Firenze 28 Ottobre 2022
La parola depressione nel linguaggio quotidiano è spesso usata come immagine semplificata di un fenomeno sociale con più significati. Ad esempio, per indicare uno stato d’animo, molto spesso transitorio, legato a qualsiasi evento che interferisca con la propria autostima, quale un giudizio negativo su di noi da parte di un amico o la perdita di un oggetto a cui siamo particolarmente affezionati. Spesso un malessere passeggero di cui ci sfugge l’origine, può incidere sul nostro umore. Per un breve periodo ci sentiamo “depressi” senza che le nostre attività sociali e i nostri impegni ne risentano più di tanto. Ma questo stato d’animo non è depressione, come non lo è il pessimismo di fondo di alcuni soggetti, il loro vedere sempre il lato negativo della realtà, quasi un’incapacità a sorridere; è piuttosto l’espressione di una caratteristica di personalità che si struttura nella fase evolutiva e ritroviamo poi nell’età più avanzata.

La depressione “vera” non è un’esperienza che si attenua con il sorgere del sole e da cui si esce facendo qualcosa di nuovo; è una malattia che coinvolge sentimenti, pensieri e comportamenti per periodi lunghi, mesi, o anni, con una intensità più profonda rispetto alle contenute reazioni a perdite, traumi o cambiamenti.
Nell’anziano numerosi pregiudizi ritardano spesso il riconoscimento tempestivo di una forma depressiva. Perché molti ritengono che la depressione sia parte del processo di invecchiamento. Spesso alcuni segni, come la distraibilità e la perdita di memoria, vengono messi in rapporto ad una patologia cerebrale di tipo circolatorio e la tristezza considerata una conseguenza piuttosto che un sintomo premonitore di una depressione.
La depressione viene indicata come geriatrica o della tarda età, dai 65 anni in poi, e molto spesso coincide con il pensionamento. Quando alla perdita di ruolo si aggiunge l’isolamento dall’ambiente, in mancanza di interessi alternativi, si riduce la stimolazione cerebrale necessaria alle funzioni cognitive indispensabili all’adattamento alla nuova condizione di pensionato.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che il 7 per cento degli anziani in tutto il mondo soffra di depressione, cifra con tutta probabilità per difetto. I dati statistici indicano come fattori di rischio per la depressione tardiva, oltre al pensionamento, il dolore cronico, la disabilità, la presenza di una storia familiare di depressione.
Ansia e agitazione sono spesso i sintomi che guidano il medico verso un trattamento con ansiolitici con risultati limitati, però, se viene ignorata la ricerca di altri elementi che potremmo definire” indicatori” di depressione.

Quali? Perdita di interesse, del piacere del cibo, del desiderio sessuale, appiattimento delle emozioni, perdita di speranza, sovente della capacità di piangere, stanchezza, bisogno di dormire anche nelle ore diurne e, molto spesso, non riuscire a chiudere occhio lungo tutta la notte, sono gli elementi da ricercare per la conferma della malattia depressiva. Il rallentamento dell’attività motoria, dell’espressione verbale e le difficoltà di memoria possono essere viste come inizio di una demenza. Sono questi i casi di pseudodemenza la cui guarigione è assicurata dall’impiego dei farmaci antidepressivi. Anche sintomi fisici possono essere segnali di depressione nella persona anziana, quali dolori resistenti ai trattamenti antidolorifici. L’eccessiva risonanza emotiva favorisce il sospetto della manifestazione dolorosa quale “equivalente depressivo”. Il dolore di schiena persistente è uno dei segnali più ricorrenti che nasconde, sotto la diagnosi di artrosi (onnipresente in età avanzata) una forma depressiva. Anche dolori riferiti alla “bocca dello stomaco” scambiati per gastrite o ulcera possono essere presenti in particolari forme di depressione che si accompagnano ad ansia. Tra le altre manifestazioni somatiche si possono avere forme di prurito ribelli a qualsiasi terapia specifica come prurito anale o vulvare, anch’essi equivalenti depressivi la cui presenza può nascondere una forma depressiva definibile come “mascherata.”

Numerosi sono i fattori che possono favorire la depressione nell’anziano: per esempio cambiare casa o andare in casa di riposo, la perdita del coniuge e la solitudine che ne consegue; e ancora, Il sentirsi emarginato da una cultura gerontofobica che demolisce i valori in cui abbiamo creduto. Perdere l’abitudine alla lettura del quotidiano “perché dice sempre le stesse cose” o non guardare più la televisione “perché ci sono sempre cattive notizie” è estraniarsi ulteriormente dall’ambiente. Non leggere più libri è perdere l’occasione di vivere l’esperienza dei personaggi, quindi di tenere desta l’immaginazione, la fantasia e l’abitudine a sognare, funzioni indispensabili al nostro equilibrio emotivo.
Non dimentichiamo che mantenerci in contatto con il mondo che ci circonda si traduce in una stimolazione cerebrale indispensabile all’attivazione delle nostre sinapsi, cioè dei collegamenti tra i miliardi di cellule nervose (neuroni) del nostro cervello, mediante sostanze chimiche, i neurotrasmettitori di cui i più importanti sono la serotonina la noradrenalina, la dopamina, l’acetilcolina. Sostanze la cui produzione viene stimolata dai farmaci antidepressivi.
La condizione di essere anziani, di avere già percorso un lungo tratto della nostra esistenza, può costituire un elemento destabilizzante, favorendo l’ulteriore disimpegno dalla vita. L’antidoto? Il detto comune che la morte ci deve trovare vivi può essere la formula per evitare il rischio di desiderare e anticipare la nostra fine.
Immagine di apertura: foto di Gerd Altmann