St Andrews (Scozia) 28 Maggio 2022
Lo scorso 5 maggio, le elezioni in Irlanda del Nord hanno sancito uno spartiacque storico per il futuro politico dell’Ulster, ovvero delle sei province rimaste sotto il controllo della Corona inglese quando, nel 1922, la Repubblica d’Irlanda divenne indipendente da Londra. Le ripercussioni dei nuovi equilibri emersi dall’ultima tornata elettorale non saranno immediate, ma incrineranno la stabilità economica e politica del Regno Unito e porranno seri quesiti sulla sua unità territoriale. E il recentissimo Belfast, film semi-autobiografico del regista Kenneth Branagh, premiato con un Oscar alla migliore sceneggiatura originale, ambientato nel 1969 a Belfast, all’inizio del conflitto (i cosiddetti Troubles) fra le due comunità del Paese, la cattolica che vuole riunirsi all’Irlanda e la protestante, fedele a Londra, ha attirato l’attenzione del grande pubblico su questa tormentata vicenda.

Oggi, per la prima volta dal 1922, al parlamento di Belfast, il Sinn Féin, storico partito del nazionalismo repubblicano irlandese, considerato il braccio politico dell’IRA ai tempi dei Troubles, sarà il primo partito. Rispetto alla scorsa tornata elettorale, non ha conquistato nuovi seggi, mantenendo i 27 che già controllava, ma ha guadagnato l’1,1% dei consensi. Mentre il DUP, Democratic Unionist Party, il partito unionista, fedele a Londra, espressione della comunità protestante dell’Ulster, ha visto un crollo del – 6,7 per cento rispetto al 2017. A pesare terribilmente su questa pessima prestazione, sono gli eventi che hanno coinvolto il Regno Unito a partire dalla ratifica della Brexit nel gennaio 2020.
L’uscita dal mercato unico europeo ha posto la necessità di stabilire un confine tra il Regno Unito e l’Unione Europea. La questione ha però mandato in cortocircuito i precari equilibri che vigono a Belfast dal 1998, anno in cui con l’Accordo del Venerdì Santo vennero placati trent’anni di violenza tra la comunità cattolica e protestante.

Giocando sul fatto che sia il Regno Unito che l’Irlanda facevano parte dell’Unione Europea, quell’accordo permetteva un soft-border tra l’Ulster e la Repubblica d’Irlanda. In questo modo le esigenze e le rivendicazioni di entrambe le fazioni erano state soddisfatte quantomeno nel breve termine. Con la Brexit, però, un confine doganale Londra ha dovuto tracciarlo. Le possibilità erano due: o al confine tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, oppure nel Mare d’Irlanda, mantenendo l’Ulster dentro al mercato unico europeo ma, di fatto, separandolo dal Regno Unito. Londra ha scelto questa seconda soluzione, ma si è di fatto alienata il supporto degli unionisti nordirlandesi, sconvolti dal fatto che a Westminster abbiano deciso di allontanare la provincia dall’isola. Nei mesi successivi alla ratifica del cosiddetto Protocollo dell’Irlanda del Nord, Belfast è tornata ad assistere a manifestazioni e violenze identitarie come non succedeva da anni.

D’altro canto l’affermazione del Sinn Féin non è da sovrastimare come il primo passo verso la creazione di un’Irlanda unita. L’Accordo del Venerdì Santo prevede che i due partiti più rappresentativi di entrambe le comunità si accordino nella creazione di un governo. Il DUP e il Sinn Féin dovranno trovare un punto di incontro programmatico per gli anni a venire. Il leader del DUP ha tuttavia annunciato che non parteciperà a nessun esecutivo fino a quando il Protocollo sull’Irlanda del Nord non verrà rivisto. Il problema è che un’eventuale revisione prevede il riposizionamento del confine a ridosso della frontiera con la Repubblica d’Irlanda, eventualità che comporterebbe le proteste della comunità cattolica-nazionalista. Lo scenario più probabile al momento è dunque un’impasse istituzionale.
L’ascensione del Sinn Féin a Belfast ricopre, però, un’importanza ancora più significativa se si prende in considerazione il fatto che, per la prima volta nella storia, le due anime del partito a Belfast e a Dublino rappresentano il partito di maggioranza relativa nei rispettivi parlamenti. E visto che il Sinn Féin ha nel proprio programma il progetto di dar vita ad uno stato irlandese unitario, il consolidamento del partito da entrambi i lati della frontiera non potrà che agevolare tali sviluppi. Ma alla luce di questo fatto, l’intransigenza degli unionisti del Nord tenderà ad aumentare, probabilmente accentuata dalle rivelazioni che il prossimo censimento della popolazione consegnerà nel corso dell’estate.

Per la prima volta nella storia, i cattolici dovrebbero superare i protestanti, alterando il controllo demografico che i lealisti hanno avuto nei cento anni di vita dell’Irlanda del Nord. Ciononostante, ancora oggi i sondaggi mostrano che solo il 35 per cento della popolazione voterebbe per la creazione di un’Irlanda unita, dal momento che le incertezze economiche, sociali e politiche che ne seguirebbero sembrano spaventare i più. Al centro della questione, oltre a quali garanzie Dublino offrirebbe alla comunità protestante e unionista, che diventerebbe a tutti gli effetti una minoranza, molti temono la perdita del sistema di welfare pubblico sovvenzionato da Londra.
In questi ventiquattro anni, comunque, la pace non ha certamente significato stabilità politica e sociale. Le due comunità sono cresciute separate, fisicamente e culturalmente.

Dalle offerte di lavoro alla possibilità di comprare una casa o un terreno, dal sistema scolastico agli sport praticati, una demarcazione separa le due comunità, così come i «muri della pace» ancora oggi dividono i quartieri della Belfast cattolica da quella protestante. Il settarismo istituzionalizzato si è più volte risolto nella totale incapacità della politica di risolvere i problemi quotidiani dei cittadini, da un sistema sanitario fortemente in crisi alle ridotte possibilità economiche in molte aree del paese. Situazioni di disagio che si prestano alla radicalizzazione. Le scene di violenza che hanno scosso l’Irlanda del Nord negli ultimi mesi, con autobus dati alle fiamme e scontri con le forze dell’ordine, sono la più evidente recrudescenza di quanto avvenuto nel corso dei famigerati Troubles.
Anche per questo, può far sperare l’affermazione dell’Alliance Party, guidato da Naomi Long. La piattaforma elettorale del partito è volutamente bipartisan, tanto che la sua etichetta nel parlamento è “Altro”, invece di “Unionista” o “Nazionalista”. Il partito ha guadagnato il 4.5 per cento dei consensi rispetto al 2017, entrando in Parlamento con 9 seggi in più rispetto a quelli della scorsa legislatura.
Immagine di apertura: una scena del film Belfast del regista Kenneth Branagh, dove il piccolo Buddy, interpretato da Jude Hill, assiste a primi scontri fra la comunità cattolica e quella protestante (foto: RobyYoungson / Focus Features)