«Le liste d’attesa rappresentano oggi il problema più inaccettabile per i cittadini. Un problema che ci portiamo dietro da molti, molti anni, che credo vada affrontato in maniera decisa innanzitutto con nuove risorse. Abbiamo stanziato con la manovra 520 milioni per l’abbattimento delle liste d’attesa». Lo ha detto pochi giorni fa il Ministro della Salute Orazio Schillaci, intervenendo a Genova all’Assemblea annuale dell’Anci. Certo è che il problema ha raggiunto numeri pesanti: stando ai dati riportati recentemente da “La Stampa”, chi nell’ultimo anno si è curato solo con il Servizio Sanitario Nazionale ha dovuto sopportare, in media, liste di attesa di 77 giorni, valore su cui pesa, e non poco, anche la scarsità di personale medico nelle strutture pubbliche. Liste d’attesa che tendono ad allungarsi fino a quasi raddoppiare a seconda dell’area geografica e della specializzazione richiesta. Ha aggiunto Schillaci nel suo discorso a Genova: «Credo che sia importante anche agire in maniera chiara sull’appropriatezza delle prescrizioni. Un fenomeno che va affrontato con grande determinazione, seguendo la scienza. Ci sono linee guida delle società scientifiche, vanno implementate, vanno rimesse insieme. Avere delle linee guida chiare dà anche sicurezza ai medici i quali a volte prescrivono in più per paura. L’altro fenomeno da combattere è la medicina difensiva che porta i medici a vivere male e a prescrivere spesso anche esami inutili, allungando così le liste d’attesa». E qui casca l’asino, diciamo noi, perché l’appropriatezza delle prescrizioni, soprattutto per la richiesta di esami strumentali, è un nodo centrale della crisi attuale della Sanità. Nessuno finora ha tentato di affrontarlo. Ci provò, timidamente e senza la competenza necessaria, Beatrice Lorenzin quando era Ministro, con un sostanziale nulla di fatto. Eppure è il nodo che mette in risalto l’inadeguatezza dei medici di base, che ritengono il loro lavoro solo un affare burocratico; tentare di fare diagnosi, per carità, mettere le mani sul paziente, un oltraggio alla loro professionalità. Chi ha formato questi medici del nulla? Una università culturalmente antiquata e nozionistica, che ha puntato all’innovazione solo nella tecnologia, questa sì, galoppante e invasiva. La visita medica è attualmente la Cenerentola dell’attività del medico. Ecco allora, montagne di richieste di indagini dettate soltanto dai “desideri” dei clienti/pazienti che intasano le liste di attesa in un sistema reso fragile dalla carenza di operatori. E, nel frattempo, l’opinione pubblica ha subito il “doping” dell’esame facile. Tanto che male c’è? Per lo meno ci si sente rassicurati. Su questo giornale, qualche tempo fa il geriatra Elio Musco, dedicò la sua rubrica, “L’età dell’oro”, proprio all’eccesso di esami del sangue inutili e di indagini strumentali superflue. La reazione dei lettori fu aggressiva: la maggior parte di loro sosteneva il valore dell’esame “superfluo”, utile a rassicurare sul proprio stato di salute e, quindi, più che giustificato. Una nuova forma di consumismo, spia del vuoto culturale prodotto dagli operatori sanitari negli ultimi anni, ma anche dai mezzi di informazione, sia cartacei che televisivi. È inutile stanziare milioni e riempirsi la bocca con la medicina difensiva, caro Ministro, se non si avvia un ripensamento sulla medicalizzazione della vita che ha dominato negli ultimi decenni.