Repubblica Dominicana, 21 Dicembre 2022
Perla del turismo tropicale, regno del merengue e della bachata, paradiso degli sport acquatici, dei più famosi campi di golf del mondo, dei casinò per tirar tardi e delle megadiscoteche per non andare neanche a dormire.
È La Repubblica Dominicana, star dei Caraibi: circa dieci milioni e mezzo di abitanti con la pelle di seta color cannella, posizione geografica appena sopra l’Equatore, clima caliente attenuato dall’Aliseo, ogni tanto un ciclone. Quando piove, arrivano secchiate d’acqua che picchia il suolo come un martello e fa i buchi nell’asfalto. Dura un quarto d’ora poi torna il sole e ciao, sbocciano fiori giganti.
La gente è simpatica e accogliente, allegra e solidale, aperta allo straniero. Tutti grandi lavoratori, eterni bambini, qualche ladrone. E un po’ di giusto orgoglio (Centro culture indigene de las islas de Sotavento insegna) per la discendenza dal popolo Taino, la più misteriosa tra le antiche culture native del Centroamerica prima che arrivasse Cristoforo Colombo.
A quel tempo il Paese si chiamava Quisqueya, era il cuore della tradizione tribale e la lingua parlata era l’arawak. Taino in arawak significa “i buoni”. Erano tranquilli e pacifici, infatti. Anche, pare, alti e belli, con le spalle larghe e le gambe ben disegnate. Li governava il cacicco, capo carismatico non eletto ma designato dagli dei. Coltivavano la yuca, preparavano il casabe (un pane speciale che dura mesi), facevano l’amore invece della guerra. Tra una cosa e l’altra producevano milioni di tonnellate di artigianato di coccio pregiato, fine come la porcellana.
Così bello che lo contrabbandano con entusiasmo ancora oggi. Fra i trafficanti piu affezionati, gli italiani, i francesi e gli americani. Comunque la vita filava via liscia. Poi all’orizzonte sono apparse tre caravelle. È cominciato lo sterminio: crudele, feroce, ma soprattutto impari. Sassi e frecce contro pistole, cannoni e cani addestrati a sbranare. In soli vent’anni di 230mila individui ne sono rimasti meno di seicento.
Ma oggi è un’altra storia. Repubblica presidenziale, governo democratico (di Luis Abinader, il presidente più giovane del Paese, eletto a suon di voti, plurilaureato) e si parla il castigliano, versione morbida dello spagnolo bene. Pil sopra il 5 per cento in crescita costante, una menzione speciale dell’Onu per la miglior gestione del Covid: poche regole ma chiare e tempestive, cui era facile adeguarsi. Per il resto, tutto come sempre. I sargassi continuano a invadere le spiagge con l’aiuto della risacca, il mare è ancora fosforescente, la cucina creola è sempre intrigante. Il woodoo imperversa tra i campi sconfinati della canna da zucchero. Dove ancora oggi è meglio non perdersi. Attratti dal clima non solo meteorologico, dalle bellezze naturali, dalle spiagge rosate e fini come la cipria, dalle ragazze belle come idoli e da una politica giusta e stabile, oltre trentamila italiani hanno fatto la valigia e sono sbarcati qui. E parliamo solo di quelli iscritti all’Aire, anagrafe italiana residenti all’estero, dati dell’Ambasciata, senza contare i turisti, giramondo, lavoratori fuori porta, cacciatori di fortuna, qualche imboscato e un bel po’ di gente che di fatto vive qui, ma va e viene sfruttando il visto.
Fatto sta che gli italiani che arrivano qua non se ne vanno più. Chi fa l’imprenditore, chi il costruttore, chi lavora negli sport e nel turismo, chi apre un supermercato italiano con il panettone e il cacciatorino, chi fa le pizze, chi fabbrica lo yogurt e il formaggio che grazie alle mucche ruspanti del posto, vengono buonissimi. Qualcuno ha pensato alle mattonelle per rivestire bagni e cucine, ora più eleganti grazie all’Italian Style.
Qualche storia. Gisella Favaro, bionda, allora sui trent’anni, due figli e un ex marito alle spalle, è arrivata al Bavaro dal Piemonte negli anni Novanta, quando la zona era solo una distesa di palme da cocco avvolta nel silenzio. Un piccolo aeroporto in stile tribale appena inaugurato, niente luce elettrica. In compenso ogni notte c’era la magia dell’autentico cielo nero, tanto ambito dagli osservatori di stelle. Gisella è arrivata con la prima, piccola impresa in compartecipazione italo-spagnola: un elegante hotel in stile coloniale adagiato con grazia su una spiaggia fiabesca e ancora incontaminata. Oggi è titolare di un complesso turistico nell’interno del paese, ad Hato Mayor: un parco acquatico per adulti e bambini con tre piscine, due bar, albergo con trenta stanze, ristorante, parcheggio, in un’area di quasi cinquantamila metri quadrati di giardino tropicale. I Vanini, invece, hanno costruito un impero con le piantagioni di cacao. Poi c’è la famiglia Croci, padre madre e figlio allora giovanissimo. Hanno creduto nel Paese e oggi sono gli incontrastati principi del Playa Turquesa Ocean Club, un complesso residenziale a cinque stelle con un centinaio di appartamenti lusso sulla spiaggia.
seleMa il numero uno è la famiglia Vicini. Signori della canna da zucchero, arrivati oltre cento anni fa dal Sud dell’Italia, oggi sono i più ricchi della Repubblica Dominicana. Addirittura più ricchi dei Bonetti e dei Ranieri, proprietari dell’aeroporto di Punta Cana e del progetto edilizio Cap Cana, forse il più grande del Paese.
Come in tutti i paradisi delle vacanze, i pensionati sono benvenuti, a patto che siano arzilli, sani e ben forniti di dobloni. Questo è un Paese giovane, vivo e vitale, rumoroso e sorridente. Dove si canta e si balla e si fa l’amore, sempre e comunque, alla faccia di qualunque pandemia, inflazione, stagnazione economica, disastro ecologico o finanziario.
Qui regna un sano e irriducibile fatalismo rivolto all’oggi, e domani è un altro giorno.
Per chiarire il concetto: provate a chiedere a un’amica del posto come sta, come le va, come se la cava con la crisi. Risposta: «Mah, così così. Comunque, quando vedo che si mette male, mi metto seduta tranquilla sotto il mango. Una bella birretta, la mia mezza Marlboro, e mi sento meglio. Poi si vedrà».
Capito? Mezza Marlboro è già felicità. Filosofia spicciola ma solida. Che può arrivare a livelli impensabili per noi europei. Come quando, diversi anni fa, allo spoglio delle schede elettorali ci si è resi conto che c’erano più voti che votanti. Non è volata una mosca, niente litigi. Riunione, discussione, soluzione: dei quattro anni di governo previsti, due ai viola e due ai rossi. Contenti tutti.
Immagine di apertura: un albero tropicale che fiorisce in inverno tipico della Repubblica Dominicana
- Le foto del servizio sono di Graziella Carrera