo, non può essere ragionevolmente messo in dubbio. Che si sia sforzata di sfruttare per se stessa e la sua famiglia l’eccezionale posizione di favorita del Duce, è altrettanto pacifico. Ma che la sua personalità sia classificabile come “hitleriana”, quasi una spia di Berlino piazzata accanto a Benito, è una pennellata scura che la biografia firmata da Mirella Serri aggiunge al suo ritratto. E non è tutto, perché Claretta l’hitleriana, pubblicato da Longanesi, porta questo singolare sottotitolo: “Storia della donna che non morì per amore di Mussolini”.

Nonostante tali premesse, non bisogna pensare alla biografia firmata dalla valente giornalista Mirella Serri come a una semplice stroncatura politica e umana della donna che incarnò, agli occhi di molti, il modello di “donna nuova del fascismo”. E che venne poi travolta dalle sue debolezze e meschinità, e dall’arrivismo, fino ad essere ribattezzata negli stessi ambienti del regime come “la più odiata dagli italiani”. L’intento dell’autrice è piuttosto quello di smascherare la falsa immagine di purezza e dedizione, l’aureola tragica che negli anni successivi alla caduta del regime le sarebbe stata cucita addosso. Non vittima sacrificale in una storia di “amore e morte”, dunque, ma piuttosto una donna “cinica, crudele, sfrenata nella sua ambizione”. Al punto da proporsi lei stessa, nel crepuscolo mussoliniano della Repubblica di Salò, come possibile ambasciatrice presso Hitler.
Con questo convinzione l’autrice la dipinge sin dall’inizio nelle vesti di abile calcolatrice, tutta tesa a sfruttare il suo ascendente sessuale sul Duce, tanto che la loro relazione carnale sarebbe iniziata precocemente nell’aprile del 1932, e non dopo quattro anni di relazione sentimentale.

Colpevole, insomma, Claretta, di essersi venduta al dittatore fin dall’inizio, intravedendo la possibilità di costruirsi un personale sistema di potere in qualità di consigliera politica. Non solo, anche spietata e disumana alla prima occasione, di fronte alla possibilità di arricchire la propria famiglia, sfruttando le leggi razziali per ricattare e ricevere quattrini dalle famiglie ebree perseguitate. Fredda nel mettere in atto un sistema di spionaggio in modo da far pedinare Mussolini e svelarne i tradimenti con altre donne. Ambigua nel gestire il suo rapporto con lui, giocando sulla differenza d’età e sulla torbida attrazione, quasi incestuosa, che un padre poteva provare per una figlia. Gelida nell’accettare il matrimonio di convenienza con Riccardo Federici come escamotage per proteggere la sua relazione con Mussolini. Oscura trafficante di influenze nel favorire la carriera del padre, e nell’ottenere il terreno destinato alla villa di famiglia, alla Camilluccia, sottraendolo all’Opera Nazionale Balilla. Machiavellica nell’escogitare un piano degno di una Tangentopoli ante litteram, quando nel ’41, in piena guerra, propone al fratello di partecipare alla estrazione di petrolio in Transilvania, con l’aiuto di imprese di comodo (la faccenda avrebbe dovuto sfociare in una matrioska di fondi neri da depositare in Svizzera). Infine, disposta a farsi usare dal nazista Rahn, plenipotenziario civile del Reich presso il governo di Salò, cui avrebbe consegnato le fotografie delle lettere segrete di Mussolini destinate ad essere distrutte. In questo modo, consentendo a Hitler di sincerarsi sulle reali intenzioni del Duce, e al tempo stesso accreditandosi come pedina del Reich in grado di influenzare Mussolini in senso favorevole alla Germania.

Giunta a questo punto della biografia, mentre gli avvenimenti precipitano verso la tragedia, qualcosa però cambia nella narrazione della Serri. Perché l’autrice deve riconoscere a Claretta una scelta difficile e quasi eroica, tale da riscattare almeno in parte le malefatte precedenti. Giacché il 23 aprile 1945, quando ormai tutto è perduto, si rifiuta di seguire il padre e la sorella in Spagna, dove avrebbe potuto salvarsi. E a Grandola, pochi chilometri lontano dal confine svizzero, si ricongiunge a Benito, accettando stoicamente di essere schiaffeggiata da lui, ormai ben conscio delle ambigue manovre dell’amante.
Resta da capire, anche se oggi ormai è impossibile accertarlo, se davvero abbia cercato di riparare col suo corpo il Duce nel momento dell’esecuzione da parte dei partigiani.

Probabilmente è giusta la conclusione di Mirella Serri, cioè il fatto che la versione del “sacrificio volontario per amore” sia stata una invenzione successiva da parte delle forze partigiane, per allontanare il sospetto di una intenzionale e spietata condanna a morte. E, allo stesso tempo, è credibile che questa leggenda amorosa abbia finito per rappresentare una sorta di indulgenza storica nei confronti del fascismo e dei suoi tanti delitti. Resta però il fatto che, smentendo il sottotitolo del libro, Claretta morì davvero per amore di Mussolini. Tanto da riportare alla mente un passo famoso del Cirano di Bergerac. Quando Rossana, la donna che il nasuto spadaccino ha sempre segretamente amato, si rende conto che le lettere indirizzatele dal bel Cristiano in realtà sono opera sua, Cirano sente il dovere di rendere l’onore delle armi al suo rivale in amore caduto in battaglia. Perché. riconosce, in fondo su quei fogli scritti da un altro “il sangue era suo”.
Immagine di apertura: un bel primo piano di Claretta Petacci nel momento del suo massimo splendore