Milano 27 Ottobre 2023

I furti nei musei sono ricorrenti; la novità è che se questi sono perpetrati dal capo curatore di un museo (come quello che era a capo della sezione greco romana del British Museum di Londra, beccato con le mani nel sacco), o da un impiegato di un museo tedesco, la prospettiva cambia. E si mette anche il dito nella piaga della permeabilità di queste istituzioni. Il caso del Deutsches Museum di Monaco di Baviera è ancora più strabiliante. Il tecnico coinvolto ha sostituito dei quadri del museo (tra cui un dipinto di Franz von Stuck) con delle copie, vendendo gli originali a una casa d’asta tedesca, la Ketterer, pretendendo che fossero beni di famiglia ereditati, comprandosi poi oggetti di lusso, tra cui anche una Rolls Royce.

Franz von Stuck,”La favola del principe ranocchio”, 1891, olio si tavola, Monaco, Deutsches Museum. uno dei quadri rubati e poi venduti da un tecnico dipendente del museo che li ha sostituiti con delle copie

C’è un’artista come la francese Sophie Calle, che ha trasformato un infausto evento al museo Isabella Stuart Gardner di Boston in una serie di lavori fotografici sui quali riflettere. Nell notte del 18 marzo 1990 furono rubati tredici capolavori tra cui tele e bozzetti di Manet, Degas, Rembrandt e Vermeer al quale appartiene Concerto a tre, quadro trafugato dal valore stimato di 200 milioni. Gli autori del furto entrarono nel museo alle una e mezza di notte. Mascherati da poliziotti e con la scusa di aver ricevuto dei reclami per disordini provenienti dall’interno, furono lasciati entrare da una delle due guardie, tale Rick Abath, che in quel momento si trovava in portineria. Una volta dentro i ladri, dopo aver imbavagliato entrambi i custodi e averli ammanettati nelle fondamenta del palazzo, restarono dentro l’edificio per ben ottantuno minuti. In quel lunghissimo frangente di tempo, rubarono Vermeer, Govert Flinck e Rembrandt togliendoli dalle rispettive cornici, che lasciarono abbandonate sul pavimento. Queste furono poi restaurate e appese al posto dei quadri, incorniciando il vuoto sulla parete. L’artista si concentrò su questo aspetto dell’assenza del dipinto, chiedendo agli impiegati e ai visitatori di essere fotografati di spalle davanti alla cornice, e chiedendo loro di esternarle ciò che vi vedevano all’interno.

La sala del museo Isabella Stuart Gardner di Boston devastata dai ladri nel 1990. Fra i quadri rubati, Manet, Degas, Rembrandt e Vermeer (foto di Elle Decor)

Chi sedeva di fronte al vuoto lasciato dalla Tempesta sul mare della Galilea di Rembrandt così descriveva il suo stato d’animo: «È un néant impossibile da descrivere, vedo uno spazio sacro. Questa cornice non può che accogliere La Tempesta di Rembrandt. Nient’altro. E anche se Rembrandt resuscitasse per eseguire una nuova opera, questo non sarebbe il suo posto. La Tempesta, ecco. Nient’altro che La Tempesta». C’è nel pensiero di questa persona “interrogata” da Sophie Calle tutto uno sgomento nel non vedere più un dipinto amato. Sgomento che, invece, non ha toccato il trentennale capo curatore della sezione greco-romana Peter John Higgs del British Museum quando, giorno dopo giorno, asportava dai depositi reperti archeologici, gemme e gioielli, senza che nessuno sospettasse di lui. Pezzi importanti dal XV secolo a.C al XIX secolo d.C che poi lo stesso metteva all’asta su eBay con uno pseudonimo. Finché qualcuno, altrettanto esperto come lui, non ha riconosciuto la provenienza di alcune gemme proprio da una collezione donata al museo londinese.

il cortile interno del museo Isabella Stewart Gardner di Boston dove nel 1990 avvenne un sensazionale furto di quadri (foto di Sean Dungan)

