Milano 23 Aprile 2020

Il Coronavirus, quasi ridondante dirlo, ha sconvolto il mondo intero, provocato morti, cambiato il nostro modo di vivere. Ma prima di tutto, ha messo – e sta mettendo – a dura prova i Sistemi sanitari nazionali. È per questo che L’Unione Europea, dopo non pochi dibattiti e dichiarazioni che hanno minato la tenuta dell’istituzione stessa, ha mobilitato nei giorni scorsi oltre 3 miliardi di euro destinati ai sistemi sanitari nazionali per far fronte a questa emergenza.
Come funziona la Sanità in Europa? Sono due i paradigmi su cui la maggior parte dei Paesi basa i propri sistemi sanitari: il Modello Bismarck e quello Beveridge.

il logo, ormai storico, del National Health System, il Servizio Sanitario inglese

Quest’ultimo prende il nome da William Henry Beveridge, l’economista britannico che nel primo dopoguerra del secolo scorso avviò la riforma dello stato sociale da cui scaturì nel 1948 il Servizio Sanitario Nazionale inglese. Sistema adottato dall’Italia trent’anni dopo, nel 1978. Aderiscono al Beveridge anche la Spagna, il Portogallo e i Paesi Scandinavi. Il sistema prevede, con qualche variazione da Paese a Paese, la copertura delle spese sanitarie a tutti i cittadini grazie alla fiscalità comune: è universalistico, i ceti più abbienti garantiscono il diritto alla salute di chi è meno fortunato.

Il cancelliere Otto von Bismarck ritratto nel 1871 da Franz von Lenbach (olio su tela, Kunsthistorisches Museum, Vienna). Si deve a lui la nascita del sistema sanitario tedesco alla fine dell’Ottocento, basato sulle assicurazioni

Il modello Bismarck nacque in Germania per volere del cancelliere Otto von Bismarck che lo introdusse nel 1883. È un modello di welfare basato sul principio assicurativo che garantisce a chi lavora e alla sua famiglia la copertura finanziaria da rischi quali la malattia, l’invalidità, la morte, in relazione al contributo versato dal lavoratore stesso. Il datore di lavoro partecipa al pagamento del premio per il 50 per cento della quota mensile. Per i disoccupati è lo Stato a sopperire mediante un finanziamento dedicato. Vi aderiscono Francia, Austria, Olanda, Belgio e i Paesi dell’Europa orientale. C’è infine il modello USA, poco adottato, in cui il finanziamento privato proveniente da regimi di assicurazione volontaria o dai pagamenti diretti è significativo e nel quale è prevista anche una componente pubblica, Medicare e Medicaid. Questo modello è anche conosciuto come sistema di assicurazione sanitaria privata.

Qual è il modello più efficiente, soprattutto in questo momento di emergenza? In base ai dati più aggiornati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), nel 2018 l’Italia ha investito in Sanità risorse economiche pari all’8,8 per cento del Pil, percentuale che scende al 6,5 per cento se si considera la spesa sanitaria finanziata esclusivamente tramite fondi pubblici.
Considerando che la media Ocse è del 6,6 per cento, Paesi come la Germania (9,5 per cento), la Francia (9,3 per cento) e il Regno Unito (7,5 per cento) nel 2018 hanno registrato percentuali di spesa pubblica in Sanità rispetto al Pil più alte di quelle italiane. Sempre secondo l’Ocse, la spesa pro capite per il sistema sanitario nazionale italiano nel 2018 (ultimi dati disponibili) si aggirava intorno ai 2.545 dollari (circa 2.326 euro), in aumento rispetto ai 2.434 dollari (circa 2.225 euro) del 2010. La Germania con 5.056 dollari (circa 4600 euro), la Francia con 4.141 dollari (circa 3800 euro) e il Regno Unito con 3.138 dollari (circa 2900 euro) due anni fa spendevano più di noi.
Da un lato, è vero che la Sanità italiana, rispetto a quella degli altri Paesi europei, mostra buoni dati in termini di tassi di mortalità, ricovero e speranza di vita, ma la riduzione delle risorse ha causato evidenti problemi, venuti a galla in questo momento di emergenza.
Come spiega Gavino Maciocco, docente di Igiene e Sanità Pubblica all’Università di Firenze, esperto di politiche sanitarie e salute globale: «La crisi ha evidenziato le carenze. Il nostro Servizio Sanitario non ha funzionato per la pandemia da Covid-19, ma già non funzionava per la “normale amministrazione”. Anche di fronte all’epidemia da malattie croniche, il nostro sistema non si è minimamente attrezzato. Questo per il sottofinanziamento ben noto che parte dagli inizi di questo decennio, dovuto a scelte politiche precise. Un quadro di cui è massima espressione la Lombardia, una regione apparentemente ben attrezzata, ipertecnologica, ricca, che è crollata come un castello di carte. Il motivo è da cercare nelle scelte fatte negli ultimi decenni che hanno depotenziato la sanità pubblica, disintegrato la sanità territoriale e l’organizzazione della prevenzione, puntando tutto sugli ospedali e creando una competizione tra settore pubblico e privato con un occhio di riguardo verso quest’ultimo. Oggi è la Regione con il più alto numero di morti da Coronavirus».

