Firenze 27 Luglio 2023
In Italia siamo abituati a considerare i vulcani facendo riferimento ai più famosi: l’Etna, il Vesuvio, Stromboli, i Campi Flegrei. Come conseguenza, molti pensano che i vulcani in Italia siano in tutto una decina. In realtà ne abbiamo ben settanta; tra questi molti sono sottomarini e tappezzano i fondali dalla Toscana fino alla Sicilia. Intorno ai vulcani – che hanno atterrito nei secoli le popolazioni con le loro eruzioni roboanti e la lava infuocata – sono nati inevitabilmente miti e leggende.

L’Etna, il vulcano più alto d’Europa e quello attualmente in attività nel nostro Paese insieme a Stromboli, secondo la mitologia greca era la fucina di Efesto, il Dio del fuoco, figlio di Zeus ed Era. Una divinità parecchio bellicosa tanto che fu cacciato dall’Olimpo da Giove e gettato sull’isola di Vulcano, causando un buco in una montagna che Efesto usò come la sua officina di fabbro; lo stesso fece con Stromboli, Lipari e infine con l’Etna, che iniziò a spruzzare scintille di fuoco, rivelandosi il più adatto per forgiare armi bellissime come quelle di Achille ed Enea. La leggenda vuole che Efesto sia ancora imprigionato dentro quel vulcano. Ma di leggende sull’Etna se ne contano molte altre, tutte affascinanti. Le ha raccolte in un libro, Miti e leggende dell’Etna, lo scrittore siciliano Angelo Manitta, docente di lettere e direttore della rivista Il Convivio. Come quella del gigante Encelado che, un giorno, spinse la sua ambizione a tal punto da voler prendere il posto di Giove. Aiutato dagli amici Giganti, costruì una scala per arrivare al cielo, ma Giove gli scagliò contro un fulmine. Fu così che Encelado rimase sepolto sotto l’Etna e, per la rabbia, iniziò a sputare fuoco e fiamme dal cratere. Secondo un’altra storia, l’origine dell’Etna sarebbe legata a Tifeo, un gigante mostruoso che voleva prendersi l’Olimpo ma Giove lo punì legandolo mani e piedi sulla terra e sulle pietre che lui gli aveva gettato contro.

In alcune rappresentazioni dedicate al mito, Tifeo regge la Sicilia in posizione supina, con le braccia distese e le mani a sorreggere due capi opposti – Peloro (Messina) e Pachino (Siracusa) – mentre i piedi si congiungerebbero su “Lilibeo” (Trapani); la testa, invece, starebbe sotto “a Muntagna”, con la bocca del gigante che idealmente coincide con quella del vulcano. La leggenda vuole che Tifeo debba restare per sempre con la testa dentro l’Etna, e quando prova a muoversi, emetta lava dalla bocca generando terremoti.
Un’altra leggenda di epoca più recente (risale al Cinquecento) è legata alla regina Elisabetta I di Inghilterra (1533-1603). Secondo una curiosa narrazione, dopo la sua morte, la regina, che in vita aveva fatto un patto col diavolo, fu gettata nell’Inferno attraverso il cratere dell’Etna (creduto allora una delle porte degli Inferi). Il diavolo la portò via con sé, ma durante il volo una delle pantofole tempestate di diamanti di Elisabetta cadde e si perse, per magia, dalle parti di Bronte, nei pressi di Catania. Due secoli dopo, nel 1799, l’ammiraglio Nelson ebbe in dono il ducato di Bronte ed il castello di Maniace. Qui, una notte vide il fantasma della regina che gli affidò un cofanetto. Dentro c’era la famosa pantofola, che – si narra- venne conservata nel Palazzo Ducale di Bronte, oggi completamente demolito (ma nessuno l’ha trovata).

Tra le molte leggende dedicate all’Etna, è famosa anche quella dei fratelli Pii, due contadini, Anapia e Anfinomo. Mentre lavoravano la terra sul monte Etna, furono sorpresi da una violenta eruzione e da una colata di lava. Così cominciarono a correre per fuggire dal pericolo, ma gli anziani genitori che erano con loro, non riuscivano a stargli dietro. Allora i figli li presero sulle spalle, rallentando la corsa mentre la lava stava per raggiungerli, ma ad un certo punto quest’ultima si separò in due lingue infuocate ai loro lati. Così si salvarono.
Circola anche la storia del pastorello Aci che, innamorato della ninfa Galatea, cercò di difenderla dal ciclope Polifemo, che pur di averla tutta per sé, uccise Aci lanciandogli contro enormi massi. Polifemo diventò l’Etna e – narra la leggenda – ogni tanto ancora, come allora, lancia enormi pietre pericolose in aria mentre il suo unico occhio è diventato il bagliore del cratere. Delle usanze legate a questa mitologia, sopravvissute fino a non molto tempo fa, una è particolarmente commovente. I contadini che abitavano sui suoi fianchi credevano che l’Etna fosse un essere vivente, una madre o un padre, che si può calmare quando è arrabbiato. Per questo, se un’eruzione minacciava una casa o un paese, era d’uso, prima di scappare, lasciare la tavola apparecchiata con una bottiglia di buon vino sopra. Si credeva che il vulcano, apprezzando il dono, li avrebbe risparmiati.

Molto lontano dall’Etna, in Messico, si tramanda una leggenda legata alla mitologia azteca (stando ai ritrovamenti archeologici, pare che gli aztechi scalassero i vulcani) che merita anch’essa di essere raccontata. Nella regione di Puebla a 70 chilometri da Città del Messico, si trova il vulcano Popocatépetl (alto circa 5.462 metri), la cui età è stimata in circa 730mila anni; in lingua azteca significa montagna (tepētl) che emette fumo di continuo (popōca) e in effetti non ha mai smesso la sua attività almeno fin dai tempi dell’epoca precolombiana (cioè prima del 1492). Vicino a lui, a soli 16 chilometri di distanza, c’è un altro vulcano chiamato Iztaccíhuatl, anche questo altissimo, sopra i cinquemila metri. La leggenda vuole che Popocatépetl fosse un coraggioso guerriero che amava, riamato, la principessa Iztaccíhuatl. Il Re, padre di quest’ultima, lo mandò in guerra, promettendogli che al suo ritorno, in caso di vittoria, gli avrebbe concesso in sposa la figlia. Dopo un po’ di tempo, a Iztaccíhuatl venne detto che l’amato era stato ucciso in battaglia e lei morì di dolore.

Quando Popocatépetl ritornò portò fra le braccia il suo grande amore in cima ad una montagna, e cadde in ginocchio accanto a lei. Rimase così per molto tempo finché la neve non coprì i loro corpi, formando due maestosi vulcani. Da allora, Popocatépetl provoca una pioggia di fuoco sulla Terra ogni volta che il suo cuore soffre per aver perduto la donna amata mentre Iztaccíhuatl, vulcano dormiente da migliaia di anni, oggi viene indicato come “La donna addormentata” perché ha quattro picchi innevati che ricordano la testa, il petto, le ginocchia e i piedi di di una donna addormentata. I vulcani erano sacri nella cultura Azteca, cultura che sopravvive ancora oggi in certe tradizioni come quella dei guardiani del vulcano, i temperos del vulcano Popocatépetl, che rievocano riti tramandati nel corso degli anni per propiziarsi la benedizione della pioggia, così come la protezione della divinità per raccolti abbondanti.
Immagine di apertura: un suggestivo scatto dell’Etna in eruzione (foto di Anto Mes)