Milano 26 Marzo 2021
Pfizer, Moderna, AstraZeneca, il vaccino russo Sputnik V. I tempi lunghi e i ritardi nelle approvazioni dei vaccini anti-Covid da parte delle agenzie regolatorie hanno tenuto banco in questi mesi tra esperti, burocrati e media. La Gran Bretagna (l’Agenzia di regolamentazione dei medicinali, in sigla Mhra) approva tutto subito, gli Stati Uniti (Food and Drug Administration) poco dopo, Unione europea (Agenzia Europea per i Medicinali, in sigla Ema) mediamente 15 giorni dopo. Perché? Eppure, i dossier e i dati degli studi clinici che vengono presentati dalle aziende sono gli stessi. Che cosa c’è di diverso? Burocrazia o severità degli esaminatori? Sono molti oggi a chiedersi: ma la scienza in Occidente non è uguale per tutti? Con le stesse basi e conoscenze? Anche se, mette le mani avanti la Commissaria Ue alla Salute, Stella Kyriakides, «il collo di bottiglia al momento è nella carenza mondiale di capacità produttiva». Al di là delle approvazioni in ritardo o meno.

Per ognuno dei vaccini attualmente somministrati si è verificato, comunque, un ritardo tra agenzie. Tra Food and Drug Administration ed Ema in particolare. E le conseguenze dello slittamento dei tempi hanno investito tutta l’Europa, in particolare l’Italia e il suo piano vaccinale. A marzo, per esempio, i milioni di dosi attese dei vaccini AstraZeneca (1,6) e Moderna (1,3) non sono potuti arrivare perché mancava l’approvazione dell’Ema e probabilmente hanno preso la strada verso il Regno Unito.
All’origine delle perplessità dell’Agenzia Europea nei confronti del vaccino di AstraZeneca, per esempio, ci sarebbe stata la «notevole disomogeneità di alcuni dati relativi in particolare al dosaggio da utilizzare per ottenere un’efficacia ottimale (una dose e mezza oppure due dosi piene), oltre all’intervallo di tempo molto variabile (4-12 settimane) fra la prima e la seconda dose e alle situazioni epidemiche eterogenee in cui il prodotto è stato testato». Perplessità che non hanno rallentato, però, la Gran Bretagna e, poi, la Food and Drug Administration americana.

Approvazioni a velocità diverse, che vede l’Ema sempre un passo indietro. A parte il vaccino russo già all’esame dell’ente regolatorio europeo, ma non ancora di quello statunitense. Secondo il comunicato dell’Ema, però, non vi sarebbero ritardi: «La velocità di avanzamento dipende da una valutazione solida e completa della qualità, della sicurezza e dell’efficacia ed è determinata dalla disponibilità di informazioni aggiuntive da parte delle aziende per rispondere alle domande sollevate durante la valutazione». Sul timing dell’ente regolatorio continentale, sono spesso intervenuti i governi dei Paesi Ue. In particolare, alla fine di dicembre 2020, quando il vaccino Pfizer-BioNtech era già da tempo approvato e somministrato in Gran Bretagna e negli USA, ma all’epoca non ancora in Europa. Tant’è che il Ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, si lamentava con la stampa: «Tutti i dati di BioNTech sono disponibili, Regno Unito e Stati Uniti hanno già dato la loro approvazione. La revisione dei dati e l’approvazione dell’Ema sarebbero già dovute arrivare. La fiducia nella capacità di agire dell’Unione Europea dipende da questo. Ogni giorno di anticipo nella somministrazione dei vaccini è un passo avanti nel diminuire la sofferenza». E l’Ema fece subito sapere ai governi che non sarebbe scesa a compromessi sulla sicurezza e che non accettava pressioni politiche. «L’Ema è un’agenzia indipendente – ha sottolineato il portavoce – e il processo di autorizzazione dei vaccini è esclusivamente nelle mani degli esperti».

L’Agenzia europea del farmaco (Ema), incaricata di approvare i vaccini Covid-19 per l’Unione Europea, afferma quindi che la sua procedura di approvazione è più lunga è più appropriata in quanto si basa su un maggior numero di prove e di controlli rispetto alla procedura di emergenza scelta, in particolare, dal Regno Unito. «Avere fretta di anticipare i tempi di 15 giorni per poi tornare sopra alle decisioni è poco saggio. Ema autorizza quando è convinta dei dati analizzati. Questo avviene entro un mese circa dalla sottomissione dei dati». A spiegare tempi e iter dell’autorizzazione dei vaccini anti Covid è Guido Rasi, ex direttore generale dell’Ema: «Subito dopo l’autorizzazione del vaccino o dei vaccini – afferma – l’Agenzia europea pubblica sul sito tutti i dati serviti a prendere la decisione. Chiunque può avere le informazioni necessarie».
Mediamente per autorizzare un farmaco ci vuole un anno. «In questo caso abbiamo ridotto i tempi a tre mesi perché abbiamo iniziato, grazie al processo autorizzativo di rolling review, a valutare già quelli parziali ovvero i dati preliminari di fase 1, fase animale, manifattura e qualità, che tutte le aziende devono depositare. I tempi di approvazione di un vaccino dipendono quindi sostanzialmente dalla velocità con cui le case farmaceutiche sottopongono i dati completi».
«Quando parliamo di tempi ridotti – ribadisce Rasi -, non significa che i vaccini anti Covid saranno meno sicuri, testati su meno volontari o con meno dati. Ma significa – precisa – che si lavora con un’efficienza diversa: la task force europea coordinata da Ema, si dedica solo a questo ed è in riunione permanente, anche con il rischio di lasciare indietro altre cose, come gli aggiornamenti delle linee guida».

Le aziende, peraltro, continueranno a essere sotto stretta osservanza e dovranno continuare a generare dati anche dopo l’autorizzazione, per raffinare le indicazioni; per esempio capire se un vaccino può essere più o meno adatto per alcune fasce della popolazione anziché per altre. E l’Ema si è dimostrata la più rapida a indicare la sospensione del lotto di vaccino AstraZeneca sospettato di favorire trombi. Cosa non fatta dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna.
Rispetto ai diversi tempi tra l’ente regolatorio statunitense e quello europeo, Rasi spiega: «La Food and Drug Administration e l’Ema hanno entrambe approcci rigorosi e molto simili, ma non è scontato che siamo convinte entrambe dagli stessi dati. L’ok della prima non necessariamente corrisponde a quello della seconda, sia per la tempistica di sottomissione dei dati, sia per strumenti regolatori diversi a disposizione». L’ente americano dispone infatti della possibilità dell’Autorizzazione di emergenza, cosa che Ema non ha. Di contro, quest’ultima tende a dare pareri meno soggetti a passi indietro, come abbiamo visto nel caso dell’idrossiclorochina, per la quale l’ente federale americano ha autorizzato e, poi, revocato l’uso di emergenza, mentre EMA ha optato dall’inizio per un’autorizzazione soltanto all’interno di studi clinici.
Insomma, il Vecchio Continente rivendica la sua filosofia del “chi va piano, va sano e va lontano”. Giusto lo slogan “la sicurezza prima di tutto”, ma c’è di mezzo anche un pizzico di burocrazia di troppo. I dossier richiesti dall’Ema devono rispondere ad un maggior numero di domande rispetto al modo di procedere di altre agenzie regolatorie.
Immagine di apertura: foto di Dorot Schenk