Firenze 27 Settembre 2023

La poesia oggi viene considerata una espressione artistica minore rispetto alla narrativa. Nonostante che nel nostro Paese esistano decine di migliaia lettori di libri e riviste di poesia, molti dei quali ricorrono spesso al self publishing delle proprie composizioni o partecipano alla miriade di concorsi letterari esistenti alla ricerca di un riconoscimento. Ma quanta scrittura che oggi passa per poesia, lo è davvero? E gli addetti ai lavori (generalmente editor, critici letterari, poeti, redattori di riviste, professori universitari e simili) con quale canone interpretativo giudicano gli autori e le loro opere meritevoli di essere inserite in una antologia d’autore oppure di esserne escluse?

La casa di Giovanni Pascoli a Castelvecchio, Barga (Lucca), dove il poeta visse dal 1895 al 1912. Dopo la sua morte la sorella volle mantenerla per molti anni com’era, senza acqua corrente e luce elettrica. Oggi è un museo (foto di Sara Moscardini)

Nella prima metà del Novecento la tradizione era dettata dalla corrente ritenuta dominante rappresentata da Gabriele D’Annunzio, Giovanni Pascoli e Giuseppe Ungaretti interrotta poi, per stile e contenuti, da Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo, ambedue Premi Nobel. Il primo influenzato da Ermetismo e da Thomas Stearn Eliot per l’uso stilistico del “correlativo oggettivo”, concetto poetico elaborato da quest’ultimo; il secondo dalla rivisitazione dei lirici greci e da una poesia d’impegno civile. Altri come Umberto Saba, Cesare Pavese, Diego Valeri, Vittorio Sereni e Giorgio Caproni stentavano a vedere riconosciuta la loro originalità espressiva.
Mentre in Italia poeti come Eugenio Montale, impegnati nella ricerca del senso autentico della vita che continuamente ci sfugge, erano uomini che, in un tempo privato di ogni libertà civile, lasciarono detto “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, in Europa la condizione dei poeti più celebri era ancora più tragica. Federico Garcia Lorca fu fucilato a Viznar dai franchisti durante la guerra civile spagnola; Thomas Stearns Eliot scrisse La terra desolata mentre era ricoverato in Svizzera per una grave forma di depressione; Vladimir Majakovskij si suicidò con un colpo di rivoltella al cuore.

Giuseppe Ungaretti nel 1968, due anni prima della sua scomparsa

Soltanto a partire dagli anni Settanta del secolo scorso con la pubblicazione di nuove antologie come quella di Edoardo Sanguineti, Poesia italiana del Novecento (1969) e di Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento (1978) al canone fondato sulla tradizione venne contrapposta una nuova genealogia poetica volta a valorizzare la Neoavanguardia, recuperare a posteriore il movimento Futurista e dimostrare la modernità del Gruppo 63, movimento letterario nato a Palermo nel 1963 da alcuni giovani intellettuali fortemente critici nei confronti delle opere letterarie legate ai modelli tradizionali degli anni Cinquanta.
Dopo questo momento di rottura, rispetto ai precedenti canoni interpretativi, la poesia italiana rivela un drastico cambiamento. Non è più una piramide gerarchica di valori espressivi perché diventa una costellazione di nuove voci emergenti come quelle di Mario Luzi, Franco Fortini e Andrea Zanzotto, nati negli anni Dieci e quelle dei nati negli anni Trenta come Giovanni Raboni, Amelia Rosselli, Antonio Porta e Edoardo Sanguineti e negli anni Cinquanta come Valerio Magrelli e Milo De Angelis. E poi, ancora, Luciano Erba, Giovanni Giudici e Pier Paolo Pasolini.

Eugenio Montale (1896-1981) fotografato da Federico Patellani a Milano nel 1964

Al di là di questi autori di indubbio valore, per chi volesse addentarsi nella cosiddetta “moltitudine poetante” di altri autori pubblicati da riviste o da case editrici che danno ancora spazio alla poesia (Einaudi, Mondadori, Garzanti, Crocetti, Guanda, Le Lettere etc.), fare una scelta d’autore in base a temi che esprimano una propria visione del mondo, appare impresa decisamente ardua. È impensabile che si possa ripetere il miracolo di incontrare, ad esempio, la poesia dei tre grandi romantici inglesi, i giovanissimi Percy Bysshe Shelley, George Gordon Byron e John Keats, per i quali la natura, l’amicizia, l’amore, la vita avventurosa erano poesia da cantare come nella famosa Ode al vento occidentale.
È pur vero che la poesia non “deve” esprimere qualcosa di determinato. Quella autentica sa di dover rappresentare una voce capace di far scoprire la bellezza e l’armonia di un linguaggio che ci fa intuire qualcosa di universale, anche a partire dalla sofferenza individuale (vedi Ungaretti) oppure (come la chiama Diego Valeri), la “gaia tristezza” con cui vivere con felicità e leggerezza la vita umana. Per fare una riscoperta delle migliori opere di poesia – testimoni di anni difficili per la vita democratica nel nostro Paese, a partire dagli anni Settanta – , si potrebbe tornare a leggere I fondamenti invisibili di Mario Luzi, La meglio gioventù (1974) di Pier Paolo Pasolini, Il muro di terra (1975) di Giorgio Caproni, la strazianti confessioni d’amore di Amelia Rosselli oppure la visione tragica e profetica che dal futuro precipita sulla realtà attuale di Milo De Angelis in Somiglianze (1976).
Questo per il recente passato. Ma se torniamo ai giorni nostri non sarà cosa facile smentire la diffusa considerazione che la poesia sia ormai un’arte superata e quindi superflua per la sua inconsistenza nel farci vivere in maniera autentica (sublime o disperato che sia) il sentimento della vita, il senso delle cose al di della loro ingannevole apparenza, l’amore e la compassione per coloro che soffrono.

