Parma 27 Febbraio 2024
Noi e le piante: una storia di amore e di intelligenza. Si respira aria di progressi scientifici e di bellezza senza tempo nella mostra Impronte. Noi e le piante, al Palazzo del Governatore di Parma, che può essere visitata (gratuitamente) fino al 1º aprile. Oltre 570 metri quadri di spazi espositivi, 10 sezioni, più di 200 immagini di erbari storici, illustrazioni botaniche, stampe e xiloteche, un tuffo nel passato e un salto nel futuro, con fotografie e immagini ad alta tecnologia. Una passerella per raccontare la relazione che unisce l’umanità e la natura, ciascuno di noi all’albero e al fiore più amato, alla passione per gli esseri vegetali che sembra vivano nel silenzio, ma che in realtà ci parlano attraverso un infinito vocabolario di colori e di trasformazioni, purché lo sappiamo leggere. Questa mostra ci insegna a farlo.
Non si tratta di una rassegna per scienziati della botanica, neppure di un’immobile passerella museale di immagini d’archivio – nonostante l’indubbio valore scientifico – quanto, piuttosto, di un’esposizione viva che spalanca le porte sui segreti del regno vegetale e della sua rappresentazione nella storia, a testimoniare la reciproca seduzione tra piante e uomini. «Al giardino non l’ho ancora detto/ Non vorrei essere preda dell’emozione», scriveva nel 1858 Emily Dickinson, poetessa e giardiniera, nel suo commovente dialogo con le piante. E in quel verso c’era già il concetto chiave di Impronte, la consapevolezza che la natura ci parla se la sappiamo ascoltare, l’intuizione del rapporto – di cura, conforto, conoscenza – tra le persone e le piante iniziato oltre 600 anni fa, con i primi erbari illustrati, e arrivato ad oggi con le magie prodotte dai sensori dei satelliti capaci di svelare i segreti degli “amici vegetali”. Le meraviglie nascoste della natura sotto i riflettori per grandi e piccini (ci sono anche laboratori per le scuole e visite guidate) grazie a questa sorprendente e strana mostra realizzata dall’Università di Parma, con il Comune e la Fondazione Cariparma, Gruppo Chiesi e Gruppo Davines.
L’impronta da cui partire? Quella famosa “manicula”, disegnata da un anonimo lettore a margine di una copia dell’Hortus Sanitatis, enciclopedia di storia naturale in latino pubblicata da Jacob Meydenbach a Magonza nel 1491, cioè una mano a mo’ di segno di evidenziatore ante litteram per sottolineare un concetto sulla Tabula medicinalis. Come un fascio di luce che raccomanda allo studioso “occhio a questo dettaglio”. Sì, perché a partire dal 1400 i disegni botanici vanno affermandosi come strumenti per insegnare ai medici e ai farmacisti le proprietà delle piante curative. E poi, con una complessità crescente, ecco che il disegno artistico, capace di individuare l’unicità della singola pianta “qui ed ora”, come nell’Herbarium di Otto Brunfels (1530) , si differenzia sempre più dalle creazioni astratte raffiguranti modelli universali, ad esempio, nella De Historia stirpium di Leonhart Fuchs (1542). Così botanica e arte, rappresentazione obiettiva ed estetica, diventano binari paralleli di due mondi intrecciati nell’amore dell’uomo per il regno vegetale.
Una galoppata nella scienza e nell’estetica, con tante tappe curiose: dagli erbari “disegnati” a quelli “secchi” (costituiti da piante essiccate) fino agli holzbuch, libri in legno come carte d’identità degli alberi, pesanti e difficili da trasportare, ma realistici e rispondenti al bisogno di mappare sistematicamente la vegetazione del pianeta. Dalla ricerca sui colori delle piante – si fa presto a dire viola, ma quale tra le mille sfumature? – documentata dai “Pantoni, cataloghi di ricerca sui colori che tormentarono perfino Darwin, fino agli studi sulle erbacce, come l’Elogio alle vagabonde del biologo Gilles Clément, saggio del 2010 dedicato alle piante che mettono radici dove capita.
Siamo tra la fine del Settecento e i primi del Novecento, epoca che segna la nascita del disegno della botanica moderna, le cui tavole dettagliate bandiscono la soggettività dell’illustratore. Dalle impronte alle impressioni: visto che spesso il disegno ruba troppo tempo allo scienziato e gli illustratori capaci sono merce rara, ci si inventa il nature printing, le foglie usate come timbri, una rappresentazione oggettiva che spalanca la ricerca a quel grande progresso che sarà la serialità.
Una storia nella Storia è quella di Gian Battista Guatteri, fondatore dell’Orto botanico di Parma, innamorato della salvia, che nella seconda metà del Settecento realizza un erbario a impressione in 10 volumi. Oggi l’Orto è al centro di un importante progetto di riqualificazione dell’Università affiancata da istituzioni e privati. E che dire di quella “capsula del tempo” creata dal parmigiano Luigi Gardoni (1819-1880), farmacista che aveva fatto della catalogazione la sua ossessione? Tra il 1886 e il 1878, l’instancabile Gardoni percorse in lungo e in largo la Padania a caccia di piante. Il suo erbario cataloga 10100 campioni, oltre a manoscritti, pubblicità d’epoca, disegni, persino poesie: uno spaccato del suo tempo, un’enorme raccolta inedita, mai catalogata fino al 2014, di cui Impronte mostra importanti esempi. Così come i funghi in cera che nel 1817 la duchessa Maria Luigia donò all’Orto botanico, fondamentali per la scienza, vista la deperibilità dei campioni reali, esempio di collezioni che oggi vengono trattate dai musei come preziose opere d’arte.
Donne e illustrazione botanica, figlie di un dio minore che alzano la testa: Impronte ne valorizza il ruolo come scienziate che hanno affrontato pregiudizi maschili, arrivando ad avventurarsi dall’altra parte del mondo con coraggio e competenza. Tra le figure simboliche, Maria Sybilla Merian (1647-1717), Elisabeth Blackwell (1821-1910), Margaret Mee (1908-1988), Lilian Snelling (1879-1972) e Alice Tangerini, vivente. “Sorelle” del secolo scorso che hanno usato il disegno delle piante per lasciare appunto un’impronta nel mondo della scienza e dell’emancipazione femminile.
Immagine di apertura: Luigi Gardoni, Erbario, 1836-1878. Università di Parma, Biblioteca dell’Orto Botanico