Milano 27 Aprile 2023

Nel 1776 il Teatro Regio Ducale, che sorgeva nella zona di Palazzo Reale a Milano fu distrutto da un incendio. Il patriziato milanese proprietario del teatro, decise di riedificarlo e di affiancarne un altro più grande in una zona vicino al Duomo – escludendo zone periferiche indicate dalle autorità austriache – dove sorgeva una chiesa detta Santa Maria della Scala. Vi era annesso un piccolo cimitero dove era sepolto Francesco da Milano detto il Liutaio (1497-1543), uno dei maggiori musicisti rinascimentali.

“Veduta del Teatro Grande alla Scala”, disegno e incisione di Domenico Aspar, 1790, pochi anni dopo l’inaugurazione del teatro

Una scelta felice dei milanesi in un luogo che si rivelerà magico. L’edificio, progettato da Giuseppe Piermarini, fu inaugurato nel 1778 con l’opera L’Europa riconosciuta composta per l’occasione da Antonio Salieri. Tra i fondatori del Teatro alla Scala c’erano Pietro Secchi, Cesare Beccaria, Alessandro e Pietro Verri, legati dalla fruttuosa esperienza precedente della rivista Il Caffè. Idee luminose che cambiarono indelebilmente il provincialismo della nobiltà milanese proiettandola nel grande laboratorio europeo della Enciclopedia Francese.

La copertina del libro di Antonio Schilirò “Milano e La Scala, nascita dell’industria lirica”, Sefer Editore, 2022

Nino Schilirò, storico insegnante al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, con pazienza certosina ha raccolto la storia delle grandi famiglie milanesi che misero i soldi per edificare il Teatro alla Scala e lo gestirono per quasi un secolo e mezzo. Ne è scaturito il volume Milano e La Scala (1778-1920) Nascita dell’industria lirica (Sefer editore), ritratto di una città felice di promuovere la musica badando anche al senso meneghino degli affari. Il maestro Schilirò con l’aiuto dei suoi studenti del Conservatorio e soprattutto dalla moglie Antonia Villa, ha rovistato e studiato le carte di archivi pubblici e privati, ricche di notizie inedite riuscendo a cogliere un aspetto poco noto al pubblico del tempio della lirica (alla ricerca storica hanno contribuito Pinuccia Carrer e Massimo Gentili Tedeschi, coordinati da Franco Pulcini). I promotori della costruzione del teatro, avendo pagato il costo della demolizione e della edificazione, ebbero la concessione (che di fatto divenne perpetua) dei palchi del teatro, con possibilità di arredarli, di ornarli, di ospitarvi ospiti, di fare banchetti e di darsi al gioco d’azzardo. Si trattava di una proprietà trasmissibile con atto notarile con facoltà di affitto, o graziosa ospitalità, soprattutto per gli eventi di beneficenza. Questo sistema, tra alti e bassi, durò fino al 1920. Per capire la fortuna del teatro bisogna conoscere la genesi di un’impresa privata che sviluppò la grande macchina culturale del belcanto. Per Milano è un’epoca preindustriale ma le idee galoppano verso una nuova era.

Uno sguardo d’insieme sui palchi della Scala (foto di Filippo Senatore)

Scrive Schilirò: «Il 2 marzo (1776 ndr), appena una settimana dopo l’incendio, il conte Carlo Giuseppe Firmian, ministro plenipotenziario di S.M.I. Maria Teresa d’Austria, presenta all’Arciduca Ferdinando le riflessioni sul modo di provvedere alla riedificazioni del Teatro». In pochi giorni con una velocità straordinaria – che oggi sarebbe considerata incredibile visti i tempi biblici della burocrazia – arrivarono i due progetti dell’architetto Giuseppe Piermarini e i due nuovi cantieri partirono immediatamente. In meno di due anni i lavori furono completati e i teatri edificati ed inaugurati (nella Milano di oggi i cantieri fanno parte di un paesaggio di lunga durata con lavori che bloccano per anni le strade). I proprietari dei palchi costituivano una vera e propria “società per azioni”, motore propulsivo della impresa teatrale lirica che in cinquant’anni anni a metà dell’Ottocento divenne un modello di imprenditorialità nuova dove si muovevano impresari, agenti ed editori musicali come Casa Ricordi. Tanto che Stendhal scriveva che un palco alla Scala costava quanto un appartamento a Parigi.