Una bella immagine di Pier Paolo Pasolini (1922-1975), poeta oltre che scrittore e regista, negli anni della maturità

Ricorrendo, anche in questo caso, ad una delle ultime raccolte di poesia di settanta poeti italiani contemporanei, Braci di Arnaldo Colasanti (Bompiani, 2021), troviamo poche voci che possano considerarsi autenticamente valide, nonostante il lodevole sforzo interpretativo del curatore dell’antologia. Resta, infatti, diffusa l’egemonia di una poesia minimalista piccolo-borghese che, per temi e per stile, resta molto al di qua dell’autenticità e dell’identità che ha attraversato il Novecento europeo.
A voler seguire una ricerca per categorie tematiche, si troverà, infatti, in Patrizia Valduga il richiamo ossessivo al corpo o al linguaggio altrettanto corporale di Gabriele Frasca costruito sulla rima e sulle assonanze ripetute. Si scoprirà in Giorgio Manganelli un poeta funebre, grottesco e comunque geniale. Sul tema della tragedia dire, come fa Milo De Angelis, che «il pensiero della morte è matrice della parola poetica» è una espressione enfatica al pari di quella usata da Eugenio De Signoribus nel dire che la vita quotidiana è uno spaesamento assoluto nel «vuoto delle stanze di un mondo inospitale».
Siamo, insomma, di fronte al panorama di una poesia stagnante per cui un numero crescente di lettori disaffezionati si chiede perché leggere o scrivere poesie se non per quell’insopprimibile bisogno di goderne la bellezza quando si riesce a trovarla e leggerla? Le scoperte, tuttavia, non mancano come quella di un Valerio Magrelli nel suo capolavoro Disturbi del sistema binario (2006).

Le scoperte recenti delle Neuroscienze rivelano che la poesia, recepita dal nostro cervello come una sorta di musica, favorisce il benessere mentale e il relax del corpo (foto di Rolandmey)

Ma esistono anche molti altri poeti contemporanei dotati di una propria visione del mondo e di un raffinato linguaggio espressivo, come Domenico Adriano con la sua toccante semplicità, Franco Buffoni capace di scrivere versi in una forma essenziale e armonica non privi di riferimenti colti a Ezra Pound e Wystan Auden oppure Roberto Carifi, pistoiese colpito da ictus, autore di liriche leggere e levigate dalle lacrime dovuta alla perdita dell’infanzia e delle persone amate.
Vorrei concludere questo breve incontro con la poesia ricordando come essa dia benessere al corpo e alla mente. L’Università inglese di Exeter ha scoperto che il nostro cervello recepisce la poesia come una sorta di musica – non è dato sapere se per gli schemi ritmici o per il contenuto emozionale – favorendo in chi la legge la riflessione e l’introspezione, l’effetto emotivo e l’empatia. Scrivere e leggere, dunque, poesia, quella che apre il cuore e la mente all’immaginazione e alla felicità, si rivela un fatto tutt’altro che superfluo per la nostra vita quotidiana.

Immagine di apertura: foto di Gadini

 

Toscano, laureato in Scienze dell'educazione all'Università di Urbino, giornalista fin dal 1975, ha lavorato alla "Nazione" per molti anni ed è stato Direttore dei fogli culturali "Fabbrica e cultura" e "Artetoscana". Per decenni docente di Storia e Filosofia nei licei classici, ha pubblicato vari libri. Fra questi, "Stragi naziste sotto la Linea Gotica: Sant'Anna di Stazzema e Marzabotto (Mursia, 2004), "La resistenza nell'area tosco-emiliana" (1943-45) edito nel 2018 dalla Regione Toscana. Autore di poesie, nel 2020 ha vinto il Premio "Città di Sarzana" con la lirica "Oh, presto, usciamo dalla guerra!" e il Premio "Rocco Carbone" con la raccolta "Come voce di mare sullo scoglio"; nel 2022 il Premio "Lord Byron Porto Venere Golfo dei Poeti", con la raccolta di epigrammi in poesia sulla vita dei poeti Alighieri, Calvalcanti, Rimbaud, Keats, Leopardi ed altri.

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