Milano 27 Settembre 2022
Dall’inutile strage della Prima Guerra mondiale prende il via l’affrancamento di un gruppo di donne chirurgo. È questo l’evento storico che Ilaria Tuti in Come vento cucito alla terra, pubblicato da Longanesi, riporta alla luce. Nel 1914 un manipolo femminile, guidato da due intrepide, volitive e coraggiose suffragette, ha la possibilità di gestire un’unità chirurgica dedita alla cura dei feriti di guerra, prima in Francia, poi a Londra.
Le amazzoni con il bisturi devono affrontare l’ostilità del mondo della scienza, governato da uomini, e la diffidenza degli stessi soldati, che non ritengono adeguate le cure praticate da mani femminili. Catherine (Cate Hill), la ginecologa protagonista, ragazza madre che nasconde al mondo la sua triste storia, vive a Londra, operando nei bassifondi cittadini, suturando ferite e ridando vita e dignità a giovani prostitute. Quando viene contattata dalle due dottoresse suffragette, giunte a conoscenza della sua bravura, pur dilaniata dai sensi di colpa nei confronti della figlia che è costretta ad affidare alla famiglia che la ospita, parte per la Francia consapevole dell’importanza della missione da compiere. Nel suo percorso salverà per ben due volte (in Francia e a Londra dove poi l’ospedale si trasferisce) il capitano Alexander Allan Seymour, rampollo di nobile famiglia, che animato da grandi ideali, vuole proteggere i suoi uomini da tutte le avversità naturali della guerra (bombe, attacchi) e da quelle umane (insensibilità di alcuni capi, ordini, punizioni ed esecuzioni ingiuste)
Procedono in parallelo le due guerre: quella degli uomini in trincea per la libertà della patria e quella delle donne in ospedale per la libertà personale, l’emancipazione e l’acquisizione dei diritti. La guerra maschile è fitta di pericoli, quella femminile è piena di insidie (ispezioni, valutazioni) provocate dal mondo benpensante e dal potere politico ferocemente avversi al progresso femminile.
Le intrepide, però, riescono a far accettare ai soldati traumatizzati dalle varie menomazioni persino un’attività di ricamo, che diventa un percorso terapeutico e riabilitativo. Le chirurghe, con grande lungimiranza, sono fermamente convinte che si debba curare non solo il corpo, ma anche l’anima. Alexander, in particolare, ricama dei papaveri che avevano attratto la sua attenzione sui campi di battaglia perché, a dispetto dei bombardamenti, continuavano a crescere. Rossi come il sangue versato, ma anche come il sangue vitale che pulsa nelle vene. «Soffiò il vento e portò petali rossi davanti ai suoi occhi. Nel liquame fiorivano papaveri, tremuli come la speranza. A volte riempivano intere colline come le fosse comuni; le radici si nutrivano di sangue, alcuni fiorivano ancora, nelle spianate scaldate dal sole. Alexander aveva raccolto qualche petalo che teneva tra le pagine del suo diario per ricordare il sacrificio di tanti».
Il romanzo ha il grande merito di rendere nota una “storia dimenticata” che ha rappresentato un traguardo nella lotta per l’emancipazione femminile, e non solo in campo medico. Lotta iniziata dal movimento militante femminista delle suffragette in Inghilterra ai primi del Novecento; una breccia nella storia anche per tutte le donne venute dopo.
La Prima Guerra Mondiale ha dato, poi, una mano all’affermazione dei diritti femminili: con gli uomini al fronte, le donne sono divenute indispensabili anche in lavori prettamente maschili, pur in una società caratterizzata da pregiudizi nei loro confronti e nei confronti delle diversità in genere.
Ancora oggi, comunque, il cammino verso il riscatto e la parità non appare concluso, perché spesso le donne devono dimostrare molto di più il loro valore per entrare nei mondi maschili. Corre poi il pensiero a quei Paesi dove la donna è relegata solo a ruoli domestici ed esclusa dalla vita pubblica. L’ultimo esempio, il più eclatante, è quello dell’Afghanistan dopo il ritorno dei talebani.
All’interno del quadro storico, poi, si dipana la vicenda dei due protagonisti, che pur provenendo da mondi distanti, sono accumunati dallo stesso rigore morale, dall’abnegazione, dalla voglia di affermazione personale e dal desiderio di liberarsi da stereotipi e pregiudizi. L’autrice fa di loro eroi capaci di imprese fin troppo ardite nell’intento di rendere la storia avvincente, ma ahimè, prevedibile fin dall’inizio. Una sorta di scrittura filmica che gratifica e rincuora e che si presta ad essere tradotta in immagini.
Il romanzo è comunque ben amalgamato nella fusione fra realtà e fantasia, lo stile è scorrevole e ricco di immagini poetiche a partire dal titolo. Cate è come la forza propulsore del vento che cuce parti del corpo per far vivere e che innesca il cambiamento. Anche dal liquame fioriscono i papaveri. Dall’orrore e dalla morte dell’inutile strage possono nascere ribaltamenti epocali.
La poesia spesso contrasta con l’orrore delle immagini belliche, ma fa emergere allo stesso tempo il paradosso insito nella guerra stessa: odio e fratellanza. Alla fine, però, dai campi di battaglia, dalla vicenda sentimentale, risalta forte e chiaro il grido di battaglia delle protagoniste: «Non le sentite urlare? Sono grida di guerra. Una guerra di diritti. Qualcuna di noi dovrà pur combatterla. Se non noi – oggi, adesso -, dovranno farlo le nostre figlie domani».
Immagine di apertura: la statua, opera dell’artista Gillian Wearing, dedicata alla famosa suffragetta inglese Millicent Fawcett, inaugurata nel 2018 da Theresa May davanti a Westminster a Londra per celebrare il centenario del voto alle donne in Gran Bretagna (1918). La Fawcett fu una delle artefici di quel successo (foto di Dimitris Vetsikas)