Asti 27 Gennaio 2023
Adriano – mi ricorda Paolo Pileri – non tollerava l’incuria della terra e se non era coltivata, dopo cinque anni questa passava a chi se ne sarebbe preso cura. Già, perché per l’Imperatore romano “nessuno ha il diritto di trattare la terra come l’avaro il suo gruzzolo d’oro”. Certo, oggi il mondo è altra cosa; ma chissà come reagirebbe Adriano nel vedere campi rigogliosi sacrificati alla produzione energetica, mentre aree già ampiamente compromesse da lavorazioni industriali dismesse restano tali, cioè inutilizzate, in balia di un degrado ormai insopportabile. Quello che capita in Piemonte, è significativo. Paolo Pileri, che è professore di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano e ha dato vita al progetto Vento, la ciclabile Venezia-Torino, ha lanciato da Altreconomia l’allarme: «La Regione Piemonte rinuncia ad usare le aree dismesse per installare pannelli fotovoltaici: una minaccia ai suoli agricoli».

Tutto riferito alla risposta della Giunta ad una interrogazione in Consiglio regionale del 6 dicembre scorso nella quale si giustificava l’assalto alle terre fertili perché «le aree dismesse non sono idonee all’installazione di impianti fotovoltaici non tanto perché insufficienti (cosa che non viene dimostrata con precisione) quanto perché implicherebbero un extra costo per i grandi proprietari visto che al momento non è previsto alcun incentivo statale». Di qui, la presa d’atto da parte del governo piemontese, che “il ricorso ad aree agricole è irrinunciabile”. Per il professor Pileri, che gira il Paese a sensibilizzare e rieducare nel nome della difesa dei suoli, tutto ciò ha la portata di una sorta di nuovo sacco del territorio italiano. «Servirebbe – chiosa su Altreconomia – una mega rivoluzione in nome dell’interesse pubblico e della tutela di suoli agrari e/o permeabili. So bene che forzare la rifunzionalizzazione energetica di aree dismesse non è cosa facile e occorrono risorse pubbliche, ma proprio per questo avremmo avuto bisogno di un Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) con riforme coraggiose: per rendere possibile l’impossibile a vantaggio di tutti, per dare il via a una transizione energetica più equa e a regia pubblica».

Anche se va precisato che quel che capita in Piemonte non trova per ora corrispondenza altrove; in Lombardia, in Emilia Romagna così come in altre regioni italiane gli esempi di aree dismesse, ex discariche, ex cave rigenerate e rese di nuovo produttive grazie a impianti di energia non fossile (fotovoltaico biogas, eolico) sono parecchi e non hanno trovato grossi ostacoli per essere realizzati. Grazie a linee guida, regolamenti, pianificazioni puntuali per evitare l’assalto al territorio e preservare le aree fertili e lo sfregio paesaggistico. Disposizioni condivise con le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente e dopo attente verifiche, pur nella volontà di accelerare gli iter autorizzativi sburocratizzando il sistema. In Italia, del resto, sono circa 170 mila gli ettari catalogati come Siti di interesse nazionale, zone compromesse che necessitano di bonifica e non più utilizzabili ai fini agricoli, ma che nel programma di transizione ecologica immaginato dal governo di Mario Draghi potrebbero trovare una nuova vocazione.
Intanto la cronaca preme e rende attuale il dibattito. A Sommariva del Bosco, comune al confine tra le province di Cuneo e Torino, praticamente alla porte della città di Bra che con Carlin Petrini ha visto nascere il movimento internazionale di Slow food, ci si interroga su un progetto, “a lungo sottaciuto” – a leggere le prese di posizione locali – di insediamento di due imponenti impianti fotovoltaici.

Una battaglia che spacca e imbarazza un pezzo del mondo ecologista, considerata la determinazione di alcune associazioni nel sostenere “a prescindere” gli investimenti sulle rinnovabili. Ma qui, scrive l’Associazione Ambiente 21 SdB che assembla più anime e sensibilità, «oltre il danno già arrecato in termini di consumo del suolo con la realizzazione di una ingombrante centrale solare su una superficie di 7 ettari di terreno agricolo fertile, c’è anche la costruzione di un lungo elettrodotto, solo in parte interrato, con pali alti 16 metri nella zona collinare che attraverseranno gli alvei boscosi di tre rii, con inevitabili disboscamenti nel territorio che ricadono nella zona di salvaguardia dei Boschi e delle Rocche del Roero con danni irreversibili all’ambiente». Un impianto, inoltre, di fatto incompatibile con un «piano di valorizzazione ambientale e turistica attraverso il tracciamento di percorsi sentieristici, promosso proprio da Ambiente 21SdB in collaborazione con l’Ecomuseo delle Rocche, per il quale sono già state stanziate notevoli risorse da parte dell’Amministrazione Comunale». Insomma, la confusione regna sovrana: la Regione mira a sfruttare i fondi Pnrr per far partire progetti energetici subito realizzabili, ma non tiene conto della realtà del territorio su cui i municipi a loro volta investono per tutelarne le caratteristiche e specificità.

A Sommariva c’è stato un Consiglio Comunale straordinario, è stato sottoscritto un documento dall’intero schieramento politico-amministrativo per avere garanzie sul “mantenimento della biodiversità e delle attuali pratiche agricole e di coltivo del territorio collinare”, per essere rassicurati circa le conseguenze di dissesto idrogeologico che un tale intervento potrebbe comportare (specie in tempo di cambiamenti climatici), per non vanificare il lavoro di valorizzazione della zona delle Rocche supportato dalle stesse amministrazioni locali. L’autorizzazione all’insediamento il sindaco di Sommariva l’ha ora sospesa, in attesa di nuove trattative e di tavoli di confronto con Enel, Regione e altri soggetti. Del resto, non è mai troppo tardi per correggere una scelta frettolosa, per prendere coscienza che il territorio una volta compromesso lo è per sempre, che occorre pianificare con competenza prima di agire. Anche in tempi di grave crisi. I conti salati di uno sviluppo industriale farraginoso e spesso distruttivo sotto il profilo ambientale e dannoso per la salute delle comunità negli anni del boom, li paghiamo oggi come ancora in futuro.
«Certamente non abbiamo il coraggio rivoluzionario di Adriano», osserva il professor Pileri. Con il timore che quanto avvenuto in Regione Piemonte possa dilagare presto nel resto del Paese causa un Pnrr “guidato dalla fretta della rendicontazione e non da un piglio riformista ed ecologico”, dalla spinta forte ad “estrarre più profitto possibile dalla transizione energetica e non più bene per tutti”. Insomma: Adriano, l’imperatore, non si sarebbe certo preoccupato di salvaguardare il gruzzolo d’oro dei proprietari responsabili dell’incuria delle loro terre e perfidi al punto di incolpare lo Stato di non elargire loro incentivi.
Immagine di apertura: foto di Sebastian Ganso