Milano 27 Gennaio 2023
Fedor Dostevskij scrisse Il giocatore nel 1866 per necessità, dovendo pagare dei debiti di gioco, da cui era disperatamente dipendente. Un po’ diversa, ma non troppo, la partita che si gioca nell’ultimo romanzo di Marco Missiroli Avere tutto (Einaudi editore). Partita al tavolo del rapporto padre/figlio, accomunati da due smanie differenti ma, ugualmente diaboliche. Il padre dalla frenesia delle gare di ballo, il figlio dal gioco d’azzardo.

La storia inizia quando il protagonista Sandro Pagliarani decide di tornare da Milano, città in cui lavora come pubblicitario, a Rimini, dove è nato e cresciuto. L’occasione è il compleanno del padre Nando, rimasto solo dopo la morte della moglie Caterina, compagna di vita e di brillanti gare di ballo. Ma anche Sandro vive un momento difficile: oltre ad aver perso la madre, ha posto fine alla sua relazione con Giulia, perché posseduto dal demone della ludopatia.
La ripresa di una vita quotidiana insieme, soprattutto ora che Caterina non c’è più, è inizialmente imbarazzata, fatta di discorsi banali e di timide domande sulle rispettive vite. Padre e figlio nascondono segreti ancora difficili da svelare perché frutto di incomprensioni mai apertamente esplicitate. Il genitore, inoltre, senza dare spiegazioni, ogni sera sparisce sulla sua Renault 5 e torna a notte fonda. Durante i momenti di vita comune spesso la mente di Sandro sembra estraniarsi e vagare irrequieta fra ricordi legati a suoi momenti di gioco e a spezzoni dell’esistenza dei genitori; il tutto attraverso flash-back disordinati cronologicamente, perché legati a sensazioni momentanee. Ma il gioco avviato proprio da lui: “se avessi un milione in più e 20 anni di meno cosa faresti?”, apre finalmente spiragli nella loro relazione.
Le risposte fornite via via da entrambi al quesito-trabocchetto mettono in moto riflessioni su vite segrete, sogni e progetti non realizzati e spingono padre e figlio a rivelarsi l’un l’altro e a diventare veri. Sandro scopre che il padre, nelle sue sortite notturne, frequenta una sala da ballo dove ritrova la gioia dei tempi passati, quando gareggiava per vincere con sua moglie. Lo segue e si palesa nel locale.

Il rapporto rinasce, si rafforza con le continue chiacchierate e, proprio durante questi confronti, Sandro racconta al padre come ha avuto inizio la sua vita di giocatore d’azzardo e Nando rivela la sua malattia, che gli lascerà poco tempo da vivere. Questa tempesta ribalta i ruoli: il figlio inizia a curare amorevolmente il padre nel suo calvario finale e il padre si affida a lui come un bambino. Sono, queste, pagine commoventi, che mettono in evidenza come l’insofferenza venga soverchiata da un amore profondo, che lascia nel figlio un grande vuoto e sofferenza dopo la morte.
Protagonista della narrazione è anche la città di Rimini, ma non quella caotica e marinara del periodo estivo, bensì quella fuori stagione, con il suo velo nebbioso, la sua vita sonnolenta, le sue consuetudini e le sue amicizie pronte a stendere una rete protettiva in casi di difficoltà. Gli amici di Sandro, infatti, essendo a conoscenza della sua ludopatia, cercano in tutti i modi di impedirgli l’incontro con Bruni, il discusso personaggio che lo ha avviato al disturbo patologico.
Ben descritta l’escalation del gioco e le emozioni ad esso connesse. «La prima volta ci finisci dentro per caso. Un invito, un’occasione fortuita, trovarsi in mezzo a un tavolo e saperci fare. La sensazione: aver imparato una cosa senza che nessuno te l’abbia insegnata». Poi si vive pensando solo a quello. Sandro inizia a Rimini, ma prosegue a Milano nelle dimore dei ricchi borghesi. Passa dai primi furti ai danni dei genitori alla perdita degli affetti più cari, sacrificati alla frenesia del gioco.

il demone, entrato in sordina, si è radicato e ne ha fatto un drogato. Connesse alla cronistoria del gioco ci sono le descrizioni delle manifestazioni fisiche e psichiche: «le falangi flesse, la mobilità delle pupille, il tremore dei polsi, delle gambe; alla spina dorsale: una specie di contrazione, o il cuoio capelluto: il formicolio, o una folata di gelo alla base del collo. I presentimenti cattivi ….».
Ma anche Nando nella sua vita ha amato la sfida, ha sempre danzato con Caterina per vincere, si è esercitato nel “passo Scirea del Pasadel”, da lui inventato, perché voleva essere il migliore soprattutto nel Gran Galà della Baia Imperiale di Gabicce Mare. Uomini complicati, fragili, posseduti dallo stesso irrefrenabile impulso di avere tutto nel minor tempo possibile: l’uno nell’ebbrezza del gioco, l’altro nella competizione del ballo.
Emergono tutte le ambiguità delle relazioni umane e la doppiezza degli individui, divisi fra volti esteriori e vergogne segrete. Come dice lo stesso autore in un’intervista a Sette, il settimanale de Il Corriere della Sera: «In queste pagine mi sono giocato la mia zona di luce insieme alla mia zona d’ombra e il chiaroscuro è la dimensione più difficile, è l’ambiguità».
E aggiunge: «Sì, ho la faccia da bravo ragazzo, ma lo sono a metà, cerco l’azzardo costantemente perché credo che la completezza della vita sia l’unione di luce e ombra».
Narrazione questa di Missiroli apparentemente semplice, ma molto “densa”, che affronta più tematiche (ludopatia, rapporto genitori/figli, la malattia, la morte) con poche parole, ben calibrate e soppesate.
Frequenti i ricorsi al dialetto romagnolo a sottolineare il rapporto affettivo e l’appartenenza comune. Lo stile è asciutto e cronachistico, fatto di dialoghi serrati, lapidari, intervallati da continui flash-back. Un po’ fastidioso, invece, l’andirivieni nel tempo, soprattutto nella prima parte; non del tutto chiare per i non esperti le pagine dedicate alle regole e alle modalità di gioco. Come quelle delle partite “a consumo finale“.
Il libro risulta interessante, innovativo, nonostante la ludopatia, il mito e l’illusione del denaro facile con il gioco, sia un tema molto antico, affrontato egregiamente da grandi scrittori: da Dostevskij, come detto, a Dickens, Balzac, Pirandello…
Fa riflettere, comunque, molto sulla società attuale, che non è disposta a rinunce e che vuole raggiungere tutto senza grande fatica.
Immagine di apertura: foto di Colin Behrens
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