Milano 23 Ottobre 2020

In questo numero anziché recensire un libro fresco di stampa, volentieri ospitiamo questa riflessione sulla figura femminile di Dario Fertilio, giornalista (ha lavorato per molti anni al Corriere della Sera, nel settore Cultura) e prolifico scrittore di origine dalmata. Fra i suoi libri, ricordiamo La morte rossa, La vita del Che e L’anima del Führer editi da Marsilio, Teste a pera e teste a mela e Il virus totalitario, pubblicati entrambi da Rubbettino. È anche autore di racconti e piéces teatrali.

«Se mi avessero predetto, tempo fa, che avrei scritto un’antologia di racconti intitolata Le sante dei miracoli (in seguito effettivamente pubblicata per La Fontana di Silone – Lindau) mi sarei messo a ridere. Decisamente non amo l’apologetica, laica o religiosa che sia. E invece mi è successo. In quel libro racconto le rivelazioni improvvise che a volte interrompono il fluire ordinario e regolare delle nostre vite. Può trattarsi di gioie inspiegabili, coincidenze problematiche, angosce apparentemente immotivate, sensibilità acuite dal dolore per un lutto. Momenti destinati a perdersi, per citare la battuta di un film famoso, “come lacrime nella pioggia”. Eppure tali stati d’animo, che normalmente in seguito neghiamo e rimuoviamo dalla memoria quasi con vergogna, non sono necessariamente segni di debolezza. Possono invece rappresentare lampi di chiaroveggenza, strappi rivelatori nella trama abitudinaria delle cose. Nei racconti delle Sante ho immaginato che simili, inaspettati “miracoli”, possano avere a che fare con figure storiche, o anche puramente leggendarie, della devozione popolare, come Agnese, Cristina da Bolsena, Laura da Cordova, Maria Faustina Kowalska, e tante altre. Quasi che, senza miracoli, ci sia troppo difficile vivere. Poi, ultimamente, mi è capitato di pubblicare una antologia di piéces teatrali di tutt’altro tipo, intitolata Musica per lupi (Armando Curcio) e rileggendola ho fatto una scoperta per me sorprendente. Anche in quella raccolta di drammi, monologhi, commedie, libretti musicali o coreografici, i motori dell’azione sono in prevalenza esseri femminili. Strano: proprio io, che amo la boxe e i western machisti, nel momento in cui cerco di esprimere qualcosa di letterariamente “forte”, sento il bisogno di evocare intense figure di donne. All’origine deve esserci una ragione ignota a me stesso. Ne La bambina che amava Stalin la voce narrante è una donna umile, una come tante, che si confronta con le omissioni del suo passato, allorché non ha aiutato una ragazzina ingenua e idealista, condannata alla fame nella Unione Sovietica degli anni Trenta. Ne La peste a Budapest (un récit sulla invasione dell’Ungheria nel ’56, vista dalla parte dei resistenti) e in Uomini e Cyborg (sulla guerra attualmente in corso nell’est del’Ucraina seguita all’invasione russa) il centro della scena è preso da dolorose figure femminili che interpretano il significato autentico degli avvenimenti.

Da dove viene, mi chiedo, questa mia esigenza di ricorrere a eroine, pur così diverse, e non a eroi maschili tradizionali? Provo a darmi questa spiegazione. Sento confusamente come oggi, nel pieno di una pandemia non solo organica ma anche spirituale, sia la femminilità profonda, viscerale e a volte anche selvaggia, comunque irriducibile a schemi prefissati, una possibile via di uscita dal presente piatto, privo di speranza. Proprio perché l’universo comunicativo continua a propinarci modelli di donne virili – dal marketing ai telefilm in serie, fino a Hollywood e persino a casa Disney – o prigioniere di morbose relazioni sessuali, o malinconiche replicanti del discorso di potere maschile, più che mai sento di dover credere che nell’altra metà del cielo abiti invece una alterità autentica, fondamento di ogni situazione imprevista, di stupore e meraviglia. Qualcosa che infranga gli opposti stereotipi, i quali inconsciamente nascono dal bisogno di contemplare se stessi assecondando lo sguardo del sesso opposto.  In un mondo dominato da presenze virtuali e nuovi conformismi di genere, razza o religione, in cui pullulano le app da scaricare passivamente, la figura femminile autentica ha il potere di spezzare il corso omologato degli eventi. E questo perché è portatrice di una differenza non programmabile né riproducibile, in grado di suscitare e alimentare il bisogno dell’altro da sé. Ecco perché le eroine moderne continuano ad essere, almeno per me, fonte di desiderio e ispirazione».

Immagine di apertura: Statua di Sant’Agnese, Ercole Ferrata, Chiesa di Sant’Agnese in Agone, Roma

Mancato all'inizio di marzo del 2021, era nato a San Giorgio di Lomellina (Pavia), dove ha vissuto tutta la vita, ed era avvocato penalista e scrittore. Aveva pubblicato con Manni "Notte di nebbia in pianura", con Antonio Tombolini Editore "Sette sono i re", "L'odore del riso" e "6662". Per questo editore aveva diretto la collana di classici "I Ricci", e scritto inoltre sulle riviste letterarie "La Poesia e lo Spirito" e "Il Colophon". Collaboratore del ilbuongiorno.com fin dal suo esordio, aveva tenuto per un anno questa rubrica. Le sue recensioni rimangono sul sito, nonostante la sua scomparsa. Ci sembra il modo migliore per ricordarlo.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui