Milano 26 Luglio 2021

Ogni volta che passa una grande nave, Venezia urla di dolore. Un mastodontico ammasso di ferro da 250 metri con oltre 3000 persone, che va dritto al cuore della laguna più famosa del mondo. Questo è lo scorcio che si apriva agli occhi dei veneziani, e attraverso le loro recenti proteste anche a tutti noi, ogni volta che una grande nave da crociera entrava a Venezia, per passare davanti a San Marco, imboccare il canale della Giudecca, e riversare in città una folla di turisti che, in periodi Pre covid, ha toccato picchi di 12.000 persone in un fine settimana.
Dopo la forzata interruzione per la pandemia, le grandi navi hanno ripreso a navigare entrando di nuovo nel cuore della città.

Il cuore di Venezia invaso dai turisti. Un’immagine consueta in epoca pre Covid ( foto di Ismael Lima)

Con il loro arrivo sono riprese le proteste – l’ultima delle quali, lo scorso giugno, ha avuto un’eco globale – e si è riacceso il dibattito che ha messo sul tavolo questioni contrapposte: salvaguardare l’ambiente oppure i posti di lavoro legati al turismo di massa? Creare un hub in grado di gestire navi di questa portata o rivedere completamente il modello turistico che comportano?
A tutto questa sembra aver messo un punto il Decreto approvato lo scorso 13 luglio in Consiglio Dei Ministri; dal 1° agosto le grandi navi non potranno più entrare in Venezia (le vie urbane d’acqua Bacino di San Marco, Canale di San Marco e Canale della Giudecca diventano monumento nazionale) e per adeguare l’area di Marghera ad accoglierle viene prevista la realizzazione “di non più di cinque punti di approdo, con un investimento complessivo di 157 milioni di euro”. Marco Marani è il Direttore del Centro di Idrodinamica e Morfodinamica Lagunare dell’Università di Padova e da lungo tempo studia l’impatto dei cambiamenti ambientali sulla laguna di Venezia. «Ancora non abbiamo chiaro che cosa implichi il decreto – dice -; al momento sembrerebbe individuare come punto di attracco una zona all’estremità del porto, in prossimità dell’area industriale, perché permette di evitare una curva stretta che comporta manovre difficoltose. Certo, non ci starebbero più di due navi di quelle dimensioni. Una soluzione transitoria e che non può prevedere un ritorno al flusso dell’epoca pre Covid».

Uno scatto suggestivo del Canal Grande, finalmente al riparo dalle grandi navi (foto di Antonio Molinari)

«Sarà più facile risolvere il problema dell’Ilva di Taranto che quello delle grandi navi a Venezia» è la considerazione di Franco Toscani, cremonese, veneziano di adozione, anestesista all’Ospedale di Cremona e uno dei fondatori delle Cure Palliative in Italia. Da molto tempo il medico trascorre metà dell’anno nel capoluogo veneto, perché «Venezia è un posto magico, di un fascino incredibile. Immersa nell’arte e nella bellezza; sempre ricchissima di eventi musicali e culturali. Io abito sul canale della Giudecca e, qualche anno fa, abbiamo cominciato a veder passare dei veri e propri grattacieli galleggianti. Una visione impressionante, da film di fantascienza. Ci sono stati dei periodi in cui ne passavano 7 o 8 al giorno, con il porto stipato da queste imbarcazioni colossali». «In alcune zone della città, quando sostavano le grandi navi le persone non potevano stendere la biancheria o avere la visuale del tramonto. Io non credo che i turisti in visita qualche ora abbiano il diritto di toglierci il tramonto – afferma Jane Da Mosto, cofondatrice e direttrice dell’organizzazione non governativa We Are Here Venice, tra i protagonisti dell’ultima mobilitazione -. Il ritorno della MSC a Venezia è stato un disastro, un oltraggio, soprattutto dopo le ultime promesse fatte a seguito l’incidente della Costa Concordia, al quale va aggiunto l’incidente del 2019 e quello sfiorato nello stesso anno. I danni a cose e persone sono reali. Il problema non è Venezia, bensì l’industria croceristica che negli anni ha perseguito un modello dalle proporzioni totalmente incompatibili con luoghi, comunità e ambiente in cui transita. Navi fuori misura massima».

il decreto varato dal Consiglio dei Ministri il 13 luglio fa divieto di ingresso a Venezia alle navi con una stazza superiore a 25.000 tonnellate, lo scafo lungo più di 180 metri e un impiego di combustibile in manovra con contenuto di zolfo pari o superiore allo 0,1% (foto di Addesia)

Quali sono gli effetti sull’ecosistema della laguna? «Quando si muove, una grande nave sposta una quantità di acqua equivalente al suo volume – risponde Jane Da Mosto – .Quando passa per un canale, l’acqua viene spinta per i canali laterali, può anche risalire dalle tubature, e provoca un’escursione paragonabile ad un intero ciclo di marea». «La laguna è un ecosistema di cui è difficile riassumere l’importanza, sia per la città che ospita (Venezia non sarebbe la stessa senza di lei), sia perché è un ambiente con una notevole importanza globale – aggiunge Marani -. Dobbiamo partire dal concetto che, anche nel suo stato attuale, la laguna è tutt’altro che naturale. La Serenissima modificò questo ambiente  secondo i propri scopi: è noto come deviarono il corso dei principali fiumi per scopi commerciali e di difesa. Possiamo intenderla come un giardino curato dall’uomo. Oggi però è fondamentale capire come “curarla” in modo sostenibile, e in questo quadro rientra la questione delle grandi navi soprattutto per l’inquinamento associato al loro passaggio». «Si ha idea delle emissioni, del consumo di plastica e materiali non riciclabili che comportano questi giganti del mare? – polemizza Jane Da Mosto -. Basti pensare al fatto che nella maggior parte dei porti, Venezia compresa, viste le dimensioni, non hanno la possibilità di attaccarsi all’energia elettrica di terra, quindi continuano a bruciare gasolio anche quando sono in porto, scaricando l’inquinamento nei luoghi in cui sostano». «Da anni ormai è in corso un processo di “marinizzazione” della Laguna – sostiene Luisa Blasi, psicologa veneziana e grande amante della sua città – . Con l’ingresso delle grandi navi sono stati scavati canali profondi, perdendo le barene, ovvero le terre emerse tipiche della zona umida, che svolgono un ruolo ambientale fondamentale nell’accogliere uccelli e gli altri animali. Scavare canali è esattamente il contrario di quello che servirebbe fare».

