Milano 28 Ottobre 2022
Aprile 1901. Una nave approda sull’isola immaginaria di Mingher, situata nell’impero ottomano, lungo la rotta fra Istanbul e Alessandria d’Egitto. Sbarcano due passeggeri: il dottor Bonkowski, massimo specialista di malattie infettive dell’Impero e il suo collaboratore dottor Ilias. Il sultano Abdul Hamid ha affidato loro il compito di indagare sul problema della peste che affligge l’isola, ma il dottor Bonkowski non fa in tempo ad iniziare il suo lavoro che viene assassinato.

Prendono il via così le intricate vicende dell’ultimo romanzo storico-allegorico Le notti della peste (edito da Einaudi, 707 pagine) dello scrittore turco Orhan Pamuk, 70 anni, premio Nobel nel 2006 per la Letteratura. In sostituzione di Bonkowski viene convocato il dottor Nuri, epidemiologo di fama, sposato con la giovane principessa Pakize, nipote del sultano. La coppia era compagna di viaggio dello specialista sulla stessa nave diretta in Cina. Quando i nostri protagonisti arrivano a Mingher si rendono conto della gravità della situazione. Pakize inizia a inviare lettere alla sorella maggiore rimasta a Istanbul e la corrispondenza diventa una fonte importante per la ricostruzione della storia di quel posto. L’epidemia stringe i mingheriani in una morsa e costringe a trovare soluzioni.
Gli esperti incaricati di studiare e porre riparo al problema propongono quarantene e altre corrette misure sanitarie, che i burocrati dello Stato provvedono a imporre. Questi rimedi, pur dettati dalla Scienza, sconvolgono la popolazione, cambiano la vita quotidiana e provocano risposte ed atteggiamenti diversi a seconda dell’etnia, della religione, delle identità. Emergono con prepotenza le difficoltà di un Impero in cui convivono e si scontrano varie culture (greci, ortodossi, ebrei, musulmani, cristiani) tenute insieme da un governo autoritario e stretto fra credenze, tradizioni orientali e princìpi occidentali di diritti umani e libertà di pensiero trasmessi dai contatti con la Francia e l’Inghilterra. La peste intanto avanza, ma la gente sempre più in preda al panico non rispetta i divieti della quarantena e ricorre ad amuleti e santoni o si lascia prendere dal fatalismo, rendendo la situazione sempre più disastrosa.
«Man mano che l’epidemia peggiorava la gente si chiudeva in se stessa, o diventava più arrabbiata se non aggressiva. Tutte le voci e i pettegolezzi in circolazione, gli infiniti convogli funebri avevano svuotato la popolazione dell’ultimo barlume di logica e sangue freddo». L’economia è allo stremo, chiudono esercizi commerciali, crescono truffe e arricchimenti delle compagnie di navigazione che approfittano dell’agognata fuga verso l’Occidente dei cittadini più benestanti. Nota positiva di questo drammatico quadro sono le appassionate, intense storie d’amore fra i vari personaggi, come quella fra il dottor Nuri e la principessa, fra un giovane ufficiale e una ragazza dell’isola, fra il governatore e la sua amante.

L’inasprimento delle pene, come normale conseguenza delle insubordinazioni, provoca la scivolata verso il sovranismo, la proclamazione dell’indipendenza dell’isola dall’impero ottomano, l’eliminazione del dissenso attraverso arresti e condanne sommarie, tanto che alcuni storici nazionalisti, scrive Pamuk «si divertono a rintracciare similitudini tra l’umile rivoluzione mingheriana e alcuni degli eventi più significativi della storia mondiale, paragonandola ai giorni successivi al terrore giacobino della Rivoluzione Francese».
L’ufficiale, un maggiore, e il governatore dell’isola che hanno guidato il processo nazionalista, muoiono, l’uno di peste e l’altro impiccato dai ribelli. Gli ultimi capitoli del romanzo dipanano il giallo dell’assassinio del dottor Bankowski e raccontano di un graduale ritorno all’accettazione della quarantena e alla guida dell’isola affidata allo scienziato Nuri e a sua moglie, che come nipote del Sultano, diventa regina della piccola comunità.
Le notti della peste è un’opera allegorico-corale, che cerca un equilibrio fra il verosimile dell’invenzione letteraria e la verità storica. Non a caso, i suoi principali modelli ispiratori sono I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni e Diario dell’anno della peste di Daniel Defoe. Universali, infatti, sono le reazioni umane e politiche che possono insorgere in una realtà pandemica e ciò è dimostrato da quanto successo negli ultimi tre anni con il Coronavirus.
Il contagio innesca la paura della morte e con essa la varietà delle risposte individuali determinate da indole, religione, credenze tradizionali. Nascono rabbie, frustrazioni, teorie negazionistiche e complottistiche. Gli uomini diventano sospettosi, egoisti, pronti a dar la caccia all’untore. Le misure repressive, poi, volte al rispetto delle quarantene, scatenano moti di ribellione, che possono essere cavalcati da abili politici per cambiamenti di leggi e statuti. La tecnica di costruzione del romanzo ricorda molto quella manzoniana. Lo scrittore è il narratore onnisciente, che si introduce continuamente nella storia con digressioni saggistiche molto dettagliate che rivelano la quantità di fonti da lui consultate.
E, come Manzoni ambienta la sua opera nel Seicento volendo colpire l’Ottocento, così Pamuk con la peste del 1901 vuole condannare la svolta autoritaria imboccata da Erdogan cinque anni anni fa, quando lo scrittore ha dato inizio a questa mastodontica opera.
La realtà umana presentata dall’autore pullula di sultani, pascià, sceicchi burocrati e principesse al tramonto dell’impero ottomano, ma i personaggi principali sono tutti di alto profilo, quasi eroici e non vengono mai giudicati dal punto di vista morale.
Di ognuno vengono ricostruiti con dovizia di particolari la storia, il carattere, tutti i moti dell’animo.

Grande importanza hanno le figure femminili. Donne determinate, autonome, abili consigliere dei loro uomini, ma invisibili. Attraverso loro l’autore coglie l’occasione per porre l’accento sulla condizione femminile della Turchia attuale dove le donne esistono ma non si vedono per strada. La scrittura è chiara, precisa, raffinata, anche se lo stile, formale e dotto, non trasmette quella sottile ironia tipica del nostro Manzoni.
Le notti della peste è un’opera complessa per la quantità dei temi affrontati, per la profondità della trama e per le numerose, dettagliate digressioni storiche.
Impegna nella lettura ma anche sorprende e incanta. Pamuk ha la capacità, dimostrata anche in altre opere (Neve e La stranezza che ho nella testa), di trattare l’universo dei destini umani, di partire da piccole storie comuni che hanno la forza irresistibile della storia di tutti.
Immagine di apertura: foto di Luca Falvo