L’immagine drammatica della Scala all’indomani del bombardamento ad opera della Royal Air Force nella notte fra il 15 e il 16 agosto 1943

Schilirò ha analizzato il rogito notarile della fondazione (messo in appendice al libro) e un campionario di contratti successivi, la struttura architettonica dei palchi, la storia delle famiglie e anche le vicende politiche e sociali di una Milano che dopo l’unificazione del 1861 viene definita la capitale economica del Paese con l’impetuoso sviluppo della fine del XIX secolo. La Scala diventò il fiore all’occhiello della borghesia che, sostituendosi alla nobiltà, continuava ad utilizzare le proprie risorse per la cultura. Ma con la nascita del Regno d’Italia, il teatro non era più di pertinenza dallo Stato, ma del Comune di Milano e la penuria di sovvenzioni – vennero privilegiati altri investimenti – portò alla chiusura momentanea del teatro dal 26 dicembre 1897 e alla cancellazione della stagione dell’anno successivo. «La Scala non è soltanto un teatro; è un’istituzione che per la nostra città costituisce fonte di lucro». Così scriveva nel 1910 l’allora sindaco di Milano, Bassano Gabba, che si fece garante di un finanziamento pubblico a favore del Teatro del Piermarini. Ai primi del Novecento La Scala aveva un corpo di tremila addetti, tra maestranze, artigiani e artisti. Fatturava 947.888 lire che oggi corrispondono a un milione di euro. Ma per far quadrare il bilancio non bastava il sostegno dei proprietari dei palchi che ben presto svanì e dal 1928 ci fu una graduale espropriazione.

La torre ellittica (a sinistra) che ospita camerini, spogliatoi, uffici e servizi e la torre scenica (il parallelepipedo a destra), frutto della ristrutturazione attuata dall’architetto Mario Botta nei primi anni 2000 (foto di Luca Vanz)

Si costituì così l’Ente Autonomo Teatro alla Scala che acquisì tutti i palchi del teatro. L’Ente durerà fino al 1967 per diventare Ente autonomo Lirico, e trasformarsi poi nel 1996 in Fondazione privata Teatro alla Scala. Bombardata pesantemente nel 1943 durante l’Ultima Guerra e ricostruita nel maggio 1946 per volontà di Arturo Toscanini e dei milanesi, La Scala è stato ristrutturata nei primi anni Duemila con la creazione della torre ellittica e della torre scenica, ma anche con dubbi interventi architettonici come la demolizione della Piccola Scala, un gioiello del Barocco. Un teatro comunque sempre pronto a «risorgere per nuove imprese teatrali affascinanti» assicura il sovrintendente Dominique Meyer.

Immagine di apertura: lavori di manutenzione dei palchi (foto di Matteo Bazzi, Ansa)

Nato a Cosenza nel 1957, milanese di adozione, laureato in Giurisprudenza, giornalista pubblicista, da diversi anni archivista e bibliotecario al “Corriere della Sera". In precedenza ha lavorato all’ufficio legale delle case editrici Fabbri, Bompiani e Sonzogno. Direttore artistico del caffé Letterario "Portnoy" di Milano dal 1991 al 1995, ha pubblicato le raccolte di poesia "Noi e i ragazzi del Portnoy" (Eliodor 2007) e "Pandosia" (Manni 2009), in prosa "Cantiere Expo"( 2015) e "La leggenda del santo correttore" (2019) entrambi per Bibliotheca Albatros. Melomane e amante della musica classica grazie al nonno materno, pianista dilettante, ama l’arte e viaggiare.

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