La bellezza della laguna al tramonto. il suo ecosistema, così delicato, è messo in pericolo dall’erosione delle barene, le terre umide che ospitano uccelli e animali, dovuta al transito delle grandi navi (foto di Peggy Choucair)

Cambiare modello o far uscire le grandi navi da Venezia costruendo nuove opere? «Se si cerca un modo di ricollocare dei mostri, non si troverà mai un posto giusto. Perché sono mostri. È necessario innovare il modello di business di questo settore; ci sono già navi di dimensioni più piccole, o navi a idrogeno verde» insiste Jane Da Mosto. «Venezia ha bisogno di una strategia di ampio respiro. Con una gestione lungimirante, si potrebbe creare un grande hub mettendo in connessione tutti i porti dell’alto Adriatico per una migliore gestione del traffico commerciale», concorda Andrea Barina, proprietario dello storico bar Palanca alla Giudecca. Spiega ancora Marani: «Il canale Malamocco-Marghera, il cosiddetto canale dei petroli, è lì da circa sessant’anni. Questo ha portato a un’erosione diffusa e ormai nota. Dissento sul fatto di chiuderlo, perché implica di manomettere ulteriormente la laguna alterando un assetto ormai raggiunto, inducendo ulteriore erosione. È più sensato gestire questo canale già esistente che, modificato nella sua geometria in corrispondenza della zona industriale, potrebbe portare le grandi navi passeggeri lontane da Piazza San Marco». Anche perché porto significa lavoro (ma il decreto prevede anche indennizzi e forme di sostegno per chi subirà un danno dalle nuove disposizioni)

Lo Squero di San Trovaso, uno dei più famosi fra gli squeri veneziani dove si costruiscono e si riparano le gondole (foto di Didier Descouens)

Saverio Pastor è il fondatore di El Felze, l’Associazione dei Mestieri che contribuiscono alla costruzione della gondola. «Condivido pienamente la protesta e al tempo stesso capisco che c’è un grande disagio dei lavoratori, soprattutto ora che abbiamo patito molto per la totale interruzione di afflusso dei turisti. Spetta alla politica trovare le risposte per spostare in altri porti la croceristica pesante e dedicare a quella leggera la nostra struttura portuale; peraltro, questa impostazione sta diventando sempre più diffusa anche tra gli armatori, che si rendono conto come le navi giganti comportino problemi nel lungo periodo. Questo potrebbe anche creare una nuova filiera di produzione di navi più sostenibili. Per la nostra categoria, fatta di artigiani di alta qualità, il modello turistico di massa “mordi e fuggi” non porta ritorni: questo tipo di crocieristi spendono poco. Una crocieristica leggera, con passeggeri selezionati e con disponibilità economica più alta, avrebbe sicuramente un ritorno maggiore».

Il Mose, la struttura dalla vita tormentata che entra in azione per evitare l’acqua alta a Venezia. il decreto del 13 luglio prevede il suo completamento con 80 milioni di euro

Ottavia Piccolo da molti anni vive a Venezia e vede da vicino gioie e dolori della città. «C’è una netta polarizzazione di posizioni – dice l’attrice -. Una parte della popolazione sostiene che l’economia, e i posti di lavoro, dipendono indissolubilmente dalla presenza dai turisti; la parte opposta chiede l’interdizione delle grandi navi da Venezia e la promozione di modelli alternativi di sviluppo. Nell’ultima manifestazione i due schieramenti si sono contrapposti fino quasi a scontrarsi. Uno scontro sul modello del’Ilva di Taranto, tra lavoro e salute. Si è arrivati a questo nodo anche perché da anni la laguna è stata completamente votata al turismo di massa, tanto che la metà della popolazione vive di servizi e commercio legati alla presenza dei visitatori. Questa situazione porta a un dibattito “noi contro voi”, distogliendo l’attenzione dal punto cruciale: una programmazione di lungo periodo che valorizzi altre dimensioni del sistema socioeconomico, promuova soluzioni sostenibili e coniughi economia e protezione del patrimonio qui custodito. È come se i veneziani fossero disillusi dall’idea che non si possa fare altrimenti»
«I veneziani non sono più qui a difendere Venezia – è l’amara constatazione di Toscani – .Da tempo se ne sono andati in migliaia a vivere sulla terraferma».

Intanto, in attesa dei punti di approdo a Marghera, le grandi navi si sono già organizzate: MSG attraccherà a Monfalcone e porterà a Venezia i turisti a Venezia in autobus (circa 90 minuti), Costa a Trieste.

 

Immagine di apertura: il contrasto fra la fragilità di Venezia e la grande nave che entra nella città (foto di Andrea Merola)

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