Milano 27 Ottobre 2023

I dati ufficiali saranno presentati a Londra il 9 e 10 novembre prossimi, ma quelli preliminari sono già noti: secondo le stime della Banca Mondiale nei primi nove mesi di quest’anno sono state emesse obbligazioni “verdi” per complessivi 438 miliardi di dollari, portando così a 2.344 miliardi di dollari il totale dei bond attualmente in circolazione. E secondo Bankitalia ammontavano a 116 miliardi di euro le quote di fondi comuni “sostenibili” detenute dalle famiglie italiane a fine 2020.
Questi numeri dimostrano come il mondo della finanza stia sempre più scoprendo l’investimento green. Sempre restando in Italia, anche lo Stato ha fatto ricorso a questi strumenti finanziari, emettendo il primo Btp Green, con scadenza nell’aprile 2035, che attualmente rende il 4,74%. La Banca Mondiale, inoltre, ha appena lanciato un bond a cinque anni con tasso fisso garantito non inferiore al 3%, finalizzato a “sostenere il finanziamento di progetti e attività nei Paesi in via di sviluppo” in diversi settori, dall’agricoltura alla sicurezza alimentare, dall’istruzione ai servizi sociali. Si potrà sottoscrivere il titolo anche in Italia (importo minimo mille euro) fino al prossimo 10 novembre presso gli sportelli delle principali banche.

il mondo della finanza sta scoprendo gli investimenti green (foto di Mohamed Hassan)

E poi c’è l’immenso panorama delle società quotate che includono nel loro business le attività legate al rispetto dell’ambiente e allo sviluppo dell’economia sostenibile.
Le azioni di aziende che producono energia rinnovabile o investono nella transizione energetica, inoltre, sono sempre più apprezzate dagli investitori. Le ragioni non sono legate soltanto alla crescita tra i risparmiatori della coscienza ecologista, ma soprattutto a motivi strettamente economici: sostanzialmente le prospettive migliori rispetto ad altri comparti, come quello dell’energia e delle materie prime, oggi “gonfiati” dalla speculazione in relazione ai conflitti in Medio Oriente e Ucraina. Non solo: la Commissione europea ha annunciato che l’Ue “raggiungerà la neutralità sulle emissioni di carbonio entro il 2050”, favorendo così l’aumento degli investimenti nei settori legati alla sostenibilità. Quanto al risparmio gestito, di cui si è già detto per quanto riguarda l’Italia, l’Europa in questo comparto fa già ora la parte del leone, con l’82% dei fondi comuni d’investimento che si qualificano green e che nel mondo, secondo una ricerca di Morningstar, gestiscono complessivamente 2.243 miliardi di dollari di risparmi privati.
La finanza green, insomma, è sempre più conosciuta e diffusa. Il rischio è che diventi una moda, destinata quindi ad essere prima o poi superata, mentre l’uso razionale delle risorse rappresenta un fattore di sviluppo dell’economia perché permette di continuare nel tempo a produrre valore.

Il rispetto dell’ambiente attraverso coltivazioni biologiche è un esempio di sviluppo sostenibile cui si lega la finanza green (foto di Karolina Grabowska)

Vale dunque la pena ricordare i concetti base legati allo sviluppo sostenibile dell’attività finanziaria, partendo da un acronimo, Esg, molto utilizzato ma spesso poco compreso dal grande pubblico. La sigla nasce dalle iniziali di tre parole inglesi, environment (ambiente), social (sociale) e governance (governo societario). I fattori di tipo ambientale sono diversi: vanno dai cambiamenti climatici (e quindi alla transizione verso un’economia ad emissioni zero) fino ai temi della biodiversità, della prevenzione di ogni forma di inquinamento e della cosiddetta economia circolare, vale a dire un modello di produzione e consumo che tende a utilizzare il più a lungo possibile ogni tipo di prodotto attraverso condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali. Quanto al secondo aspetto, quello sociale, significa combattere le disuguaglianze, favorire l’inclusione con corrette relazioni di lavoro e investimenti in formazione, fino a garantire in generale il rispetto dei diritti umani. Il governo societario, infine, garantisce, anche attraverso la presenza nei board di consiglieri indipendenti, che nei processi decisionali si tenga conto degli aspetti sociali e ambientali.

Le principali agenzie di rating hanno creato un sistema di valutazioni che verifica il livello di adesione ai principi “green” da parte delle imprese (foto di Quince Creative)

Ma chi controlla che i buoni propositi delle aziende vengano effettivamente perseguiti? Le principali agenzie mondiali di rating (quelle che giudicano anche i bilanci degli Stati, come Moody’s, Fitch e Standard & Poor’s) hanno da tempo istituito un sistema di valutazioni che oltre all’affidabilità e alla solidità economica verifica anche il livello di adesione ai principi “green” da parte delle imprese pubbliche e private. Accanto ai big del rating, esiste poi una miriade di organizzazioni nate con lo scopo di certificare il grado di adesione delle aziende ai principi dell’ecosostenibilità. Manca ancora, però, un quadro di riferimento che definisca in modo chiaro che cosa è “verde” e che cosa non lo è. L’Unione europea ci sta lavorando. In collaborazione con le autorità di controllo del settore finanziario dei singoli Paesi, è in cantiere un sistema di regole che dovrebbe diventare un punto di riferimento per i mercati (e ovviamente per chi sarà autorizzato a rilasciare patenti di affidabilità).

Immagine di apertura: foto di Prawny

 

Nato a Rivanazzano Terme (Pavia) è giornalista professionista dal 1977. Per quasi trent'anni alla redazione Economia del "Corriere della Sera", è tuttora titolare della rubrica quotidiana sulla Borsa Valori. Prima di approdare nel 1986 a via Solferino, è stato Caporedattore a "Il Mondo" e in precedenza ha lavorato al "Sole24ore" e alla "Gazzetta del Popolo" di Torino. Tra i suoi libri, "Guida facile alla Borsa", Sperling & Kupfer (tre edizioni, l'ultima nel 2000) e "Meno Agnelli, più Fiat, cronaca di un cambiamento", Daniela Piazza Editore, 2010.Nel 2019 per Mind Edizioni è uscito il suo ultimo libro, "Difendi i tuoi soldi. Capire prima di investire".

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