Il medico di medicina generale: una figura che ancora funziona in alcune Regioni, come la Toscana e l’Emilia, ma che è stata depotenziata in altre con la Lombardia. con le tristi conseguenze che abbiamo visto nell’emergenza Covid-19 (foto di André Santana)

Un Servizio sanitario funziona, infatti, se ha dei livelli di cure primarie efficaci in grado di affrontare alla radice i problemi di salute della popolazione individuandoli nelle fasi precoci: sia per le malattie croniche che per  l’infezione da Coronavirus. «Il modello è lo stesso, il fattore chiave è identificare la situazione prima che degeneri. Un paradigma della sanità di iniziativa che evidentemente è sfuggito – continua Maciocco -. Poi c’è il tema della prevenzione che riguarda, guarda caso, anche i rischi di una pandemia: significa avere a disposizione tutto ciò che serve quando serve, mascherine, tamponi, personale sanitario adeguato. Come è fondamentale la formazione degli operatori ad utilizzare i dispositivi di protezione individuale, e così via. Oggi, invece, si sono mandate allo sbaraglio le prime linee».
Lasciando l’Italia e tornando a ragionare a livello europeo, la soluzione ad una gestione così frammentata e disomogenea di situazioni di emergenza complesse come quella attuale, potrebbe essere un Sistema Sanitario Nazionale europeo.

Secondo Maciocco non è questa la strada. «Non avrebbe neanche molto senso, – dice – le culture e le storie sono diverse e così resteranno. Può rimanere questa divisione purché si garantisca una universalità nell’accesso alle cure. In linea generale i Paesi Beveridge hanno una spesa sanitaria più bassa rispetto a quelli Bismarck. La spesa sanitaria pro-capite in Germania è molto più alta rispetto a quella italiana, quasi il doppio, ma loro garantiscono 8 posti letto per 1000 abitanti e noi 3,  e hanno il triplo dei letti per la terapia intensiva, fatto che è stato determinante in tempi di Covid-19».
Una buona e coordinata Sanità europea, anche se non espressa in un solo Sistema Sanitario Nazionale, dovrebbe essere quella che garantisce un’attività di controllo e prevenzione che nel caso del Covid-19 dovrebbe tradursi in identificazione, isolamento e trattamento dei casi a domicilio e non nella chiusura delle zone rosse come in Italia. «Quella è l’estrema ratio, sappiamo perfettamente che una cosa è trattare una polmonite nelle fasi finali, un’altra curarla in fase iniziale – spiega ancora il docente -. Per questo ci devono essere le visite, i trattamenti e i controlli svolti a domicilio».
Pandemie di questo genere potrebbero ripresentarsi in futuro e l’auspicio è che l’Unione Europea trovi la chiave di volta per mettere tutti i Paesi membri nelle medesime condizioni pur mantenendo modelli di sanità diversi. Per l’Italia, conclude Maciocco: «Basterebbe attenersi al Piano Pandemico Nazionale pubblicato nel 2008 dove sono presenti tutta una serie di indicazioni da attuare e che non sono state attuate. Se nulla cambierà, in futuro ci potremmo trovare in situazioni anche peggiori di quella attuale».

Immagine di apertura: foto di The Andras Barta

Nato a Milano, ma di origini toscane e romane, classe 1987, giornalista, in questi anni si è occupato di politica e economia per poi interessarsi di salute e terzo settore; per un articolo su questi due temi, nel 2015, ha vinto il premio giornalistico annuale della Federazione Alzheimer. Molto attento al mondo della comunicazione in generale, ama fare informazione a tutto tondo. Vive a Milano.

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