Milano 28 Ottobre 2022
La realtà virtuale integrata è sempre più vicina, proprio ad un passo, e una delle aree di applicazione più interessanti è la medicina. L’utilizzo di una tecnologia di avanguardia, in grado di amplificare, proiettare e in parte sostituire l’operatore chirurgico, è, infatti, già oggi una realtà, e non virtuale, in Italia. Si tratta della chirurgia che si avvale di un robot (il più diffuso è il Da Vinci giunto ormai alla quarta generazione), praticata soprattutto in Lombardia, in Toscana e in Veneto (il 50 per cento del totale dei centri).

Robot che non agisce in autonomia: a guidare i suoi bracci, dove sono montati gli strumenti, è sempre il chirurgo. Il sistema è costituito dalla console chirurgica (da qui il chirurgo controlla l’endoscopio in 3D e gli strumenti per mezzo di manipolatori e pedali), dal carrello paziente (gli strumenti e l’endoscopio) e il carrello visione (l’unità centrale di elaborazione dell’immagine, con un sistema video ad alta definizione). Sono 115 in Italia (22 solo in Lombardia) e oltre 5.000 nel mondo le piattaforme chirurgiche Da Vinci, utilizzate in molti ambiti soprattutto per l’asportazione della prostata, in oncologia, in ginecologia, in chirurgia toracica, per la precisione che il sistema consente, la bassa invasività e la riduzione dei tempi di recupero post operatorio. E in cardiochirurgia? La risposta arriva dall’ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo, il primo centro italiano ad attivare nel 2019 un programma di cardiochirurgia robotica, a fianco di quella tradizionale, sotto la guida del dottor Alfonso Agnino, specializzato nell’uso di tecniche mininvasive video-assistite.

Il centro di Bergamo è tra i firmatari dell’articolo Robotic Cardiac Surgery: Status 2020 in Europe pubblicato di recente sulla rivista scientifica Frontiers of Cardiovascular Medicine. È infatti uno dei 26 centri europei con un programma di cardiochirurgia robotica con 200 interventi effettuati fino ad oggi, una media di 3 – 4 alla settimana. L’altro centro italiano che ha intrapreso questa strada nella chirurgia del cuore è l’ospedale San Camillo di Roma, sotto la guida del cardiochirurgo Francesco Musumeci che ha avviato il programma nel 2020 (vedi cartina). L’articolo traccia lo stato dell’arte degli ultimi anni (dal 2016 ad oggi) di attività nella cardiochirurgia robotica e analizza i benefici del percorso di cura per i pazienti. Il robot viene utilizzato negli interventi per risolvere le patologie della valvola mitrale, sia la riparazione che la sostituzione, i difetti congeniti, l’insufficienza della valvola tricuspide e la patologia coronarica, soprattutto interventi di bypass. Il passo successivo è stato fatto a giugno di quest’anno: in Humanitas Gavazzeni è stata effettuata la prima operazione attestata in Europa di cardiochirurgia robotica con l’uso congiunto di robot e occhiali smartglasses, ovvero di dispostivi che danno la possibilità di sfruttare la realtà aumentata visualizzando immagini e video sul display delle lenti. L’intervento – un bypass coronarico a cuore battente con prelievo dell’arteria mammaria tramite il robot – è stato realizzato dal dottor Alfonso Agnino e dalla sua équipe.

«Abbiamo spostato in avanti l’asticella da due punti di vista – spiega Agnino . -. L’estrema accuratezza della mano robotica riduce al minimo il trauma dei tessuti che vuol dire 4 incisioni di 8 millimetri invece di aprire il torace. Questo si traduce in un’importante diminuzione del dolore, un ridotto rischio di sanguinamento, un quasi totale abbattimento dei rischi infettivi, un evidente vantaggio estetico (e quindi psicologico) e un rapido ritorno ad una vita normale senza necessità di riabilitazione. Io ho visto pazienti che già una o due ore dopo l’operazione potevano parlare al telefono, mangiare, bere».
«Il secondo aspetto, altrettanto importante – prosegue il chirurgo -, è che c’è stata una vera e propria elevazione di sistema. Più la tecnologia è andata avanti e più abbiamo aumentato il livello di valutazione preoperatoria del paziente, di realizzazione del gesto chirurgico, di gestione del post operatorio. Facendo incisioni sempre più piccole, è necessario mirare in maniera precisa il target, come se facessimo un intervento cucito su ogni singolo paziente».
Ettore Vitali è uno dei più grandi cardiochirurghi italiani; durante la sua lunga carriera ha eseguito oltre 2000 interventi per patologie cardiache congenite ed acquisite e come primo operatore 300 trapianti di cuore. Ha studiato ed implementato nuovi sistemi mini invasivi di chirurgia cardiovascolare e i dispositivi più innovativi di assistenza ventricolare meccanica, sia totale che parziale, con la partecipazione esclusiva come centro italiano a studi clinici internazionali.

Però sul robot sul cuore è critico: «Credo nella chirurgia robotica, ho seguito la sua applicazione fin dagli inizi – precisa Vitali -. Ma dal mio punto di vista l’ambito di maggiore potenzialità è quello che opera su organi diversi, la prostata, ad esempio dove si può fare un’asportazione mirata che evita poi conseguenze frequenti con l’intervento tradizionale, come l’impotenza. Sono convinto che il cuore malato, per essere curato, deve essere visto perché ogni cuore è diverso dall’altro. In questo caso, il buon esito dell’operazione non dipende dal robot ma principalmente da come è fatto l’organo, oltre che, ovviamente, dalle capacità del chirurgo».
«È anche vero – prosegue Agnino – che i sistemi di automazione potenziano quello che l’uomo è capace di fare, nel bene e nel male. Sono convinto che entro cinque anni faremo molte cose con il robot, soprattutto le faranno i giovani».
Immagine di apertura: fonte: gvmnet.it