Milano 21 Dicembre 2024
Sede vacans. Formula antichissima per indicare lo spazio che intercorre dalla scomparsa di un pontefice e la nomina del successore. Il tempo del Conclave, Vatican thriller metafisico ma non troppo, firmato da Edward Berger, premio Oscar per Niente di nuovo sul fronte occidentale, supportato da un cast di prim’ordine, da Ralph Fiennes a Stanley Tucci a John Lithgow, appena uscito nelle sale con il marchio di Eagle Picture. Non esattamente un film di Natale, ma un film di indubbio fascino visivo e non celata ambizione morale, visto le prospettive cardine che pone, sia per chi crede sia per chi no.
Perché, come insito nel titolo, Conclave, va a indagare nel dietro le quinte dell’elezione più top secret del mondo, quella di un pontefice di Santa Romana Chiesa. Scranno ambitissimo, sogno e incubo di ogni porporato, oggetto di desideri oscuri, contese feroci, macchinazioni sibilline.
A dare il via a tanta sarabanda, la dipartita inattesa del papa in carica. Morto di notte, senza dare preavviso. Il rimando a altre morti improvvise, liquidate in fretta come attacchi di cuore, è lecito ma, nel caso, non pertinente. Il giallo non sta qui. Ma da qui tutto ha inizio. Al capezzale del defunto Santo Padre subito accorrono i suoi cardinali più fidi, si mette a punto la versione ufficiale della dipartita, si mette in moto la macchina da guerra del dopo papa. Le ritualità d’uso sono ferree: bisogna spezzare l’anello pontificio, sigillare con la ceralacca la sua camera, sottrarre il cadavere agli sguardi prima della sua vestizione per le esequie.
Se a dare l’annuncio spetta al segretario di Stato, l’intrigante cardinale Tremblay (Lithgow), al decano Lawrence (Fiennes), schivo e tormentato, tocca il compito di gestire i preparativi, sovrintendere ai cerimoniali, assicurarsi che tutto si svolga nel più rigoroso rispetto delle regole. Via via, da tutto il mondo arrivano i cardinali elettori, alcuni già in pole position per la somma carica, pronti a tutto per giocarsi al meglio le loro carte. Tra i papabili spiccano l’americano Bellini (Tucci), fronte liberale, in linea con le direttive del defunto papa che aveva aperto ai preti sposati e ai gay, mentre l’italiano Tedesco (Sergio Castellitto) è il paladino dei conservatori a oltranza, quelli che vorrebbero tornare alla messa in latino, istrionico e maneggione fin troppo.
Mentre il nigeriano Adeyemi (Lucian Msamati) punta sul colore della sua pelle: se eletto, diventerebbe il primo papa nero a salire al soglio di Pietro. Ultimo, e non previsto dall’elenco, ecco il cardinale Benitez (Carlos Diehz), messicano di stanza a Kabul. Una nomina segreta, fatta dal papa in persona, che coglie di sorpresa il resto del consesso, un po’ a disagio davanti ai suoi modi semplici e schietti, refrattari a qualsiasi inciucio.
Ci sono tutti, la riffa del potere può cominciare. Chiusi a doppia mandata (cum clave) nella Cappella Sistina (ricostruita benissimo negli studi di Cinecittà) ci resteranno segregati, niente telefono, niente internet, finestre oscurate, finché lo Spirito Santo non li illuminerà. Uniche uscite consentite, tutti insieme come in gita scolastica, per i pasti e il riposo alla casa di Santa Marta (la stessa dove vive Bergoglio, notoriamente allergico ai fasti nefasti vaticani).
Una residenza di sobria eleganza, gestita con polso fermo da suor Agnes (Isabella Rossellini), presenza silenziosa e allo stesso tempo mai sottomessa. A chi le rammenta che le donne con il velo non hanno diritto di voce nella Chiesa, lei ricorda con piglio fermo che «Dio ci ha dato comunque occhi e orecchie».
Basato sull’omonimo romanzo di Richard Harris (Mondadori) il film dipana con sguardo laico ma non anticlericale la complessa procedura delle votazioni in parallelo con gli occulti rosari di segreti e bugie tirati fuori ad arte. Volta per volta le schede si infilzano su un grosso ago, poi legate con filo rosso, infine bruciate nella stufa insieme a sostanze chimiche che, a seconda del risultato, producono le attese fumate, nere o bianche.
Gli equilibri si spostano, i pronostici si ribaltano con la violenza di un terremoto qui non metaforico. Come gli scoppi di bombe, le urla di rivolta che turbano l’apparente quiete liturgica. Il mondo di fuori resta invisibile, ma gli echi di una violenza, di una rabbia di cui nulla ci viene detto ma tutto si può immaginare, trapassano le mura della Santa Sede, raggiungono le orecchie dei cardinali non le loro anime, divorate dall’avidità del potere.
Lo Spirito Santo tace. O almeno così pare. Il proverbio, chi entra papa esce cardinale, stavolta non mente. Il colpo di scena finale, che ben ci guardiamo da svelare, è di quelli che potrebbero sgretolare tutto l’apparato. O magari salvarlo, e restituirlo al futuro sotto il segno di una fede rinnovata, riconsegnata al mistero della complessità originaria.
Immagine di apertura: Ralph Fiennes (il Cardinale Lawrence), mentre ascolta i suggerimenti del regista Edward Berger, sul set di Conclave