Una dinastia di artisti, pittori, disegnatori, scultori che ha percorso la prima metà del Novecento in mezzo a lutti e peripezie. Unica loro colpa, essere ebrei. István Farkas, nato a Budapest nel 1887, pittore affiliato all’Ecole de Paris e importante editore ungherese, e sua moglie Ida Kohner, anche lei brillante pittrice di qualche anno più giovane, nonostante la fama, persero entrambi la vita nel 1944. Lui nelle camere a gas di Auschwitz, lei uccisa a Budapest da una banda di fascisti che ne gettarono il corpo nel Danubio. I tre figli sopravvissero in mezzo a molte difficoltà e nel dopoguerra approdarono a Roma. Charles divenne scultore, Paolo disegnatore tessile di grande successo. Oggi, nel giorno della memoria, la figlia di Paolo, Alessandra, nota giornalista de “Il Corriere della Sera”, ripercorre la sua “memoria” personale e famigliare della Shoah.

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«Che cos’è per te il Giorno della Memoria?», mi ha chiesto la mia amica Franca Porciani. Cara Franca, è il giorno che ha segnato la mia vita. Perché se nonno Istvàn non fosse stato selezionato al suo arrivo ad Auschwitz dall’angelo della morte Joseph Mengele e se sua moglie Ida Kohner non fosse stata massacrata dai nazisti ungheresi e gettata sanguinante nelle acque del Danubio gelato sopra una montagna di cadaveri, io non sarei mai nata. Papà avrebbe continuato a vivere la sua esistenza benestante e, dopo la guerra, non avrebbe avuto alcun motivo di fuggire nella Roma poverissima del dopoguerra e sposare mia madre, una bella romana appartenente a un mondo così diverso dal suo. Ho passato la mia vita cercando di sconfiggere quell’invisibile terrore che da sempre mi incute l’idea della morte. Lo stesso che mi attanaglia da quando papà e mamma mi chiamarono nella loro camera da letto per dirmi com’erano morti i miei nonni paterni. Fu allora che scoprii che erano ebrei. «Non c’è bisogno di fare troppa pubblicità alla cosa -, mi misero in guardia, – non devi vergognartene, ma neanche sbandierarlo». Io ubbidii, pensando che se fossi andata in giro a svelare il mio segreto, prima o poi avrei fatto la stessa fine dei nonni. La mia vita, da allora, mi parve costantemente in pericolo. Da grande ho capito che i cattivi non stanno sempre e solo da una parte. Perché nonna Ida, separata dal marito, si sarebbe salvata se sua madre, Helen Kohner, moglie del Presidente delle comunità ebraiche ungheresi e con amicizie influenti, avesse ascoltato la sua supplica di nasconderla insieme a mio padre, invece di pensare soltanto a scappare in Canada. Il fratello di papà, Charles, è riuscito a scampare alla morte nel campo di lavoro per ebrei in Jugoslavia dipingendo il ritratto a carboncino del figlio del comandante che – mi sono sempre chiesta – forse voleva solo proteggere quel giovane diplomato in arte dalle mani d’oro.

Toscana, milanese di adozione, laureata in Medicina e specializzata in Geriatria e Gerontologia all'Università di Firenze, città dove ha vissuto a lungo, nel 1985 si è trasferita a Milano dove ha lavorato per oltre vent'anni al "Corriere della Sera" (giornalista professionista dal 1987) occupandosi di argomenti medico-scientifici ma anche di sanità, cultura e costume. Segue da tempo la problematica del traffico d'organi cui ha dedicato due libri, "Traffico d'organi, nuovi cannibali, vecchie miserie" (2012) e "Vite a Perdere" (2018) con Patrizia Borsellino, editi entrambi da FrancoAngeli. Appassionata di Storia dell'Ottocento, ha scritto per Rubbettino "Costantino Nigra, l'agente segreto del Risorgimento" (2017, finalista al Premio Fiuggi Storia). Insieme ad Elio Musco ha pubblicato con Giunti "Restare giovani si può" (2016), tradotto in francese da Marie Claire Editions, "Restez Jeune" (2017). Nel gennaio del 2022, ancora con Rubbettino, ha pubblicato "Cavour prima di Cavour. La giovinezza fra studi, amori e agricoltura".

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