È uscito da pochi giorni negli Stati Uniti e in Gran Bretagna – da noi sarà nelle sale il 28 agosto – il film di Christopher Nolan, “Oppenheimer”, che ricostruisce la vicenda di Robert Oppenheimer, il fisico “prodigio” di origini tedesche che a soli 38 anni fu chiamato a guidare il laboratorio di Los Alamos destinato a creare quella bomba atomica che avrebbe cambiato il corso della storia. Al di là del valore artistico dell’opera di Nolan – monumentale, tre ore di proiezione, e ben accolta dai critici, compreso Richard Rhodes, noto storico premiato nel 1986 con il Pulitzer per il libro “L’invenzione della bomba atomica” – è importante ricordare perché il film arriva proprio oggi. Nel 1954, in pieno Maccartismo, al fisico, dopo molte settimane di udienze segrete, fu revocato il nulla osta di sicurezza da parte della Commissione per l’Energia Atomica americana, perché accusato di rappresentare un pericolo per gli Stati Uniti, cui seguì per Oppenheimer una vita difficile conclusa con la morte precoce a 63 anni per un tumore alla gola. Il 16 dicembre dell’anno scorso la sua figura è stata ufficialmente riabilitata dall’amministrazione Biden, affermando che quel processo fu viziato da errori e che «sono venute alle luce ulteriori prove del pregiudizio e dell’ingiustizia del processo a cui è stato sottoposto il dottor Oppenheimer». Tutto era cominciato – come ben noto – dal rifiuto del fisico di partecipare nell’immediato dopoguerra al progetto della bomba a idrogeno, la bomba H, mettendo in guardia dagli sviluppi dell’armamentario nucleare. Ma già subito dopo l’ordine di polverizzare Hiroshima e Nagasaki, Oppenheimer aveva voluto incontrare il presidente Harry Truman per confessargli il suo pentimento, rivelandogli di “avere le mani sporche di sangue”. Confessione alla quale il Presidente reagì con grande contrarietà. Cominciò da lì una campagna diffamatoria pesantissima: il fisico fu accusato di aver passato informazioni sulle arme nucleari ai sovietici (niente fu mai dimostrato), di essere lui stesso una spia, e di essere filocomunista vista l’appartenenza a quel partito della vivace moglie Kitty Puening, una biologa e botanica tedesca-americana (Oppenheimer era il suo quarto marito, cui dette due figli). La sua vita ebbe un prima e un dopo, molto pesante. Oggi che la guerra sembra aver ripreso tutto il suo vigore e con lei la corsa agli armamenti, il messaggio di un uomo capace di prevedere i pericoli connessi ad armi sempre più potenti settant’anni fa, va ricordato e tenuto bene a mente. Come ha sottolineato l’ultimo numero della rivista scientifica “Nature”. È un grande monito etico, soprattutto per le nuove generazioni.
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