Allertando il British Museum e facendo scattare le indagini. Si rimane allibiti pensando che un uomo delle istituzioni, deputato a preservarle, sia arrivato a tanto. Lo scossone è stato grande ed ha generato a cascata una serie di provvedimenti interni e, in primis, le dimissioni del direttore, il tedesco Hartwig Fischer, ora sostituito ad interim da Sir Mark Jones.
Per parlare dell’Italia, nemmeno noi siamo stati esenti da un grosso scandalo. Però questa volta l’oggetto del desiderio erano gli antichi volumi della Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Che è stata oggetto di un furto sistematico di 2mila volumi, principalmente ad opera del direttore Marino Massimo De Caro (condannato a sette anni di reclusione) e anche qui, chi doveva custodire il “tesoro”, se ne è fatto un baffo, spogliandolo. E, come se non bastasse, la stessa persona ha infierito anche altrove (all’abbazia di Montecassino, all’Osservatorio Ximeniano di Firenze, alla biblioteca del ministero dell’Agricoltura). L’anno scorso la biblioteca è stata dissequestrata dopo dieci anni.

La Great Court del British Museum, museo londinese fra i più famosi al mondo (foto di Hurk)

Sono questi, chiaramente, furti alla collettività che, oltretutto, alimentano il mercato clandestino di opere d’arte, nel senso più ampio. Certo la vicenda del British Museum è stata (finora) la più clamorosa di tutte, essendo questo museo una sorta di santa sanctorum dell’archeologia (qui si trova la stele di Rosetta e anche il 50 per cento dei fregi del Partenone), con i massimi crismi del rispetto e della serietà. Uno dei problemi di tutti i musei resta sempre l’inventario: spesso lacunoso, non aggiornato, non digitalizzato, il che consente quelle zone grigie in cui i malfattori possono operare a loro piacimento. Quindi un furto come questo dovrebbe servire ad investire (in termini economici e umani, di personale) proprio in questo settore: la tecnologia c’è.

La stele di Rosetta

La custodia del patrimonio, e della memoria, non è solo quella che si ammira nelle sale espositive, ma è anche quella che si conserva nei depositi. Il British Museum, scottato da questo scandalo, ha però subito reagito sia cercando di recuperare i tanti pezzi (è stato aperto un sito dedicato), e accelerando la digitalizzazione di tutta la loro collezione (circa 2,4 milioni di oggetti), un lavoro che durerà cinque anni e costerà circa 12 milioni di dollari.

Immagine di apertura: Peter John Higgs, capo curatore della sezione greco-romana del British Museum per trent’anni, ha rubato gioielli e pietre preziose d’epoca romana e altre opere senza che nessuno se ne accorgesse. E’ stato licenziato all’inizio di quest’anno (fonte: telegraph.co.uk)

Milanese, è giornalista professionista del "Corriere della Sera" da molti anni. Scrive di arte per il "Magazine 7", occupandosi di tematiche che spaziano dall'archeologia al contemporaneo. Con il filosofo francese Jean Guitton ha scritto un libro di dialoghi sul tema della religione e della contemporaneità pubblicato prima in Francia, poi in Portogallo e in Italia ("L’infinito in fondo al cuore", Mondadori, 1998). È autrice e regista di video e di documentari, andati in onda in Francia sul canale televisivo "Arte". Si ricordano in particolare i suoi filmati dedicati a Giorgio Strehler; i suoi dialoghi con il maestro sono stati raccolti nel volume "Il tempo di una vita. Conversazione con Giorgio Strehler", pubblicato dalla De Ferrari Devega. Nel 2013 ha ricevuto a Roma, dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna, il premio "Arte Sostantivo Femminile" per essersi distinta nel giornalismo d'arte. Nel corso della sua attività ha intervistato i principali protagonisti del mondo dell'arte: direttori di musei, curatori, collezionisti come François Pinault e artisti tra cui Keith Haring, Cattelan, Damien Hirst, Jeff Koons. Al museo MAMM di Mosca ha curato nel 2017 un'antologica del maestro Pino Pinelli. Collabora alla programmazione artistica di Borsa Italiana; tra le ultime mostre realizzate, quelle dedicate a Lucio Fontana (con un focus sui tessuti disegnati dall'artista) e su Gio Ponti.

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