Milano 26 Febbraio 2022
Presidenti d’Italia è il titolo del libro che Michele Ainis, uno dei più noti e acuti costituzionalisti del Belpaese, ha scritto per La nave di Teseo. Un libro che promette bene, ma che poi si rivela un’occasione persa. Già l’incipit è facile e un po’ gratuito: «Se in via del Corso chiami “Presidente!” si gireranno in quindici». Così comincia il “censimento” che il docente di Roma dedica al tema, come spiega il sottotitolo, Atlante di un vizio nazionale.

Che l’Italia fosse piena di presidenti, della più varia risma – dal presidente del Consiglio a quello dell’Inps, dalle Regioni ai tribunali, fino alla miriade di enti e società partecipate che affollano la penisola – appare un dato scontato e non degno di nota. Che abbiano tutte un “presidente” è poco più che in dettaglio, per quanto ridicolo o fastidioso. Si tratta per lo più di un abuso lessicale, di un provincialismo, come quando si appella “presidente” il presidente di un modesto consiglio di circoscrizione di un piccolo o medio Comune italiano. Certo si potrebbe avere più fantasia ed evitare di denominare tante cariche, spesso minime, con un termine così pomposo. Esistono certamente sinonimi, da “responsabile” a “incaricato”, da “delegato” a “garante”, da “direttore” a “coordinatore”, senza contare le dizioni estere più o meno mutuabili o traducibili, da Cancelliere (il Presidente del Consiglio tedesco) in poi. Tuttavia, il vizio italico di chiamare presidente anche chi rappresenta la Bocciofila è un piccolo obbrobrio tutto sommato ingenuo, risolvibile al più – se davvero ne vale la pena – con un decreto di 2-3 articoli che fissi le regole per evitare di default di denominare come presidente il vertice di tante realtà esigue.

Per un costituzionalista di livello quale Ainis pare che questo, invece, sia un problema di notevole importanza. Al punto da costringerlo a scrivere: «Noi, per lo più, non ci facciamo caso. La nostra attenzione si risveglia ogni sette anni, quando c’è da eleggere un nuovo inquilino al Quirinale; ma, in realtà, tutti i giorni s’affaccia un nuovo presidente. Perché i posti sono tanti, così come gli appetiti; e non occorre vincere né un’elezione né un concorso per guadagnare la poltrona, dato che il presidente non è votato dal popolo ma da assemblee ristrette, quando non viene direttamente nominato. Insomma, la riforma più auspicata e contrastata – il presidenzialismo – in Italia è già in vigore, anche se non ce ne siamo accorti». Il libro contiene una scarna introduzione di Michele Ainis, che discetta sull’annoso problema degli oltre 70.000 presidenti d’Italia. Poi segue una specie di pesantissimo «schedario» messo insieme da Andrea Carboni (consigliere parlamentare al Senato), Antonello Schettino (responsabile dell’Ufficio Contenzioso dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato), Silvia Silverio («assistente giuridico del componente dell’Autorità Garante», chissà se dello stesso Ainis….): 155 schede e 91 voci di rinvio, facilmente reperibili su Wikipedia (ma certamente verificate con più cura) che partono dall’Aci, l’Automobile Club d’Italia, per continuare con Aeci, l’Aero Club d’Italia e via discorrendo da pagina 41 a pagina 211, mentre l’introduzione di Ainis («Un presidenzialismo straccione») va da pag. 13 a pag. 36. Una ventina di pagine per dimostrare quanto sia radicato questo vizio tutto italiano, documentato dalla moltiplicazione delle cariche apicali.

«Un esercito con pochi soldati e troppi generali, che difende un presidenzialismo sprecone e un po’ straccione. Ogni anno spendiamo 390 milioni di euro per mantenere oltre 70.000 presidenti, chiamati persino, in certi casi, a presiedere se stessi. Questo libro per la prima volta ne offre una fotografia: chi li sceglie, quali poteri hanno, quanto guadagnano, e perché i troppi presidenti rappresentano un freno insostenibile per il futuro dell’Italia». Spiace dire che da Ainis, che pure ha sempre svolto interventi puntuali su temi costituzionali di rilievo, ci si aspettava francamente un po’ di più. Per carità, l’introduzione – una sorta di long form molto discorsivo – si legge con grande piacevolezza, come sempre avviene per gli scritti di Michele Ainis. Certo, nel volume si analizzano i ruoli dei presidenti che hanno un compito istituzionale all’interno di Tribunali e Corti, enti pubblici e locali, agenzie e società pubbliche. In tutto 70.174 presidenti; chi, infatti, in Italia non è presidente di qualche organismo, se non di diritto pubblico, di un circolo culturale o sportivo, di una associazione benefica? Ma torniamo alla «prefazione». Ainis sembra partire offrendo spunti di riflessione iniziando la sua carrellata dall’avventura del presidenzialismo, emersa anche nel recente dibattito alla vigilia della rielezione di Sergio Mattarella a Capo dello Stato. Momento in cui qualcuno, pensando che Mario Draghi volesse trasferirsi da Palazzo Chigi al Quirinale, ha immaginato che potesse nascere una forma di semi presidenzialismo de facto, nel senso che dal Colle più alto l’ex governatore della Bce (poi premier) sarebbe stato sicuramente in grado di guidare o influenzare le decisioni del governo e dei ministri. Ainis ripercorre velocemente – in una sorta di “bignamino” – le principali indicazioni politiche sul presidenzialismo e sulle sue numerose varianti, in passato esaltate o avversate.

