Milano 23 Novembre 2020

Perché il cinema ha un tale successo da giustificare investimenti astronomici per la realizzazione di un film? Perché alcune pellicole diventano oggetto di culto collettivo? Quale può essere il segreto, la spiegazione più profonda di un fenomeno di massa come il cinema, nato povero e diventato ricchissimo nel breve spazio di un secolo?
Questa è solo una parte delle domande che si è fatto lo psichiatra Paolo Pancheri nella prefazione di un famoso volume edito da Cortina nel 2000: Cinema e psichiatria di Glen O. Gabbard e del fratello Krin. Il primo, uno dei più autorevoli psichiatri psicodinamici contemporanei, insegna Psichiatria presso il Baylor College of Medicine a Houston, in Texas, mentre Krin Gabbard è docente di cinema e letteratura alla State University di New York.

L’immagine della locandina di “Shining” (1980) con un Jack folle (Jack Nicholson) che cerca di uccidere la moglie Wendy (Shelley Duvall)

Un legame indissolubile quello fra psichiatria e cinema che ha rappresentato in tanti film il disagio mentale (basta ricordare il celeberrimo Io ti salverò di Alfred Hitchcock o Shining di Stanley Kubrick) senza dimenticare che il primo “strizza cervelli” fece la sua  comparsa in un cortometraggio nel lontano 1906. Ma il cinema può aiutare nella cura delle patologie psichiatriche? Una risposta viene dall’università della Sapienza di Roma, all’interno del Dipartimento di Neuroscienze Umane e Psichiatria del Policlinico Umberto I, dove è sorto, all’inizio degli anni Ottanta, il primo Day Hospital psichiatrico in Italia, che si è dotato poi di una esperienza inedita nel campo della cinematerapia. «L’obiettivo – spiega Maria Antonietta Coccanari de’ Fornari, responsabile della struttura – è arrivare al reinserimento nella società del paziente con disturbi psichici, arricchito di quelle capacità, intaccate dalla malattia, che gli permettano di svolgere le attività quotidiane, comprese quelle in ambito lavorativo». «La visione e la discussione dei film – prosegue la psichiatra romana – ha preso forma all’interno di un progetto terapeutico definito per ogni paziente. Il film rappresenta un forte attivatore psicologico e emotivo che permette di suscitare affetti, di riconoscerli, di approfondirli e condividerli nel gruppo».
Il percorso terapeutico fondato sul cinema che si integra, ovviamente, con altre attività, come il disegno e la musica, è spesso in grado di favorire nei pazienti un progresso nelle capacità di rispecchiarsi e di immedesimarsi nelle situazioni osservate, un rafforzamento dell’alleanza terapeutica e, insieme alle altre forme di trattamento, un generale miglioramento del quadro psicopatologico.

Massimo Girotti (Davide) e Giovanna Mezzogiorno (Giovanna) in una sequenza di “La finestra di fronte” di Ferzan Ozpetek (2003)

«I film da proporre – spiega ancora la responsabile della struttura romana – sono stati negli anni selezionati in base al valore artistico e all’appropriatezza del contenuto rispetto alla storia personale e alla condizione clinica dei pazienti». Fra i più utilizzati, La finestra di fronte di Ferzan Özpetek (2003), dove lo smemorato Davide (Massimo Girotti), riacquistata la memoria, incoraggia Giovanna (Giovanna Mezzogiorno) a inseguire le sue passioni, Il piccolo grande uomo di Arthur Penn (1970), che vede Jack Crabb (Dustin Hoffman) vagare tutta la vita alla ricerca della sua identità fra l’universo dei bianchi e il mondo dei nativi americani, In America, il sogno che non c’era (2002) di Jim Sheridan, storia di emigranti irlandesi a New York che, nonostante le tante difficoltà, trovano un vero amico che cambierà la loro vita, e Nel mio amore (2004) di Susanna Tamaro, dove Stella (Licia Maglietta) deve fare i conti con una passato pesantissimo. Importante anche Chiedi alla polvere (2006) di Robert Towne, con Colin Farrell e Salma Hayek, dove  il tema dell’emarginazione all’epoca del Proibizionismo in America rimanda a problemi simili nella società attuale.

Jack Crabb (Dustin Hoffman) in una sequenza di “Piccolo grande uomo”, regia di Arthur Penn (1970)

Vengono scartate le tematiche altamente ansiogene o suicidarie e, nel caso di soggetti schizofrenici, si evita il genere fantasy (certe fantasie sono già intensamente presenti nei loro deliri), mentre si utilizza spesso la visione di “spezzoni” di film non conosciuti per far sì che i pazienti creino un loro finale. Una pratica da cui si ricavano suggerimenti preziosi: nelle riflessioni scaturite dalla visione di questi “brani” rivestono un’importanza centrale considerazioni sulle relazioni personali e familiari, sul carico emotivo a esse associato, sullo stato affettivo, sulle aspettative e sulle ambizioni personali.
In conclusione la cinematerapia si sta rivelando uno vero strumento di cura. «Ricordo ancora due pazienti che per me rappresentano in modo emblematico la potente attività di recupero di questo trattamento – conclude Coccanari de’ Fornari -. La prima è una pittrice che, da tempo bloccata nella sua produzione, preparò in seguito un’importante mostra a Piazza del Popolo. Il secondo un avvocato bipolare, caratterizzato da una profonda incuria della persona, che si rimise in gioco con successo nell’attività professionale e politica».

L’esperienza del Day Hospital psichiatrico con la cinematerapia ha dato vita anche a diversi convegni e alla pubblicazione nel 2015 di un volume edito da Alpes Italia, Se apro gli occhi non sono più qui, curato da Coccanari de’ Fornari e Massimo Biondi, Ordinario di psichiatria alla Sapienza, che ne raccoglie le esperienze e che contiene un brillante intervento del critico cinematografico Mario Sesti e dell’attore e regista Sergio Castellitto, tra gli autori del volume.

Immagine di apertura: una scena del celeberrimo Io ti salverò (1945) di Albert Hitchcock, con Ingrid Bergman e Gregory Peck

Nato a San Giorgio di Lomellina, ma pavese di adozione, si è laureato in Filosofia e Psicologia a Pavia, dove ha risieduto dal 1975 al 2015, mantenendo attività clinica e didattica e dal 1999 è stato docente di "Tecniche di riabilitazione psichiatrica" nell'ateneo pavese. Psicoanalista e Arteterapeuta, allievo di Sergio Finzi e Virginia Finzi Ghisi è membro dell'associazione "La Pratica Freudiana" di Milano, dove dal 2000 ha tenuto seminari. Fondatore di "Tracce di Territorio", associazione no-profit con sede in Lomellina, è tra i promotori di gruppi di studio di Psicoanalisi e laboratori di Arteterapia. Ha pubblicato con Selecta : "L'insonnia", "Problemi etici in psichiatria", "Guida illustrata ai farmaci in psichiatria" Disegnatore anatomico, ha lavorato per diversi ospedali e per il "Corriere della Sera". Le sue opere sono state esposte recentemente nelle sale del Museo per la storia dell'Università di Pavia. Con Edoardo Rosati ha appena pubblicato "La mirabolante avventura dell'anatomia umana" (Dedalo Edizioni).

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