Milano 27 Luglio 2024
Una selva oscura di dantesca memoria è l’ambiente protagonista dell’ultimo lungo racconto di Jon Fosse, Un bagliore, pubblicato da La nave di Teseo con la traduzione di Margherita Podestà Heir. Scrittore norvegese complesso ed enigmatico, Jon Fosse, Premio Nobel per la letteratura 2023, autore eclettico di romanzi, testi teatrali tradotti in 50 lingue, poesie, saggi e libri per bambini. La scrittura – afferma – è stata il suo angelo salvifico, insieme alla conversione al cattolicesimo; gli ha permesso di sconfiggere il demone dell’alcolismo di cui non fa mistero ( intervista del 15 ottobre 2023 su La Lettura, inserto domenicale de Il Corriere della Sera).
Quest’ultimo libro rispecchia appieno la motivazione addotta per il conferimento dell’alta onorificenza: “le innovative opere drammaturgiche e la prosa che danno voce all’indicibile”; e per indicibile s’intende la condizione esistenziale dell’uomo caratterizzata dalla compresenza di visibile/ invisibile, senso/non senso, veglia/sonno, parola/silenzio. Un bagliore è un monologo interiore, un percorso introspettivo (sembrerebbe) profondo, inafferrabile nel senso e nella storia, in cui fluiscono incessantemente pensieri, emozioni, dubbi, angosce, paure, dilemmi esistenziali compresi nell’universalità dell’esperienza umana.
Un uomo in crisi guida senza meta e, dopo varie svolte a destra e a sinistra, imbocca un oscuro sentiero dove la sua auto si impantana. Deve decidere se aspettare in auto, o andare a chiedere aiuto ma, durante il percorso, ha visto solo case disabitate e allora si inoltra in un oscuro bosco al limitare del sentiero, senza valutare le conseguenze, in senso opposto alla razionalità. E, mentre scende la notte, nevica e l’uomo non sa che direzione prendere, un bagliore illumina il buio, infondendogli coraggio e speranza.
Ma la luminosità non è costante e, al ritorno dell’oscurità, egli sprofonda nell’angoscia della possibile morte per assideramento. Si materializzano ad un certo punto i suoi vecchi genitori, che dicono di essere lì per aiutarlo a trovare la via d’uscita ma, in realtà, non riescono ad avvicinarsi a lui; appaiono e scompaiono. A momenti, allora, cade il silenzio che l’uomo ama ascoltare perché, «nel silenzio, si può sentire Dio». E infine prende forma una persona vestita di nero con la camicia bianca e la cravatta nera, a piedi nudi, che cerca di condurre i genitori verso il figlio ma, di fatto, tutti rimangono separati e distanti e, alla fine, tutti seguono «l’entità che fulge radiosa nel suo biancore ed escono a piedi nudi nel nulla». Una dimensione onirica o reale? Sono personaggi umani, o fantasmi dell’inconscio? Jon Fosse ha dichiarato in varie interviste: «Scrivo ma non interpreto quello che scrivo. L’interpretazione sta a voi che leggete….. Un bagliore non so cosa significhi, ma sono contento di quello che ho scritto».
Ogni lettore, quindi, può trovare un significato diverso e individuare differenti simbologie. Un uomo ha smarrito la retta via, è in una situazione di pericolo, vuole salvarsi ma non ce la fa da solo. In suo aiuto accorrono un bagliore splendente forse divino, la famiglia d’origine, forse la morte. Mancano del tutto nomi e dettagli che riducono all’osso l’esperienza vissuta.
Libro breve (73 pagine), intenso, di non agile lettura, pur nella semplicità della scrittura fatta di frasi corte e tanti interrogativi. Ha un ritmo veloce, convulso, denso di ripetizioni che rendono bene il caos del travaglio interiore ma che, a volte, risultano noiose. Un’opera difficile che scarica sul lettore l’improbo compito dell’interpretazione. Verrebbe da dire, dantescamente, lasciate ogni speranza (o quasi), o voi che entrate nel mondo di Fosse.
Immagine di apertura: foto di Otodex