E rivela una simpatica curiosità, ovvero che i primi a proporre l’elezione diretta del Capo dello Stato furono i monarchici, anche se non precisa se di cultura sabauda o borbonica. Poi viene una rapida carrellata sulle varie “bicamerali” incaricate di riformare la Costituzione, ricordate soprattutto per il nome di chi le ha guidate, come la Commissione D’Alema, che ne fu Presidente, con i (disastrosi) esiti ormai noti essendo l’interlocutore principe del suddetto una figura di alto spessore istituzionale quale Silvio Berlusconi. Ainis discute l’uso dell’espressione presidente partendo dall’antica esperienza del Senatus Populi Romani dove a presiedere era un Princeps e non un presidente. Passa poi a citare Boccaccio che in un verso chiama “presidente” chi è a capo di un gruppo di persone. Naturalmente i presidenti continuano ad incarnare autorità varie in un Paese dove – è noto – una croce di Cavaliere o un titolo di Commendatore (equanimemente concesso anche a Licio Gelli) non si negano a nessuno. Proseguendo in questa sua carrellata sulla abusata espressione, il Professor Ainis tocca il tema ormai classico della semplificazione amministrativa e ricorda che già Oreste Ranelletti, illustre giurista, scrisse una importante relazione all’indomani della Prima Guerra Mondiale, prodromo della prima legge di semplificazione del Governo Bonomi nel 1921. Successivamente altre iniziative furono attuate in regime repubblicano, quando il Ministero della riforma burocratica, che poi ha cambiato nome più volte, è diventato un organo permanente. Così, di anno in anno, la legge di “semplificazione” e i relativi decreti che cambiano nome a seconda della fantasia dei politici, hanno più complicato che semplificato. «Ci succede – scrive Ainis – fin troppo spesso di scrivere una legge, e poi di scriverne un’altra per semplificare la prima, magari scoprendo a cose fatte che sarebbe stato meglio non scrivere nessuna legge». In questa ridda di incarichi presidenziali domina l’italica fantasia a disegnare la varietà delle esperienze, fra chi raggiunge quella qualifica per una promozione e chi invece viene «nominato», ovvero scelto per cooptazione, come avviene spesso in politica.

Poi c’è il nodo della durata in carica, che in alcuni casi è breve, in altri troppo lunga in altri addirittura priva di scadenza. Ainis fa un esempio, più volte apparso sui giornali: quello della Presidenza della Corte costituzionale, che ha conosciuto la durata “lunga” della presidenza di Gaspare Ambrosini, 5 anni, un mese e 25 giorni, e quella “breve” di Vincenzo Caianiello, illustre giurista, già presidente del Consiglio di Stato, rimasto assiso su quella poltrona per soli 44 giorni. Altro motivo di differenziazione in questo variegato parco di realtà è il trattamento economico, per cui accanto ad alcuni presidenti che svolgono la funzione gratuitamente (spesso di realtà in fase di commissariamento) ci sono retribuzioni molto differenziate.

Tutto giusto per carità, ma la lunga lista delle schede che segue a questa esile trattazione uccide qualsiasi lettore pur se di buona volontà; ci si attendeva davvero di più. Ci si aspettava, ad esempio, un’analisi delle varie letture del ruolo “sistemico” del presidente della Repubblica. Come giustamente ha evidenziato lo stesso Ainis nei suoi interventi pubblici, ogni Costituzione – e la nostra più di altre – è elastica, ovvero capace di adattarsi alle stagioni storiche senza modificare la lettera delle norme, bensì interpretandole. Ha dichiarato Ainis: «Paolo Barile, ad esempio, faceva una lettura presidenzialista delle competenze del capo dello Stato, ammoniva che il ruolo di vertice delle forze armate andava preso sul serio. Poi ovviamente dipende dalla persona che ricopre la carica: Pertini era diverso da Einaudi, più presente sulla scena politica». Interessante; e allora perché non scendere nel dettaglio, analizzando casi di grande interesse, quale ad esempio quello di Giorgio Napolitano? E perché non analizzare apertamente, in termini di costi/benefici, la possibilità di eleggere un “super-presidente” come in Francia dove l’inquilino dell’Eliseo è eletto dai cittadini? Come ha segnalato lo stesso Ainis, siamo passati dalla Prima alla Seconda Repubblica varando il maggioritario come sistema elettorale ma senza cambiare una virgola della Costituzione. E mentre negli anni Settanta il Parlamento era centrale, adesso è molto più decentrato, se non deceduto, mentre si dibatte di grandi riforme della legge elettorale. Non sarebbe stato male se Ainis avesse fornito indicazioni utili alla politica e al cittadino per farsi un’idea più solida e compiuta.