Firenze 27 Marzo 2022
A Genova c’è un castello che emerge dalla città, cento metri sul livello del mare: è il castello Mackenzie, che alcuni chiamano capriccio da Re. Lo stile è Liberty, ma anche Decò, barocco e gotico; eclettico, insomma, genere molto di moda tra la fine Ottocento e gli inizi del Novecento.

Il proprietario, il ricchissimo assicuratore di origine scozzese Evan Mackenzie, aveva una grande casa colonica che voleva ampliare e ristrutturare. Affidò l’incarico a un giovane e geniale architetto fiorentino, Gino Coppedè che trasformò l’immobile in un vero e proprio castello. Un fabbricato all’avanguardia per l’epoca: 85 stanze, impianto di riscaldamento centralizzato, tutti i bagni forniti di acqua calda, una piscina coperta riscaldata con annessa sauna e l’ascensore con una capienza di venticinque persone. Non solo: c’erano anche una grande biblioteca su due piani e la cappella di famiglia. Oggi è sede di una nota Casa d’Aste. L’architetto creò anche l’arredamento, che poi diventerà il suo stile personale, lo Stile Coppedè, appunto (nel 1956 venne dichiarato monumento nazionale).

Così divenne famoso ed ebbe clienti quali i Rothschild di Parigi, i Morgan di Londra, casa Savoia, i marchesi Motilla di Siviglia e fece alcuni mobili per Palazzo Pitti. Coppedè era nato a Firenze nel 1866 e aveva frequentato la scuola di arti decorative industriali mentre già lavorava nella bottega di famiglia (suo padre Mariano era ebanista e intagliatore), imparando quelle tecniche decorative del Rinascimento e del Manierismo che più tardi ispirarono parte del suo lavoro. Inoltre, alle fonderie di Pistoia aveva imparato a realizzare decorazioni in ferro battuto. In quegli anni conobbe molti artisti e architetti che lo convinsero a proseguire i suoi studi e si laureò in architettura alla Scuola di Belle Arti nel 1896.
La fama del castello Mackenzie portò Coppedè a diventare l’architetto di moda, con un suo stile ben riconoscibile. Lavorò a Milano, a Messina, a Napoli e perfino in Spagna, a Siviglia. Divenne poi professore nelle Accademie di Firenze, Genova, Perugia e Urbino.

Dal 1917 insegnò architettura all’Università di Pisa e nel 1926 divenne professore emerito dell’Accademia delle arti del disegno di Firenze. Dopo la morte del padre, collaborò con il fratello per creare interni per navi e piroscafi. Coppedè morì nel 1927 in seguito ad un intervento ai polmoni. Il suo lavoro forse più importante e che più lo appassionò fu il delizioso Quartiere Coppedè a Roma nel quartiere Trieste, costruito tra il 1893 e il 1905. Il Sindaco della Capitale di allora, Ernesto Nathan, ebreo, era anche il Gran Maestro del Grande Oriente. Non è certo che Coppedè ne facesse parte, ma sicuramente conosceva e simpatizzava per la Massoneria dato che dappertutto nel quartiere ci sono simboli esoterici.
All’inizio del secolo scorso, quella era ancora una zona periferica ma Saintjust de Teulada (1858/1936), l’ingegnere incaricato di progettare il nuovo piano regolatore per ampliare il centro abitato, affidò la costruzione a Coppedè perché lo destinasse ad abitazioni per la emergente media borghesia romana.

Le geniali innovazioni da lui ideate furono molte. Tutte le abitazioni avevano citofono e garage. Sì perché, anche se all’epoca pochissimi possedevano un’automobile, lui prevedeva un futuro con tante auto private. Ogni abitazione aveva acqua corrente, il riscaldamento autonomo e il bagno in casa (comodità rara allora). Inoltre doveva avere 3 camere, cioè senza quella per la servitù, perché l’architetto immaginava una famiglia moderna con personale di servizio che dopo il lavoro sarebbe tornato a casa propria. Il Quartiere Coppedè fu poi scelto dal regista Dario Argento per girare alcune scene dei suoi agghiaccianti film Inferno e L’uccello dalle piume di cristallo. Nel 1976 il regista Richard Donner vi girò le prime scene del film Il presagio e lo stesso hanno fatto altri registi, colpiti da quella atmosfera ammaliante con un misto di magia e mistero.

Si entra al Quartiere dai due Palazzi degli Ambasciatori, uniti da un possente arco monumentale all’interno del quale c’è anche una dedica a Coppedè. I villini e palazzine del quartiere furono costruiti tra il 1913 e il 1924, interrompendo i lavori solo durante gli anni della prima Guerra Mondiale. Prima di passare sotto l’arco, in alto, al centro e sotto un grande stemma, ci sono un mascherone, due balconi posti ai lati e un imponente lampadario in ferro battuto che pende da un soffitto decorato e colorato che simboleggia la luce della conoscenza (i massoni sono chiamati “figli della luce“ e la “Massoneria è ricerca della luce” scriveva l’avvocato americano Albert Pike, eminente e influente massone). Sempre sull’arco sono scolpite grandi figure apotropaiche destinate ad allontanare il diavolo e le forze maligne.

Nel cuore del quartiere c’è la piazza con la fontana delle Rane, del 1924. Qui i Beatles fecero il bagno vestiti, dopo un’esibizione nella vicina discoteca Piper, locale molto alla moda negli anni Sessanta. Coppedè progettò anche una scuola sul cui tetto ci sono simboli di giovinezza, conoscenza e successo nei progetti. Come dire: chi cerca la conoscenza riuscirà nella vita. Questi simboli sono anche interpretati come iniziazione massonica.
C’è poi la Palazzina del Ragno, del 1920, così chiamata perché sulla facciata c’è un grande ragno in ferro battuto sormontato da un mascherone con la scritta: Maiorum exempla Ostendo Artis praecepta recentis (Attraverso gli esempi degli antichi rappresento le regole dell’arte moderna).

Il ragno è simbolo di potere e, avendo 8 zampe, è legato al numero 8 che, come è noto, è il numero dell’infinito ed ha una simbologia esoterica molto forte. Vicino c’è il Villino delle Fate, molto decorato, asimmetrico e costruito con vari materiali come travertino, cotto, vetro. Veramente i villini sono tre ma addossati fra loro, formano un unico corpo. Tutti hanno decorazioni, torrette e logge deliziose. Ognuna ha riferimenti a tre mitiche città d’Italia: Venezia, Firenze e Roma. I simboli di Venezia sono il leone di San Marco ed un veliero. Per Firenze sono raffigurati Dante, Petrarca, Santa Maria del Fiore, api e leoni alati e la scritta Fiorenza bella. L’emblema di Roma è la lupa capitolina con Romolo e Remo. All’ingresso, sul pavimento, un mosaico rappresenta tre fanciulle, come metafore dei tre villini, le fate Neme, Melete e Aede.

Vicino alla meridiana disegnata su una facciata c’è la scritta Domino laetitia praebeo ovvero ‘’Offro gioia al signore’. Nel vicino Palazzo Hospes Salve, con decorazioni arabesche, si può entrare per vedere il caratteristico ingresso con incisa un’epigrafe latina la cui traduzione è: «Entra in questa casa chiunque tu sia. Sarai un amico. Io proteggo l’ospite».
Immagine di apertura: l’ingresso del palazzo Hospes Salve